La prosopagnosia è un deficit percettivo che non permette alle persone di riconoscere il proprio volto e neanche quello degli altri. Su ilLibraio.it ne parla Isabella Borghese, autrice del romanzo “Gli amori infelici non finiscono mai”, che racconta delle letture che hanno ispirato il suo libro, tra cui i testi di Oliver Sacks

Solo cinque mesi fa, era il 30 agosto del 2015, Oliver Sacks è morto lasciando un vuoto nella letteratura contemporanea, quello spazio che oggi sui nostri scaffali è occupato da storie di uomini e donne, minoranze affette anche da prosopagnosia che Sacks ci ha donato e in Italia editi da Adelphi.

Un termine curioso, prosopagnosia, curioso e difficile da pronunciare, ho riflettuto la prima volta che l’ho incrociato.

Difficile, tuttavia, solo perché è davvero raro che in Italia qualcuno lo nomini, eppure facile da memorizzare (dal greco prosopon: faccia e agnosia: mancanza di conoscenza): dunque un deficit percettivo che non permette alle persone di riconoscere il proprio volto e neanche quello degli altri.

Sacks ne era affetto e in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, forse tra i suoi libri più noti ai lettori, ne ha raccontate di storie di queste minoranze.

Ha persino lasciato nero su bianco, tra le tante, la storia di Stephen D., uno studente di medicina che non riconoscendo i volti sviluppò un forte senso dell’olfatto, salvo poi, noi lettori scoprire, in In movimento, l’autobiografia di Sacks (pubblicata in Italia post mortem) che Stephen D., non era altro che l’autore del libro, e che fosse prosopagnosico, questo di Sacks, non era un mistero per nessuno.

Ma in Italia è stato anche Davide Rivolta, psicologo, scienziato cognitivo e autore di Prospoagnosia. Un mondo di facce uguali, con i nostri incontri su skype, come grazie ai confronti via mail e ad alcune testimonianze di prosopagnosici, a permettere che la mia curiosità verso la prosopagnosiasi “facesse racconto” in Gli amori infelici non finiscono mai, dove L’Uomo senza Volto,protagonista maschile della storia che ho narrato, a seguito di un incidente, non riconosce più se stesso allo specchio, né chi gli è intorno. L’incontro con i libri di Sacks e con Rivolta per me è diventata un’occasione straordinaria di scrittura, quasi unica, perché immedesimarsi in un uomo, ma soprattutto in una persona che esce dall’ospedale e non riconosce più se stesso, né la moglie, significa dimenticarsi di essere donna, o vuol dire anche mettersi da parte per lunghi momenti, e non solo nelle ore in cui si scrive, soprattutto in quelle in cui si è tra le strade, nei luoghi dove si ambienterà la storia, perché saranno attimi intensi e lunghi, in cui si fingerà di non riconoscere nessuno, muovendosi e cercando di sentire ogni cosa con lo sguardo di un uomo; ci si domanderà Chi è? la persona che ci saluterà, e conosciamo, e si tenterà di capire subito dopo il vuoto – il disagio, meglio, e il conflitto interiore – in cui si precipiterà nel non riconoscere chi si sarà rivolto a noi. L’imbarazzo, sì, anche tra l’imbarazzo toccherà districarsi e con tutta l’umanità che le nostre debolezze ci raccontano, e qualche volta ci fanno nascondere tra gli anfratti della vita.

Significa affinare tutti i sensi di cui disponiamo per metterli poi a servizio della storia, inventare personaggi esteticamente fuori dai canoni imposti dalla società, assegnare un significato nuovo alla bellezza, perché un uomo che non riconosce il bello dal brutto, racconta la sua personale bellezza grazie a un particolare che gli consente di riconoscere una donna, un uomo, e che allora sia un neo grosso su una guancia, o una bocca con gengive molto alte e denti molto piccoli o un naso alla Depardieu sul volto di una donna, poco importa, perché a prevalere sarà la volontà – aggiungerei il piacere, come la novità – di vedere il mondo con gli occhi del protagonista; è il racconto della sua vita, il desiderio di lasciarsi andare e misurarsi con uno sguardo differente, come mettere in conto l’esistenza di nuovi canoni e così lasciarsi trasportare da una esistenza sicuramente differente da quella dei più.

Ma la storia dell’Uomo senza Volto, tuttavia, grazie alle magie che solo i libri sanno fare, si è intrecciata all’inizio per una coincidenza non voluta, poco dopo per la mia voglia di ricercarla, a quella de L’eredità di Eszter, di Sándor Márai. Non è stata in Dalla sua parte la mia esigenza e la mia volontà di raccontare una storia d’amore e neanche in questo romanzo, eppure nel titolo Gli amori infelici non finiscono mai, l’amore è soggetto, protagonista, seppure infelice.

Ho finito con lo scegliere una frase del romanzo dello scrittore ungherese, così come da quelle pagine ho scelto altri due nomi – un omaggio a Márai – divenuti personaggi della mia storia, Eszter e Lajos. Un romanzo breve che mi ha affascinata e infastidita, dove una donna, Eszter, pare rassegnata alla vita, benché l’amore sia la sua unica ragione. È la rassegnazione ad avermi turbata.

Ma l’amore, dunque, si è fatta una scelta inevitabile perché alla fin fine, nelle storie, così come nella vita, evidentemente questo sentimento accade e basta, non è mai una volontà consapevole, un ingrediente da aggiungere con il misurino, facendo attenzione alle dosi, perché proprio l’amore sia più o meno dolce, più o meno saporito, secondo “il nostro palato, il nostro gradimento”.

No, l’amore arriva e quando è così persino in un romanzo bisogna saperlo accogliere, se intende viverci. Dev’essere, allora, un amore gestito con la cura che merita, che in silenzio chiede allo scrittore di essere rispettato, capito e consegnato ai lettori.

L’Uomo senza Volto, in fondo, dev’essere la dimostrazione che essere affetti da prosospagnosia, non riconoscere i volti degli altri è la grande bruttezza di questa società, dove le persone per lo più vengono catalogate, dove a fatica ci si riconosce nell’altro, ma dove i più forti, o anche solo i più innamorati della vita, nel proprio intimo, cercano di affermare la propria esistenza nel modo in cui sono capaci. E così, l’Uomo senza Volto lo troverete davanti a una libreria, Alice nel paese delle meraviglie, dove acquista ogni giorno delle copie di un libro e le rivende ai passanti. È l’esordio di Gisella Montàr, la donna che ama e che non vede da tempo. E quello dell’Uomo senza Volto è l’ultimo atto d’amore verso la donna che non può più dimenticare.

E l’amore, allora, forse l’amore ho voluto raccontare – in silenzio, tra le pagine – solo l’amore, anche quello di Eszter, e sarà quel sentimento nobile, puro, persino cangiante, che permette di riconoscersi l’un l’altro (anche) oltre il riconoscimento dei volti.

Gli amori infelici non finiscono mai

IL LIBRO E L’AUTRICE –  Sembrerebbe uscita da un romanzo di Sandór Márai, Eszter, una giovane donna, precaria dell’editoria di giorno e cameriera di notte, protagonista femminile de Gli amori infelici non finiscono mai (Giulio Perrone Editore) di Isabella Borghese, una storia ambientata a Roma. La sua è una quotidianità piuttosto bizzarra: la incontriamo tutti i giorni sul 60, dove si muove tra personaggi singolari – l’uomo del Suicidio Premeditato, la Donna Silenzio, o Signora Impertinenza – e dove assistiamo all’entrata di biglietti volanti salva passeggeri e a soldi del monopoli utilizzati per pagare le multe. Un luogo strambo dove tra grida, silenzi, litigi e confronti emerge non solo il disagio della mobilità romana che non permette ai passeggeri di viaggiare dignitosamente ma anche la protesta viva degli autisti, costretti a lavorare in condizioni pessime. Ma cosa spinge Eszter tutti i giorni a salire su questo autobus? Dove deve andare? L’autrice, che su ilLibraio.it racconta quali letture hanno influenzato il libro, è nata a Roma.

Libri consigliati