In questi 13 racconti Bolaño gioca sui registri più vari: dal malinconico al grottesco, dal pornografico al fantastico, dall’ossessivo al comico…

“La violenza, la vera violenza, non si può fuggire, o almeno non possiamo farlo noi, nati in America latina negli anni Cinquanta, noi che avevamo una ventina d’anni quando morì Salvador Allende”: fin dalla soglia del primo di questi tredici racconti, raccolti in Puttane Assassine (Adelphi), Roberto Bolaño mette le carte sul tavolo. In tutti si manifesta infatti una qualche forma di violenza, alla quale nessuno (che sia vittima o carnefice) potrà sottrarsi: né il nerboruto giovanotto che pagherà caro l’aver seguito una donna per concupiscenza o vanità; né il fotografo che cerca di salvare due bambini indiani rinchiusi in un bordello per omosessuali; né il padre di B. (trasparente controfigura dell’autore) che durante una vacanza ad Acapulco si siede a giocare a carte con la gente sbagliata; né quel Lalo Cura (lo ritroveremo in 2666) che da bambino viene portato dalla madre sui set dei film a luci rosse da lei interpretati; né il fantasma dell’uomo che assiste alla vendita del proprio cadavere a un necrofilo – né il narratore stesso, costretto alla crudele erranza dell’esilio.

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