Soltanto il 16% degli italiani parla due lingue, comunitarie o extracomunitarie che siano, a fronte del 21% dei cittadini Ue (e il 40% non ne parla nessuna)

Il problema è noto da tempo, e oggi il Corriere della Sera dedica un nuovo approfondimento (con tanto di grafici e interviste a esperti) alla complessa questione, che riguarda la scuola, ma non solo: sì, l’inglese. Lo studiamo più di altri ma lo parliamo molto meno (e al liceo lo abbandoniamo), questa la sintesi del quotidiano, che cita statistiche preoccupanti, in un contesto ormai globalizzato: soltanto il 16% degli italiani parla due lingue, comunitarie o extracomunitarie che siano, a fronte del 21% dei cittadini Ue (e il 40% non ne parla nessuna).


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Il Corriere sottolinea inoltre che “l’Italia è tra i 14 Paesi europei che hanno imposto l’inglese come lingua obbligatoria a partire dai 6 anni (si inizia tra i 6 e i 9 anni nel resto della Ue; in alcuni Stati già nel periodo prescolare); un secondo idioma straniero è stato introdotto, nel 2010, a partire dagli 11 anni e sino al termine della secondaria di primo grado”. Alle superiori, però, solo il 23% dei ragazzi continua a studiare la seconda lingua straniera. “L’investimento fatto alle medie — circa duecento ore nei tre anni — è dunque a fondo perduto?”, si chiede il giornale di Via Solferino.

“Spesso nella scuola si ragiona per settori e si perde quel che viene prima e dopo”, spiega al Corriere Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia generale alla Bicocca di Milano. Che aggiunge: “Bbisogna ripensare a come si insegna. (…) Le lingue dovrebbero essere strumento per apprendere, prima che oggetto di studio, utilizzando brevi testi, adatti all’età: un fumetto, una recensione, un brano critico nell’idioma originale”.

La situazione è ben diversa in Svezia, Danimarca e Olanda, dove l’inglese è quasi una “prima” lingua, non solo tra i ragazzi.

Come sottolinea il quotidiano, “le ore scolastiche dedicate all’insegnamento delle lingue straniere sono simili, ma i paesi nordici eccellono perché l’immersione nell’idioma inizia fin da piccoli, con i cartoni animati non doppiati. Poi arrivano i film in lingua originale, i siti web consultati in inglese, i viaggi. Anche il contesto familiare fa la sua parte…”.

Probabile, tra l’altro, che il problema stia anche nei metodi di apprendimento.

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