“Quando parole e immagini funzionano bene insieme, aprono possibilità narrative che sarebbero impossibili per il solo testo…”. Mac Barnett, autore per ragazzi ora in libreria con “I terribili tre”, in un approfondimento scritto per ilLibraio.it in occasione della “Bologna Children’s Book Fair”, racconta il legame tra testo e illustrazioni. E spiega perché ama scrivere per i più piccoli: “Le persone che liquidano la letteratura per ragazzi come puerile, lo fanno perché pensano che i bambini siano puerili…”

Le cene mondane sono sempre difficili per gli scrittori per ragazzi. Finisci puntualmente accanto a qualcuno che si protende verso di te e ti chiede: “Quando scriverai un libro per adulti?”. Quello che intende davvero è: “Quando ti dedicherai a della Letteratura Seria?”. A volte osano persino specificarlo: “Pensi che scriverai mai un libro vero?”. Di solito me la cavo con una risposta breve ed educata, per poi cercare di versar loro qualcosa addosso accidentalmente.

Ma a te, lettore di questo magnifico sito – che con il mio italiano rudimentale e l’aiuto dei traduttori robot di Google sono riuscito ad apprezzare – darò la vera risposta a questa domanda inopportuna. Non lo so. Ma posso dire questo: se mai scriverò un libro per adulti, mi sentirò più limitato dalle convenzioni letterarie e dai gusti scialbi di un mercato consumistico più di quanto mi ci senta quando scrivo per i ragazzi. E questo è il segreto: i libri per ragazzi sono una fucina di narrazioni moralmente sofisticate e formalmente audaci. E la cosa ha senso, visto che l’infanzia stessa è territorio di esplorazioni. Quindi è naturale che i ragazzi siano degli abili lettori di letteratura sperimentale. Lo scrittore per ragazzi ha la libertà di creare percorsi narrativi ambiziosi e, se di successo, di vederli apprezzati ampiamente da un pubblico onesto ed entusiasta. Le persone che liquidano la letteratura per ragazzi come puerile, lo fanno perché pensano che i bambini siano puerili. Queste persone si sbagliano in entrambi i casi, e in più sono pessimi ospiti nelle cene mondane.

Oggi vorrei concentrarmi su una forma narrativa in particolare. Come molte buone idee disdegnate dagli agenti che controllano le definizioni dei generi letterari, questa tecnica pregevole prospera nei libri per ragazzi: raccontare una storia con parole e immagini.

La prima frase in Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll (illustrato dall’autore nel manoscritto originale e poi da John Tenniel in pubblicazione) è questa: “Alice cominciava a essere davvero stufa di starsene seduta con sua sorella sulla riva del fiume, senza nulla da fare: un paio di volte aveva sbirciato il libro che sua sorella stava leggendo, ma non aveva immagini né dialoghi, e ‘qual è l’utilità di un libro’ pensò Alice, ‘senza figure né dialoghi?’”.

Non dobbiamo pensare che Alice sia puerile: il libro che sua sorella sta leggendo non viene definito troppo difficile, da “grande”. Alice non sta mostrando un comportamento infantile. Lei vuole della narrativa. Il libro di sua sorella non ha illustrazioni ma nemmeno dialoghi. Si tratta di saggistica. “Qual è l’utilità di un libro senza figure?” chiede Alice. Molti dei suoi contemporanei adulti amanti della narrativa probabilmente sarebbero stati d’accordo con lei. Nell’Inghilterra del tardo Diciannovesimo secolo, i romanzi illustrati erano molto diffusi. Il successo di Il circolo Pickwick di Charles Dickens aveva inaugurato la moda dei libri con immagini, la stessa che un secolo dopo sarebbe caduta in disgrazia. Così funzionano le tendenze. Il che è un gran peccato. Alice è un’assolutista, e gli assolutisti non hanno quasi mai ragione. Certo che i libri senza figure hanno una loro utilità. Ma preferisco Alice ai moderni assolutisti che storcono il naso davanti agli albi, ai fumetti e ai romanzi illustrati. Non c’è niente di intrinsecamente sottoletterario nel combinare testo e immagini. E nemmeno c’è niente di intrinsecamente magnifico. Se scadente, l’illustrazione diventa ridondante o riduttiva. Ma quando parole e immagini funzionano bene insieme, aprono possibilità narrative che sarebbero impossibili per il solo testo.

Ma basta parole! Diamo uno sguardo ad alcune immagini. Ecco qui la prima pagina di una recente edizione di James e la pesca gigante di Roald Dahl, con le illustrazioni di Quentin Blake.

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Versione A

E qui invece c’è la prima pagina dell’edizione inglese dello stesso libro, pubblicato nel 1967 con le illustrazioni di Michel Simeon.

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Versione B

E infine, la versione americana del 1961, illustrata da Nancy Ekholm Burkert. Quella che leggevo da bambino.

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Versione C

È sorprendente: lo stesso romanzo illustrato in tre modi diversi offre al lettore tre esperienze diverse. Quale preferite? Se la vostra risposta è la A, non credo che vi inviterò al mio compleanno. Quanto appare scarna vicino alle altre due controparti! Le illustrazioni di Blake nel libro sono meravigliose, ma non cominciano fino alla pagina successiva. Come esempio di design editoriale è certamente quello più scialbo. Ma è anche quello meno narrativamente sofisticato: se studiamo la versione originale americana e inglese, ci rendiamo conto di quanto queste edizioni precedenti siano molto più coinvolgenti per la mente del lettore.

Concentriamoci sull’apertura di Michel Simeon, la versione B. È una composizione stimolante, che occupa la pagina elegantemente e usa lo spazio bianco in modo sapiente. La mossa di Simeon è astuta: sceglie di rappresentare l’apertura violenta della storia, una scena che dovrebbe essere insopportabile alla vista. Ma la sua scelta è attenta. La scena è successiva all’attacco, subito dopo che la bestia ha ingoiato i genitori di James. Le linee pulite di Simeon regalano all’orribile evento un’aria realistica che finisce per renderlo sopportabile. Dahl adotta la stessa strategia nel testo: “Poi un giorno la madre e il padre di James andarono a Londra per fare alcune spese, e lì accadde qualcosa di orribile. Furono entrambi divorati (in pieno giorno, pensate, e in una strada affollata) da un enorme rinoceronte arrabbiato che era fuggito dallo zoo.”

È tipico di Dahl: la tragedia colpisce il bambino nelle prime mosse della storia. Il colpo è veloce e il tono privo di emozione. Non abbiamo quasi per nulla accesso all’interiorità dell’evento, e non ci sono monologhi di James che piange la sua miserabile condizione. Ma questo non significa che il romanzo non sia approfondito dal punto di vista psicologico, o che Dahl non abbia alcun rispetto per i sentimenti del suo protagonista. Tutto quello che segue dopo la prima pagina può essere letto come l’espressione del dolore di James per la perdita dei suoi genitori. Il suo dolore e la successiva accettazione sono trasmutati in un’avventura fantastica all’interno di un frutto gigantesco. Non credo che la tragedia a Londra, resa in un’unica frase veloce, sia il momento cruciale del romanzo. Le illustrazioni di Simeon insistono nel farci soffermare su di essa un momento di più.

Dobbiamo tener conto del rinoceronte. È proprio lì nell’angolo a destra, in basso, che ci fronteggia mentre cerchiamo di voltare pagina. È un mostro o solo un animale? Un agente della cattiveria del mondo o solo il crudele incidente del destino? Due passanti che stanno uscendo di casa, un bambino e una bambina, assistono alla stessa scena e probabilmente devono farsi la stessa domanda. Un altro paio di bambini fissano la prima pagina di un giornale sventolata da un ambulante. Stanno leggendo un articolo sulla fuga dallo zoo, un pasticcio molto meno vivido della scena violenta che accade proprio accanto a loro?

E osservate: sulla sinistra, tutto solo, c’è James. Questa è la mossa più interessante di Simeon. Lui mette James a Londra, sulla scena dell’incidente. Dahl no. Il testo non preclude la possibilità che James abbia accompagnato i suoi genitori in città, ma nemmeno è esplicito in proposito. Simeon trasforma James in un testimone oculare. Distoglie lo sguardo dalla carneficina, fissando lo spazio bianco del margine sinistro, verso le pagine introduttive del libro, prima che la storia cominci. James vorrebbe tornare indietro, a quando era felice e i suoi genitori erano ancora vivi. Ma la storia va avanti, verso destra, oltre il rinoceronte, verso la vita miserabile con le orribili zie, che comincia proprio alla pagina successiva.

Una buona illustrazione è un atto di interpretazione. L’artista interpreta il testo in modo che il lettore sintetizzi la parola dell’autore e l’esegesi dell’illustratore. E l’interpretazione è la linfa vitale della letteratura. Quando interpretiamo, creiamo, e una buona immagine ci fornisce più materiale con cui creare. Questo è ciò che distingue un’illustrazione da una decorazione. Un’accusa comune contro le illustrazioni in narrativa è che queste limitano l’immaginazione. È meglio lasciare che le abili parole dell’autore dipingano un’immagine nella mente del lettore, sostiene questa linea di pensiero. E quando si tratta di decorazioni, tale attacco è ragionevole. Se l’artista disegna solo quello che si può già leggere sulla pagina, l’immagine è superflua, un mero ornamento. Ma in un’illustrazione efficace c’è tensione tra testo e immagine, e una relazione complessa. Una buona illustrazione può contraddire il testo, o amplificarlo, o raccontare una storia parallela di cui il testo non è cosciente. Un’illustrazione simile regala al lettore molto più materiale da decodificare, interpretare e creare.

Il legame inestricabile tra testo e immagine, il valore aggiunto del loro effetto insieme, ma in modi differenti, è il motivo per cui l’apertura della Burkert è la mia preferita (versione C). In questa prima edizione, l’incipit è diverso. Attira l’attenzione del lettore verso l’immagine: “Questo è James Henry Trotter all’età di circa quattro anni”. Segue l’immagine di un James sorridente, realizzata dalla Burkert. Dahl sta costruendo l’impalcatura per la parte illustrata. Una frase dà l’avvio, mentre l’immagine fornisce la battuta di chiusura. Nel chiamare in causa l’illustrazione, Dahl crea una parallasse: per capire questa storia, dovremo stare attenti sia alle parole che alle immagini, cercare indizi in entrambe, collegarle tra di loro. Quanto sarà più ricca e sofisticata la narrazione rispetto a una che usa solo le parole! E quanto più attenti dovremo essere noi lettori!
Proprio quando James è subito alle prese con il brutto colpo, nello stesso modo noi siamo colpiti da queste illustrazioni. Date un’occhiata a pagina due, uno dei più devastanti cambi di scena in un romanzo illustrato:

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Ecco lo stesso bambino, un po’ cresciuto e molto più triste. (Mi sento in dovere di informarvi che queste non sono le mie unghie dipinte d’oro). La prima azione di Dahl è mostrarci – chiedere alla Burkert di mostrarci – la gioia sul volto del bambino. La pagina successiva ci costringe a confrontarci con lo stesso bambino in disgrazia, in una stanza molto più squallida. Le sue condizioni sono crudelmente ribaltate nel giro di un cambio di pagina. E qui, ci viene detto in una frase sopra l’immagine di un bambino sfortunato, è “quando la storia comincia davvero.”L’effetto è di un falso incipit. Ci viene mostrato un ragazzino felice in riva al mare, vicino a frasi positive. Sentiamo il rovescio della fortuna di James in modo così profondo quando ci viene rivelato che quella prima immagine non contava nulla, e che questa nuova, triste realtà è la verità. Avvertiamo più intensamente il dolore dietro l’espressione di James dopo aver visto il suo sorriso. Dahl approfitta del nostro impulso più umano, la capacità di empatizzare. Dahl e la Burkert posizionano la faccia del protagonista davanti, che ci fissa, che ci guarda negli occhi. Prendiamo a cuore il destino di James dopo una frase e un’immagine. Nel momento in cui vediamo la seconda illustrazione, il legame empatico è diventato così solido da guidarci per il resto del libro.

È un trucco piuttosto evidente. James e la pesca gigante è stato uno dei primi romanzi che ho letto. Non ho mai dimenticato la potenza di quelle due immagini, quel testo che mi chiedeva di studiare l’espressione di un bambino e di diventare consapevole delle sue miserie. In effetti, ho usato lo stesso trucco per l’incipit di un romanzo che ho scritto con il mio amico Jory John, illustrato da Kevin Cornell. E sebbene il mio obiettivo fosse un effetto comico e non tragico, le mie speranze erano le stesse: instaurare una connessione emotiva tra il nostro protagonista e il lettore, creando un gioco stimolante tra le parole e le immagini. In più, penso che sia divertente.

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Ecco! Sono ritornato sulla scena del mio crimine e ho appena confessato. Ma senza rimorsi: funziona bene. Davvero non c’è piacere più grande di un libro con le immagini. Chiedetelo a William Thackeray. O a Kurt Vonnegut. A Maurice Sendak e a Lynda Barry. Chiedetelo ad Alice.

(l’intervento è stato tradotto da Manuela Salvi)

 

Mac Barnett

L’AUTORE DELL’INTERVENTO – Mac Barnett è uno scrittore americano di albi illustrati di successo, come Leo: A ghost story,  illustrato da Christian Robinson, in arrivo nel catalogo di Terre di mezzo Editore. È anche co-autore di una serie di romanzi per ragazzi: I terribili due, Mondadori.

I Terribili Due sono tornati! Hanno passato mesi a ordire scherzi esilaranti e sono pronti a far sbellicare dalle risate tutta la scuola. Se non fosse per un piccolo particolare… La loro vittima preferita, il preside Barkin, è stato rimpiazzato dal padre, l’ex preside Barkin. Il nuovo dirigente ha tutt’altra tempra rispetto al predecessore e non permette scherzi nella scuola, dirigendola con severità inaudita. Come faranno i Terribili Due a mantenere lo scettro di re degli scherzi se anche i loro piani migliori vengono repressi da Barkin l’Invincibile? Forse è arrivato il momento di chiedere aiuto. I Terribili Due sono tornati, sì, ma questa volta sono in Tre!

Il libro verrà presentato dall’autore alla Bologna Children’s Book Fair il 4 aprile.

 

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