“Mi ricordo come se fosse ieri il momento in cui ho iniziato a leggere ‘Il richiamo della foresta’…”. La scrittrice Ilaria Gaspari ha ripreso in mano per ilLibraio.it il capolavoro di Jack London: “Come la prima volta, la storia di Buck mi ha colta di sorpresa e mi ha trascinata in una fantasticheria ruvida e potente, quasi violenta, da cui non mi sono riscossa fino alla fine del libro…”

Rileggere Il richiamo della foresta

Mi ricordo come se fosse ieri il momento in cui ho iniziato a leggere Il richiamo della foresta.

Non era il momento migliore per iniziare.

Anzi: era un momento pessimo. Mi interruppero subito, e avevano ragione; stavo rovinando tutto a tutti quanti, anche se non lo facevo apposta. Avevo preso il libro, quasi per caso, dalla grande libreria della casa in campagna, i cui libri prendevano tutti lo stesso odore di muschio e di sere umide, e di casa di campagna; quell’odore che i libri nelle librerie di città, anche se nessuno li aprisse per anni e anni, non prenderebbero mai. L’avevo preso perché mi piaceva la copertina grigioverde, con la muta dei cani in corsa, malinconica e avventurosa; mi piaceva e soprattutto mi faceva pensare che fosse il genere di libro che, se fosse stata una ragazza in carne e ossa, Jo March avrebbe potuto leggere volentieri. Perché in effetti la prima volta che ho aperto Il richiamo della foresta, io ero Jo in una fallimentare prova di attrice; e il libro l’avevo scelto come parte della scenografia in una fallimentare prova di scenografa (perché, scoprii durante la recita, mentre mi scordavo che toccava a me parlare e i miei amici travestiti da Meg Beth Amy e Laurie se ne facevano una ragione continuando a improvvisare, Il richiamo della foresta era uscito quando Jo non era più una puledra scarmigliata, ma una nonnina puritana che invecchiava nel suo collegio).


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Il richiamo della foresta mi aveva proprio distratta, cogliendomi di sorpresa. Non pensavo che potesse piacermi; avrei detto, allora, quando dire una cosa del genere non sembrava avere niente di preconcetto o di problematico, che mi pareva un libro troppo da maschi – tutto sommato, il libro giusto per una Jo in carne ossa, non per un’aspirante Jo compassata e sentimentale com’ero io. Eppure, finita la recita, calato il sipario e smontata la scenografia rudimentale, l’avevo ripreso e nei giorni seguenti me l’ero divorato. Ed era successa una cosa che avevo dimenticato, fino a quando non l’ho ripreso, ora. Ora so che faccia da impunito aveva Jack London, che se lo vedi in fotografia, sotto quella zazzera, vorresti solo averlo per amico; ora conosco qualcosa di più della sua breve vita impetuosa, delle sue teorie socialiste e darwiniane un po’ ingarbugliate ma limpide, per aver letto un librino minuscolo di suoi scritti autobiografici uscito da Elliot qualche mese fa. E ho deciso di riprendere Il richiamo della foresta senza dovermi fingere Jo – non sapevo proprio cosa aspettarmi, ma vagamente mi immaginavo che mi sarei un po’ annoiata a rileggerlo. Ora, che mio malgrado sono ancora più sentimentale e compassata di allora, mi chiedevo come avrei fatto a raccontarlo senza essere costretta a dire che è un libro troppo da maschi.

Così ho ritrovato Buck, che è un po’ collie, un po’ San Bernardo e un po’ lupo, diverso da tutti – ma in un modo brutalmente evoluzionistico, senza la retorica consolatoria delle storie che vogliono essere educative e ispirare al successo e alla riscossa stormi di presunti brutti anatroccoli. Buck è, sì, un personaggio, ma solo perché è un esemplare di meticcio splendente di energia nella dilettantesca e combattiva biologia di London, nel suo appassionato evoluzionismo che si trasforma, da teoria, in un racconto epico, in un romanzo scalpicciante di vita che è una storia di avventura e di formazione. Con un cane per protagonista, ma – e questa è la cosa più straordinaria che ho capito e sentito, rileggendo Il richiamo della foresta su un treno, e poi in un bar, e poi sul tram – un cane che non viene mai umanizzato, nemmeno per un attimo. Non è la storia di un cane che cresce come un ragazzo che diventa uomo: è proprio la storia di un cane che torna a essere un lupo, e se Buck è davvero un personaggio, è proprio perché non c’è nemmeno una frase, nel libro, che tenti di farcelo immaginare come un personaggio umano.


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I passaggi più sentimentali, quelli che raccontano l’amore fra Buck e John Thornton, il suo padrone d’elezione, sono di una bellezza assoluta e disadorna; sono pagine schive e nervose, quasi timide, come belve che scelgano di deporre per un attimo la ferocia. Thornton è un avventuriero rozzo e incallito alla vita di frontiera, un giocatore d’azzardo saggio e sboccato, che conosce la vita e i ghiacci e i cani e non si fa prendere da sentimentalismi. Quando parla a Buck, lo fa con affetto, ma nella lingua che conosce; lo ricopre di parolacce e ingiurie. E Buck gli risponde a piccoli morsi: è così che si vogliono bene, come sanno volersi bene i cani e i padroni quando non cercano di scordarsi di appartenere a specie diverse.

Come la prima volta, la storia di Buck mi ha colta di sorpresa e mi ha trascinata in una fantasticheria ruvida e potente, quasi violenta, da cui non mi sono riscossa fino alla fine del libro. Una fantasia scalpitante di libertà, di neve e boschi mai visti, che si è insinuata nei miei pensieri in questo inizio d’inverno in città, con lo strano profumo pungente di camini che verso sera arriva chissà da dove, chissà come attraverso l’odore solido dello smog, quando meno te l’aspetti; una specie di fremito impaziente di cercare la luna enorme di cui tutti parlano in mezzo alla foresta delle antenne slanciate sui tetti come gruppi di gru a disagio. Che bello sarebbe, essere un cane che torna lupo, ho pensato mentre immaginavo neve e aghi di pino e slitte, e uomini che berciano in una lingua di cui si capisce il senso solo dall’intonazione, e avventure in foreste sconosciute, e ululati e corse senza fine. Ho cercato la luna che tutti dicevano enorme, ma c’erano troppe nuvole. Ero in ritardo, mi sono infilata nel metrò.

L’AUTRICE – Ilaria Gaspari, classe ’86, si è diplomata in Filosofia alla Scuola Normale di Pisa ed è al debutto nel romanzo per Voland con Etica dell’AcquarioQui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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