“Progetto Kinetics” è un thriller fantascientifico che immagina la scoperta di un modo per muovere gli oggetti direttamente con la mente, usando le onde gamma del cervello. La scoperta risveglia però l’interesse dei militari… – Su ilLibraio.it un capitolo

Progetto Kinetics. Onda zeta (Harper Collins) è l’esordio come romanziere di Patrick Hemstreet, che nella vita, oltre che scrittore, è neuroingegnere, imprenditore, inventore, medico di guerra, comico e attore. Mescolando thriller e fantascienza Hemstreet immagina la scoperta di un modo per muovere gli oggetti con la forza della mente. E quali interessi si scatenerebbero per impossessarsene.

paatrick hemstreet progetto kinetics

Neurologo idealista e appassionato ricercatore, Chuck Brenton è sempre stato affascinato dalle onde gamma, le più rare fra quelle prodotte dal cervello umano, ed è proprio dai suoi studi che scaturisce un’idea rivoluzionaria: se gli impulsi elettrici generati dai neuroni potessero essere imbrigliati per fare qualcosa di più che inviare segnali luminosi o grafici durante un EEG? Se potessero far muovere altri oggetti a distanza, magari tramite un’interfaccia meccanica che colleghi la mente e il mondo esterno? Matt Streegman, matematico e docente del MIT, capisce di poter fornire un contributo risolutivo al progetto e contatta il neuroscienziato per offrirgli il proprio aiuto e proporgli di formare una società. Nasce così la Forward Kinetics, e nel nuovo laboratorio comincia il lavoro di sperimentazione sui soggetti prescelti. I risultati sono strabilianti, ed è subito chiaro che abilità del genere potrebbero trasformare il mondo, sostituire paura e sofferenza con pace e stabilità. Ma un gruppo di individui senza scrupoli è deciso a impadronirsi di quei nuovi superpoteri e a usarli per i propri scopi… tutt’altro che pacifici.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto del libro:

Chuck sistemò Sara in modo che vedesse bene il grande schermo piatto del computer, ma non potesse raggiungere il mouse, la tastiera o il trackpad. L’interfaccia cinetica era collegata alla porta USB e il programma che lei usava era già aperto e pronto all’uso.
«Cosa devo fare?» chiese la ragazza. La sua eccitazione non traspariva affatto dalla voce, ma era più che evidente negli occhi.
«Qualcosa di facile» replicò Matt. «Qualcosa che farebbe senza neppure pensarci. Solo che, stavolta, deve pensarci. Che cosa fa di solito quando si siede davanti al computer?»
«Apro un file di progetto o ne creo uno nuovo.»
«Okay, allora ci provi. Pensi ai passaggi che deve eseguire per creare un nuovo file.»
Sara strinse i braccioli della poltroncina e fissò intensamen-te lo schermo. Seguì un lungo momento di silenzio in cui non accadde assolutamente nulla.
«Che cosa sta cercando di fare?» domandò Chuck.
«Muovere il mouse. Sto immaginando la mia mano che lo sposta fino a portare il puntatore sulla voce File.» «Non credo che così funzionerà» disse Dado. «È troppo legato al contatto fisico con il mouse. Sono i sensori interni al mouse che deve influenzare.»
Sara gli lanciò un’occhiata smarrita. «Ma io non ho idea di quali sensori abbia un mouse.»
«Provi con qualcosa di diverso» intervenne Chuck, mordic-chiando il cappuccio della penna. «Il trackpad o magari la ta-stiera.»
Sara annuì, tirò un bel respiro e tornò a guardare lo scher-mo. Socchiuse gli occhi, strinse le labbra e una gocciolina di sudore si formò sulla sua fronte. Subito dopo, il puntatore si mosse sullo schermo, scorrendo lentamente verso l’alto.
La sala si riempì di grida e risate.
«Te l’avevo detto!» esclamò Matt, guardando Chuck.
Non è che abbiamo sconfitto la fame nel mondo, però… pensò lui. Ma adesso era il momento di festeggiare, di lasciare spazio alla pura adrenalina che gli correva nelle vene per quel magro successo. Perché, finalmente, anche lui riusciva a intravedere un futuro in cui tutti sarebbero riusciti a comandare un com-puter col pensiero.
Fu Dado a riportarli al presente. «Come ha fatto?» chiese. «Com’è riuscita a spostare il puntatore?»
«Ho immaginato di toccare il trackpad. O di tracciare una linea attraverso i contatti. Questo deve avermi aiutato. Ve-diamo cos’altro riesco a fare.»
Il secondo tentativo si tradusse nel raggiungere con il puntatore la barra dei menu, cosa che Sara ottenne passando mentalmente il dito sul trackpad. Poi fece scorrere il puntatore in senso orizzontale, impiegando diversi minuti per arrivare alla voce File.
Ma, a quel punto, il puntatore si bloccò.
«Non so come cliccare» disse, nervosa e impaziente.
«Normalmente, come aprirebbe quel menu?» domandò Chuck.
«Battendo il dito» spiegò, dando una dimostrazione sul bracciolo. «Ma non sono certa…» Guardò di nuovo il trackpad e batté più volte il dito sul bracciolo, ma il menu File non si aprì.
Chuck stava per suggerirle di fare una pausa quando Sara sbuffò in aperta frustrazione, strinse con le mani i braccioli della poltroncina e sbatté gli occhi.
Il menu a tendina si aprì come d’incanto.
Dopo un istante in cui tutti nella sala tirarono un sospiro di sollievo, il puntatore scese verso la voce Nuovo. Poi Sara strinse i denti, si aggrappò ai braccioli e sbatté di nuovo gli occhi. Un nuovo file riempì lo schermo.
E stavolta nessuno tenne a freno l’entusiasmo.
Purtroppo, quella fu l’ultima volta che festeggiarono. Perché, anche se Sara riusciva a usare il puntatore immaginando di muovere le dita sul trackpad, spostandolo, aprendo i menu e cliccando le soft key, anche se riusciva a digitare stringhe di testo pensando alle lettere della tastiera, risultò impossibile usare le funzioni del programma vere e proprie. Neppure i tentativi di disegnare qualcosa a caso nella sezione di lavoro diedero risultati positivi.
«Il problema è l’interfaccia utente» spiegò Sara più tardi, quando si presero una pausa per ragionarci sopra. Si passò stancamente la mano sul caschetto di capelli scuri che le arrivava fino al collo, scompigliandoli, poi aggiunse: «Devo concentrarmi così duramente sul trackpad da non lasciare spazio ad altro. Non appena penso alla sezione di lavoro, perdo il controllo del sistema. Ci ho provato in mille modi, ma non riesco a evitarlo».
«Chiaramente dobbiamo lavorarci sopra» borbottò Matt. «Ma non c’è motivo per cui l’interfaccia debba funzionare perfettamente con Mike e non con lei… a meno che il problema non sia una scarsa conoscenza dei computer o del programma.»
Chuck trasalì per quelle parole.
«Uso i computer da anni» replicò Sara, gelida come un cubetto di ghiaccio. «E se vuole una lezione su questo programma e sul mio lavoro non ha che da chiederlo. Credo che riuscirei a far entrare qualche concetto persino in quella testa di…»
«Direi che per oggi può bastare» intervenne Chuck, chiudendo il portatile per sottolineare l’idea. «Lasciamo che sia il subconscio a lavorare sul problema. Spesso, quando vado a sbattere contro un ostacolo, ci dormo sopra e la mattina dopo salta fuori almeno un frammento della soluzione.»
Sara annuì.
Matt, per contro, alzò gli occhi al cielo. «Dovete perdonare Chuck» disse all’intero gruppo. «Crede ancora che l’angelo della scienza gli faccia visita nel sonno.»
Lui scosse la testa. «Mai parlato di angeli.»
«E lei deve perdonare Matt» intervenne Dado, rivolto a Sara. «Crede ancora di sapere cosa sia una normale interazione tra la gente.»
Chuck sorrise, ma Matt non pareva intenzionato a demordere. «Però credi agli angeli, no? Non avevi detto di essere re-ligioso? E allora, perché non preghi Iddio di mandarti una visione che ci spieghi come risolvere il nostro piccolo proble-ma?»
Che diavolo gli prende? Sembra persino rabbioso. Per essere un ateo, ne fa di crociate!
«Io non le definirei visioni» intervenne Eugene in un nuovo tentativo di placare gli animi. «Sono più ispirazioni che arri-vano improvvise. Non so se le mandino le fate della scienza o gli elfi delle invenzioni, ma funzionano.»
Sara rivolse a Matt un sorriso glaciale. «Comunque sia, Chuck ha ragione. Succede anche a me sul mio lavoro. Un progetto sembra sbagliato, inarrivabile, tanto impossibile da sbattere la testa contro il muro fino a quando non vai a letto… e la mattina dopo ti svegli e ti rendi conto che c’è una porticina nascosta che non avevi visto. Quindi, non sottovaluti le fatine della scienza, dottor Streegman. Esistono, sa?»

(continua in libreria…)

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