Sara Taylor e Chrissy Williams a confronto: romanziera e poetessa si raccontano, a partire dall’origine in parte italiana che le accomuna. La prima americana, cresciuta in Virginia, si sofferma sull’interesse per il Southern Gothic e sulla sua ricerca sulla mascolinità tossica che ha dato spunto al romanzo, “Tutto il nostro sangue”; l’altra, inglese, riflette sul ruolo della poesia oggi e svela il suo interesse per il fumetto, che ha cercato di ibridare con i versi. Entrambe le autrici saranno ospiti a FILL, il Festival of Italian Literature in London… – L’intervista doppia

Una scrittrice di romanzi e una poetessa. Una statunitense, l’altra inglese. Ad accomunarle, il fatto di avere una madre italiana. Si tratta di Sara Taylor, autrice di Tutto il nostro sangue (minimum fax, traduzione di N.Manuppelli), e di Chrissy Williams che ha scritto una raccolta di poesie, Bear, inedita in Italia, oltre a un’antologia che unisce poesia e fumetto intitolata Over the Line: an Introduction to Poetry Comics.

Entrambe saranno ospiti a FILL, il Festival of Italian Literature in London, organizzato da Claudia Durastanti e Marco Mancassola, che si terrà il 21 e 22 ottobre al Coronet Theatre di Nottingh Hill.

ilLibraio.it ha intervistato le due autrici per discutere di poesia e romanzi, ma anche di cultura italiana e dell’influenza del luogo di nascita sulla nostra identità.

FILL - Festival of Italian Literature in London

Sara Taylor, Tutto il nostro sangue è stato scritto in seguito a una lunga ricerca sulla mascolinità tossica. Di cosa si tratta?
ST: “Per me è una concezione pericolosa di cosa significa essere uomo: è l’idea che un uomo vero non sappia fare le pulizie, o non debba esprimere emozioni oltre alla rabbia. Influenza negativamente le persone che vivono accanto a loro, ma anche gli uomini, che non riescono a vivere appieno la loro vita. Le mie ricerche hanno riportato che, quando gli indicatori di mascolinità cambiano – un uomo che provvede alla sua famiglia perde il lavoro, ad esempio – il risultato è spesso la violenza. Perché agli uomini viene insegnato a esprimersi così”.

Esiste anche una femminilità tossica?
ST: “Se gli uomini sfogano verso l’esterno la loro rabbia, alle donne di solito viene detto di introiettarla. Ci sono sicuramente aspetti della femminilità che definirei tossici, per esempio sentirsi responsabili del modo in cui le persone ci trattano, ma sono meno visibili di quelli maschili”.

Chrissy Williams, lei è una poetessa e dirige anche un festival dedicato alla poesia, The Free Verse: Poetry Book Fair. La poesia è una forma espressiva capace di comunicare ai lettori del terzo millennio?
CW: “I lettori si interessano alla poesia. Anche persone che non leggono poesie ogni giorno, nei momenti particolarmente emozionali, come funerali e matrimoni, si avvicinano. Credo sia la prova di come la poesia sia capace di comunicare emozioni così complesse, in modo conciso”.

Il luogo in cui si cresce influenza la propria personalità?
CW: “Sarebbe impossibile il contrario. Il mare e la costa sono molto importanti nel Devon, dove sono nata, quindi sono cresciuta su e giù da una barca. Sarebbe stato impensabile in un’altra parte del paese. Ma sono anche cresciuta con nonni gallesi e scozzesi, e con una mamma italiana: quindi sono sempre stata fluida, perfino scettica, nei confronti dell’idea di appartenere a un luogo”.

ST: “Sono cresciuta amando gli ambienti della Virginia, ma anche sentendomi a disagio per la sua cultura. Sono stata educata a casa da mia madre e ho trascorso molto tempo con la mia famiglia, quindi il mondo fuori dalla mia porta è stato spesso un posto a parte. La letteratura detta Southern Gothic, però, mi è molto più famigliare del Sud in cui sono cresciuta. Si focalizza sull’ambiente e racconta il mio stato d’animo nei confronti della Virginia. Quando ho iniziato a scrivere mi interessava entrare in contatto con i libri che ho letto e che sono stati capaci di catturare l’atmosfera in cui sono cresciuta. L’unico modo per farlo era usare gli strumenti del Southern Gothic”.

Entrambe avete madre italiana. La cultura italiana come vi ha influenzate?
CW: “Parlo italiano abbastanza fluentemente, grazie alle visite ai miei cugini che vivono vicino a Torino e a cui sono molto legata. Scrivo anche in italiano, seppur lentamente. La lettura invece è più faticosa e richiede l’ausilio di un dizionario. Leggo poesie in italiano e anche dei romanzi, ma non quanto vorrei. Recentemente ho letto dei libri di Agatha Christie in italiano per esercitarmi nella comprensione con qualcosa di divertente”.

ST: “Non tanto quanto avrei desiderato. Mia madre è arrivata in America quando era molto piccola, quindi conosco meglio l’esperienza dell’immigrazione: la mia famiglia non era americana, ma nemmeno del tutto italiana. Mia zia ha tentato di mantenere il legame con l’Italia, raccontando aneddoti di famiglia e portando libri da ogni viaggio in Italia. Mi vergogno molto di non parlare italiano: da piccola lo capivo, ma a un certo punto hanno smesso di usarlo davanti a me per paura che non imparassi l’inglese, ma anche perché era la lingua con cui comunicavano senza farsi capire dai bambini. Da adulta ho sempre provato a leggere letteratura italiana ma, siccome non ne viene tradotta molta in inglese, ho deciso di imparare la lingua”.

Sara Taylor, parlando di madri, il suo nuovo romanzo The Lauras, ancora inedito in Italia, affronta il rapporto tra una madre e sua figlia. Da dove nasce l’interesse per scrivere una storia del genere?
ST: “Ho iniziato a scriverlo non appena mi sono trasferita nel Regno Unito. Mi madre non era felice del fatto che me ne andassi e in quel periodo ho iniziato a riflettere sul rapporto tra genitori e figli e di come cambia nel tempo. Di come i figli passino dal vedere la madre come parte di se stessi, a riconoscerla come un essere umano. E di come le madri dal preoccuparsi delle necessità fisiologiche del figlio debbano imparare a confrontarsi con le loro personalità”.

Chrissy Williams, lei è anche editor di graphic novel e ha pubblicato una raccolta di poesie a fumetti. Come convivono questi due linguaggi?
CW: “Mi interessa quello che accade ai fumetti quando la costruzione della pagina segue vie più sperimentali rispetto alle classiche regole. Aggiungere la poesia è un modo per arricchire la pagina. E, dal punto di vista del poeta, la dimensione visuale significa prendere atto dell’esistenza un altro aspetto, oltre al potere delle parole, che solitamente non viene considerato. Spesso è utile arrivare a qualcosa da direzioni diverse per rinnovare il modo in cui lo pensiamo”.

Ci potete rivelare i vostri prossimi progetti?
ST: “Sto lavorando a un romanzo su una coppia di americani che, in seguito al panico scatenato da una serie di casi legati ai riti satanici avvenuti negli anni Ottanta, decide di educare in casa i figli. E delle loro strategie per impedire ai figli di commettere errori, che ovviamente falliscono miseramente. Ora sono al punto in cui non vedo l’ora di abbandonare il progetto: significa che l’ho quasi finito”.

Quali sono i libri e gli autori che vi hanno influenzate di più?
CW: “In un certo senso credo di essere influenzata da tutto ciò che leggo. Da ragazzina ero ossessionata da Tolkien. Poi è stato il turno di Sylvia Plath. All’università mi interessavo dei poeti modernisti come Eliot e Pound, e un po’ a Walt Whitman. A vent’anni Iris Murdoch. Ora mi sembra che tutto abbia un’influenza. Lo stile di Ta-Nehisi Coates è così misurato, potente e allo stesso tempo intimo. Mi piacciono le poesie e i romanzi di Kei Miller. Ma sono anche influenzata da poeti più scherzosi, come Sam Riviere, Kathryn Maris e Luke Kennard”.

ST: “I primi libri che hanno fatto nascere in me il desiderio di scrivere sono i fantasy inglesi, che ho letto fin troppo da adolescente. Crescendo ho incontrato il genere Southern Gothic e ho scoperto di poter scrivere nel mio inglese e dei luoghi che conosco. Ora leggo molta più letteratura contemporanea, ma torno a quei libri ogni volta che voglio ricordarmi come faccio le cose”.

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