Chimico e partigiano, ma soprattutto grande scrittore e intellettuale, Primo Levi è autore di una delle più celebri opere sull’Olocausto: “Se questo è un uomo”, testimonianza della prigionia nel lager nazista di Auschwitz, la cui pubblicazione fu più volte rifiutata… – L’approfondimento sui suoi libri e la sua vita

Chi era Primo Levi?

Primo Levi è stato un chimico, partigiano e scrittore torinese di origini ebraiche, noto in tutto il mondo per la sua opera d’esordio, Se questo è un uomo, il racconto memorialistico dell’esperienza nel Lager Buna-Monowitz, uno dei campi “satelliti” di Auschwitz.

Primo Levi, la vita prima della cattura

Nato a Torino il 31 luglio 1919, figlio di Ester Luzzati e Cesare Levi, Primo Levi frequentò il liceo classico e nel 1937 si iscrisse all’Università degli Studi di Torino, alla facoltà di Chimica. L’anno successivo in Italia entrarono in vigore le leggi razziali, che impedivano agli ebrei di accedere agli studi, ma concedevano a chi era già iscritto di proseguire il percorso universitario, il che permise all’autore di portarlo a termine. Laureato con lode nel 1941, sul suo diploma di laurea compariva l’indicazione: “Di razza ebraica”.

Nel 1942 si recò a Milano, dove era riuscito a trovare un lavoro presso una fabbrica di medicinali svizzera, nonostante le leggi razziali; qui entrò in contatto con la militanza antifascista e si unì al Partito d’Azione clandestino. Nel dicembre 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, essendosi unito a un gruppo partigiano in Valle d’Aosta fu arrestato dalla milizia fascista e, all’interrogatorio, scelse di dichiararsi ebreo, invece che partigiano; fu quindi catturato e portato al campo di Fossoli, in provincia di Modena. Da qui fu trasferito ad Auschwitz, a bordo di un treno merci che trasportava 650 ebrei.

Primo Levi ad Auschwitz

Auschwitz Campo di Concentramento

Primo Levi arrivò ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Al suo arrivo fu marchiato con il numero 174517, secondo la pratica che spogliava i detenuti della loro identità per sostituirla con il numero tatuato sul braccio. Fu poi spostato al campo Buna-Monowitz, anche noto come Auschwitz III.

Buna-Monowitz era collocato presso Buna Werke, che allora era uno degli stabilimenti chimici più grandi d’Europa, e il campo era stato costruito nelle vicinanze proprio per utilizzare i detenuti come forza lavoro all’interno dello stabilimento. In quanto chimico, nel campo di concentramento Levi ottenne un incarico come specialista di laboratorio, posizione che gli permise di ottenere condizioni di vita meno faticose, rispetto agli atri detenuti, e gli diede accesso a materiale di contrabbando.

A posteriori, lo scrittore attribuì la propria salvezza a diversi fattori, tra i quali la posizione in laboratorio, i compiti meno aggravanti che vi svolgeva, che gli permisero di resistere più a lungo di altri; di grande aiuto fu anche l’incontro con Lorenzo Perrone, muratore impiegato al campo ma non detenuto che riusciva a procurargli del cibo, con grande rischio per se stesso; inoltre, si rivelò molto utile la rudimentale conoscenza del tedesco, ottenuta leggendo saggi scientifici all’Università.

La prigionia durò poco meno di un anno, sino al gennaio 1945, quando l’Armata Rossa raggiunse il lager; quando l’arrivo dei Russi si fa imminente, i tedeschi decidono di evacuare il campo, costringendo i detenuti a intraprendere una marcia della morte, in cui persero la vita moltissimi prigionieri. In quel periodo Levi era stato ricoverato in infermeria perché ammalato di scarlattina, e fu quindi escluso dalla marcia di evacuazione, salvandosi così dalla tragica fine toccata a tanti altri.

Dei 650 ebrei, uomini e donne, arrivati ad Auschwitz assieme a Primo Levi, soltanto in venti sopravvissero al lager.

Se questo è un uomo: la pubblicazione

Tornato in Italia, Primo Levi fece del suo meglio per “tornare alla vita”, entrando in contatto con gli amici e i familiari sopravvissuti all’Olocausto e al conflitto, ma soprattutto scrivendo: si buttò a capofitto nella stesura di un’opera memorialistica in cui narrava l’esperienza della prigionia, non tanto per puntare un dito contro i colpevoli di quell’immensa tragedia, quanto piuttosto per tentare di capire, di spiegare, di trovare un perché a quanto era successo.

Il manoscritto, da principio intitolato I sommersi e i salvati, fu rifiutato da diversi editori, prima fra tutti la casa editrice Einaudi, con cui all’epoca collaboravano Cesare Pavese e Natalia Ginzburg, che rifiutarono il manoscritto. Era il 1947 e, secondo Pavese, erano già stati pubblicati troppi libri a testimonianza dell’Olocausto. L’autore si rivolse allora a una piccola casa editrice torinese, la De Silva, diretta da Franco Antonicelli, che scelse di pubblicare il manoscritto, ma di cambiarvi il titolo.

primo levi se questo è un uomo prima edizione copertina

Fu proprio Antonicelli a scegliere il titolo con cui l’opera è tutt’ora conosciuta: Se questo è un uomo si ispira alle parole della Shemà, preghiera ebraica tra le più sentite della liturgia, da leggere due volte al giorno, durante la lettura del mattino e quella serale. L’epigrafe del romanzo riporta una poesia modellata sulla struttura della Shemà, versi che spiegano il titolo del romanzo e che introducono alla lettura del testo:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Il libro uscì nell’autunno del 1947, in una tiratura di 2.500 copie e, nonostante alcune autorevoli recensioni, non incontrò un immediato successo; Italo Calvino lo descrisse come il più bel libro uscito dall’esperienza della deportazione e Pietro Calamandrei ne pubblicò alcuni capitoli su Il Ponte, prestigiosa rivista letteraria dell’epoca.

Nel 1952, dopo la morte di Pavese, l’Einaudi rifiutò nuovamente di pubblicare il romanzo e il successo dell’opera non sopraggiunse fino al 1958, quando il libro venne in fine pubblicato da Einaudi nella collana della saggistica, con uno scritto di Calvino. Questa volta, il successo fu immediato.

I temi di Se questo è un uomo

Il libro si configura quasi come una dantesca discesa agli inferi, un viaggio nella memoria di quanto accaduto all’interno del lager che diventa occasione di analisi della tragedia vissuta. L’autore si presenta nelle sue vesti di chimico e scienziato, rimanendo il più possibile distaccato nei toni, nonostante gli orrori descritti, per poter comprendere e raccontare i fatti così come si sono verificati.

Inserendosi nel filone memorialistico del neorealismo italiano, il racconto alterna la testimonianza alla ricerca scientifica, soffermandosi a esaminare i meccanismi sociali, psicologici e di potere che si sviluppano nel lager tra i detenuti, conducendo il lettore alla comprensione della paura, della ribellione e della resa degli uomini davanti alle più crudeli atrocità.

copertina del libro di primo levi Se questo è un uomo

Il testo è diviso in capitoli per argomenti, non strettamente cronologici, ma ispirati a diversi momenti della giornata e aspetti della vita nel campo: dal capitolo dedicato alle notti a quello focalizzato sul lavoro, dalla sezione dedicata all’esame di chimica per ottenere il posto in laboratorio, alla rappresentazione di come i deportati, pian piano, perdano la propria essenza, annullati dalla prigionia.

A sprazzi, durante la narrazione, si presentano brevi momenti in cui la dignità umana affiora intatta all’interno del lager, come miracolosamente preservata nell’animo dei prigionieri. Uno di questi è il capitolo in cui Levi, attraverso un dialogo con il prigioniero Jean, ripercorre il canto dantesco in cui emerge la figura di Ulisse. Ulisse infatti viene erto a simbolo dell’uomo moderno, spinto nella sua vita dal desiderio di conoscenza, una condizione contrapposta a quella di cui si fa esperienza nei lager, che spingono gli uomini verso la condizione di animale. Questi momenti letterari però precipitano inevitabilmente nella mostruosità nazista, fatta di esecuzioni e annientamento dell’essere umano.

I libri di Primo Levi: le opere principali

Primo Levi durante la sua vita ha fatto un grande lavoro di testimonianza della sua esperienza, con le sue opere biografiche e letterarie, ma non solo. Il materiale che ha lasciato, come le interviste, rimangono un prezioso alleato per l’attività di ricordo e memoria, a cui lui stesso esortava i propri lettori.

L’opera di Levi comunque non si fermò a Se questo è un uomo. L’Olocausto e la prigionia rimangono, nella produzione letteraria di Primo Levi, un tema fondamentale, ricorrente anche nel libro La tregua, che narra il viaggio di ritorno in Italia intrapreso dopo la liberazione da Auschwitz; l’opera valse a Levi la vittoria nella prima edizione del Premio Campiello, nel 1963. Nel 1997 ne è stato tratto anche un film omonimo per la regia di Francesco Rosi.

Copertina del libro di Primo Levi La tregua

Altro filo conduttore ricorrente sono le conoscenze chimiche e scientifiche che penetrano la sua opera di scrittore con risultati curiosi, spesso producendo originali soluzioni narrative; ne è un esempio Il sistema periodico, del 1975, una raccolta di racconti autobiografici e di fantasia in cui a ogni racconto è associato un elemento della tavola periodica.

Copertina del libro di primo levi Il sistema Periodico

Nel 1978 Levi vince il Premio Strega con il romanzo La chiave a stella, che si inserisce in un filone letterario molto in voga negli anni sessanta, quello della letteratura industriale: la voce narrante, in prima persona, dialoga con un operaio specializzato, Libertino Faussone, che racconta al narratore e al lettore esperienze ed episodi del suo lavoro in giro per il mondo.

copertina del libro di primo levi La chiave a stella

Anche il romanzo Se non ora, quando?, pubblicato nel 1982, pur non basandosi su fatti autobiografici si lega all’esperienza di vita di Levi. Si tratta di un’epopea che ha luogo tra il 1943 e il ‘45 e che segue le avventurose vicende di partigiani ebrei che peregrinano per l’Europa combattendo per la propria e altrui salvezza. L’opera quello stesso anno vinse sia il Premio Viareggio che il Campiello.

Copertina del libro di primo levi Se non ora quando

Importanti nell’attività letteraria di Levi furono anche le poesie, organizzate nelle raccolte L’osteria di Brema e Ad ora incerta. I temi che gli furono cari emergono persino nel suo lavoro di traduzione: l’edizione Einaudi de Il processo di Franz Kafka, romanzo in cui si riflette con toni grotteschi e amari sulla vita umana, si deve proprio a Primo Levi.

Ad ora incerta, copertina della raccolta di poesie di Primo Levi

Nel 1986 viene pubblicato il saggio I sommersi e i salvati, in cui Levi analizza, con distacco e razionalità, la logica dietro al comportamento dei singoli detenuti nel lager, interrogandosi soprattutto su cosa abbia fatto la differenza tra chi è sopravvissuto e chi no, cosa abbia distinto i “sommersi” dai “salvati”. Quest’opera, in cui l’autore torna ad affrontare il tema dell’Olocausto, porta il titolo inizialmente pensato per Se questo è un uomo e include alcune dei temi principali del suo pensiero. In particolare è in questo libro che Levi parla della zona grigia, cioè quel conflitto che si creò tra i prigionieri del lager, che nella disperata ricerca di una via per sopravvivere spesso finivano per combattersi tra loro.

copertina del libro di primo levi I sommersi e i salvati

La morte di Primo Levi sopraggiunse mentre stava lavorando alla propria biografia, ripercorrendo e raccontando la propria vita a Giovanni Tesio, studioso torinese: morì a seguito di una caduta (tra le ipotesi, il suicidio), l’11 aprile 1987, a casa sua, in Corso Re Umberto 75, dov’era nato e aveva vissuto tutta la vita: l’assenza più lunga era stata quella causata dalla prigionia. Il corpo di Primo Levi si trova sepolto al Cimitero Monumentale di Torino.

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