“Non solo forniscono una spazio costruttivo; esse aggiungono profondità di comprensione del mondo… e devono aiutare a forgiare una narrazione comunitaria e proiettarla all’esterno”. Su ilLibraio.it l’intervento di R. David Lankes, professore di biblioteconomia, che riflette sul ruolo delle biblioteche al tempo del terrorismo, e fa riferimenti all’11 settembre, ai disordini razziali a Ferguson (Missouri) dello scorso anno e alla Primavera Araba…

R. David Lankes è professore di biblioteconomia alla Scuola di studi sull’informazione dell’Università di Syracuse e direttore dell’Information Institute di Syracuse nello stato di New York. Ha partecipato a progetti di “reference virtuale”, ha ricevuto incarichi da parte di organizzazioni importanti come la MacArthur Foundation o l’American Library Association, ma fondamentalmente il suo contributo maggiore è il concetto di “nuova biblioteconomia”, espresso estesamente nel volume The Atlas of New Librarianship (The MIT Press), recentemente pubblicato in italiano a cura di Anna Maria Tammaro per Editrice Bibliografica (2014) col titolo Atlante della biblioteconomia moderna e che sta cambiando radicalmente l’approccio alla professione bibliotecaria.

All’indomani dell’attentato a Charlie Hebdo, a Lankes è stata chiesta una riflessione (che proponiamo integralmente in fondo) sul ruolo delle biblioteche nell’era del terrorismo. Si tratta di una testimonianza suo ruolo che possono giocare le biblioteche di fronte a episodi di tale violenza e gravità, con dei passaggi dedicati alle biblioteche e i bibliotecari in occasione di momenti epocali come l’11 settembre, i disordini razziali a Ferguson (Missouri) dello scorso anno e la Primavera Araba del 2010/2011. Il professore, tra l’altro, legge il testo, più che mai attuale alla luce dei tragici fatti che hanno coinvolto nuovamente Parigi nei giorni scorsi, in apertura del secondo congresso nazionale MAB (ovvero gli Stati Generali dei professionisti del patrimonio culturale).

Quanto al convegno al quale partecipa il professore americano, si tiene giovedì 19 e venerdì 20 novembre, dalle 10.00 alle 18.00, a Roma, presso la Biblioteca Nazionale Centrale. L’appuntamento mette sotto la lente coloro che ogni giorno subiscono direttamente quella “sottovalutazione clamorosa da parte delle istituzioni” verso le tematiche culturali ricordata a suo tempo dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Va ricordato che secondo i dati ICOM il valore del patrimonio culturale mondiale in Italia si traduce in circa 5.000 istituti (3.617 musei, 1.018 monumenti, 345 siti archeologici) che attirano più di 100 milioni di visitatori ogni anno, per un volume d’affari complessivo che sfiora i 105 milioni di euro. Lavorano per i musei decine di migliaia di professionisti, con la collaborazione di numerosi volontari. Quanto alle biblioteche, nel nostro Paese ci sono oltre 12.700, delle quali 6.700 fanno capo ai Comuni, circa 2.000 alle Università, 1.250 agli enti ecclesiastici e 46 al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Nel settore lavorano tra i 15 e i 17 mila bibliotecari, di cui 1.000 impiegati presso al Ministero; in generale circa il 40% opera con contratti atipici. Soltanto il 12% degli italiani frequenta le biblioteche.

Il congresso è organizzato dalle Associazioni rappresentative di Musei (ICOM), Archivi (ANAI) e Biblioteche (AIB), che dal novembre 2011 hanno deciso di unire le proprie competenze per dare vita al coordinamento MAB – Musei Archivi e Biblioteche. Come si legge in un comunicato, in programma due giorni di incontri e dibattiti aperti al pubblico per rinsaldare il fronte dei professionisti della cultura presentandoli alle istituzioni politiche come un soggetto unitario in grado di offrire proposte concrete e propositive, ma anche per rilanciare i Sistemi culturali a livello locale e nazionale, focalizzando l’attenzione su due nodi cruciali nella visione e nella strategia del MAB e strettamente connessi fra loro: il riconoscimento delle professioni e la formazione degli operatori del patrimonio culturale. L’obiettivo dell’iniziativa, che ha avuto anche il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, è quello di ripartire dalle fondamenta del Sistema culturale, così da poter innescare il rilancio e guardare con fiducia oltre la crisi, come chiedono gli stessi cittadini, che investono sempre di più in cultura e credono nel valore dei “presidi culturali” quali musei, archivi e biblioteche. Ciò significa che la fase di start-up inizia dalle modalità da attivare per raggiungere il pieno riconoscimento delle diverse professioni del patrimonio culturale.

Parigi

ED ECCO L’INTERVENTO DEL PROFESSOR LANKES DEDICATO ALLE BIBLIOTECHE NELL’ERA DEL TERRORISMO:

In questi giorni mi è stato chiesto:  “cosa dovrebbero fare le biblioteche pubbliche di fronte agli attacchi terroristici come quello di Charlie Hebdo?” Francamente una domanda che mi spaventa perché mai avremmo potuto immaginare un evento così drammatico. Ma partendo dal presupposto che tutte le biblioteche dovrebbero fornire un luogo sicuro dove acquisire gli strumenti per elaborare la tragedia e capirla, avanzo alcune idee: “essere sempre un luogo sicuro dove poter esprimere la libertà di espressione”, “ospitare discussioni e forum sulla libertà di espressione e sulla democrazia, ospitare un evento  convocando le diverse fedi, o ancora delle sedute con terapisti e genitori su come far sentire sicuri i ragazzi”, “utilizzare l’accaduto come opportunità per la biblioteca di essere un luogo sicuro per esprimere le emozioni e aiutare in tal modo la comunità”.

Da questa vicenda personalmente ho imparato tre lezioni.

La prima lezione è di combattere la violenza con l’informazione e con la capacità di capire.  L’11 settembre 2001 ero direttore della ERIC Clearinghouse on Information & Technology. Andai a lavorare quel giorno poco dopo che il primo aereo aveva colpito le torri gemelle del World Trade Center. Dopo che il secondo aereo aveva colpito l’intero personale della Clearinghouse si raccolse nel mio ufficio per guardare la tv. Inorridito e un pochino stordito, mandai tutti a casa. Quello era il momento di stare con le proprie famiglie.

Nel corso della settimana successiva ci siamo incontrati per porci esattamente la stessa domanda che mi è stata posta in questi giorni: “Cosa dovremmo fare?” A quel tempo fornivamo un servizio chiamato AskERIC che riceveva centinaia di domande di consulenza virtuali ogni giorno oltre ad avere un sito molto frequentato per gli educatori. La risposta che abbiamo trovato era di sviluppare InfoGuides  sull’attacco che aggiornavamo man mano che se ne capiva di più anche sulle questioni collegate. Abbiamo postato le informazioni in rete e le abbiamo inviate anche con e-mail. La risorsa più vista/utilizzata che abbiamo sviluppato era sull’Islam.

Ciò che ho ricavato da quell’episodio era che sulla scia della tragedia, le persone cercano la capire e vogliono conoscere quello che non sanno. Quindi i bibliotecari devono informare le loro comunità attraverso le FAQs, creare un archivio della copertura mediatica per creare una precisa memoria dell’evento, e tante opportunità per interazione tra culture, razze e idee.

La seconda lezione che ho da offrire l’ho imparata dalle biblioteche che hanno operato a  Ferguson (Missouri) durante i disordini razziali dello scorso anno: hanno aiutato la comunità a sviluppare la propria narrazione. Durante i disordini e la violenza a Ferguson le biblioteche pubbliche (Ferguson Public Library e Saint Louis Country Public Library) non solo sono rimaste aperte e hanno fornito un luogo sicuro per i bambini e i cittadini, ma hanno offerto una narrazione alternativa alla violenza. Mentre gran parte dei media si sono concentrati sulle azioni della  polizia contro la comunità di colore, le biblioteche hanno utilizzato i social media, i media tradizionali, e persino la cartellonistica fuori dagli edifici per parlare di Ferguson come di una famiglia.

Essi hanno messo in luce come con le scuole chiuse, gli educatori, i bambini e i genitori si sono uniti per creare la loro scuola su misura tra le corsie e gli scaffali delle biblioteche. Anziché permettere alla loro comunità di essere dipinta esclusivamente come folle nere arrabbiate che combattono contro una polizia militarizzata, le biblioteche hanno mostrato Ferguson come un luogo di razze diverse che si raccolgono attorno ai bambini, all’apprendimento, e al desiderio di avere un futuro migliore.

Le biblioteche non hanno diminuito la portata del conflitto, ne’ hanno ignorato il razzismo dilagante. Eppure le biblioteche non hanno chiuso, ne’ si sono ritirate. Le biblioteche  – no, meglio, i bibliotecari – hanno fatto qualcosa e hanno mostrato al mondo che Ferguson non è così diversa da Syracuse, o da Seattle, o da comunità in tutto il Paese … e che come quelle comunità, esse sono molto di più che non titoli di giornale. Esse hanno “umanizzato” una narrazione.

Ciò che ho portato con me da Ferguson era che le biblioteche non solo forniscono una spazio costruttivo; esse aggiungono profondità di comprensione del mondo. Danno alla comunità  possibilità di respirare, vivere il lutto, riflettere, e quindi agire e parlare.

La mia ultima lezione viene dai bibliotecari di Alessandria durante la Primavera Araba. Nel bel mezzo dei disordini e degli sconvolgimenti civili, i manifestanti hanno protetto la biblioteca. Laddove molti edifici governativi erano stati distrutti e saccheggiati, la biblioteca era stata protetta. Perché? Perché per gli anni prima dei disordini e dell’insurrezione, i bibliotecari avevano fatto il loro mestiere. Essi sono diventati risorse fidate per le comunità perché hanno fornito veri benefici al cittadino medio di Alessandria e servizi intellettualmente onesti.

La lezione, quindi? Continuate ad essere le risorsa per le vostre comunità. Continuate a dimostrare i valori del mestiere del fare il bibliotecario: onestà intellettuale, sicurezza intellettuale e fisica; apertura e trasparenza e l’importanza dell’apprendimento continuo.

Ciò che spero facciano le biblioteche francesi è ciò che io spererei di avere il coraggio di fare se fossi al loro posto: essere un luogo sicuro per parlare e imparare riguardo alle questioni pericolose. Invitare tutte le fedi a parlare sul come eliminare la violenza e sul come reagire. Fornire accesso pronto a  Charlie Hebdo e ai materiali controversi. Parlare (ospitare interventi, discussioni dei cittadini, eventi) dell’importanza della libertà di espressione in una società libera.

Aiutare a forgiare una narrazione comunitaria e proiettarla nel mondo. Cosa sta pensando e cosa sta imparando la comunità da questa tragedia? Cosa fate in quanto bibliotecari e cosa può funzionare. Cosa possono imparare altri bibliotecari su come reagire a questi eventi terribili?

E’ diventata la mia missione sollecitare i bibliotecari ad essere agenti impegnati, attivi nella trasformazione sociale. In altre parole, è diventata la mia missione far sì che i bibliotecari  migliorino le loro comunità attraverso un atteggiamento proattivo. Io credo sia cruciale per i bibliotecari cercare attivamente di cambiare il mondo e di renderlo un luogo per dove avvengono  sempre meno infamie come l’attacco di pochi giorni fa. Fare questo fa paura. Noi non siamo formati come terapisti del dolore e nessuno sceglie con leggerezza di correre verso un conflitto. Eppure se noi crediamo che i bibliotecari devono rendere migliori le nostre comunità (più sapienti, più capaci, più empowered) allora non possiamo tirarci indietro e dare un contributo attivo.

 

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