“Semplicemente perfetto”, il nuovo libro di Jostein Gaarder (autore del bestseller “Il mondo di Sofia”), affronta uno dei temi cardine della filosofia e della scienza di ogni epoca: cos’è l’uomo, con la sua estrema finitudine e transitorietà, rispetto all’infinitezza e all’eternità dell’universo? Albert, il protagonista del romanzo, ha cinquantasei anni e deve decidere se vivere o darsi la morte. Infatti una diagnosi ha squarciato la sua serenità: si è sentito dire che i sintomi a malapena accennati sono in realtà la premessa di una malattia terribile, la SLA… – L’approfondimento

Negli ultimi anni, la montagna è protagonista di romanzi di grande successo: il silenzio ovattato, interrotto solo dalla fauna e dallo stormire del vento, i paesaggi a perdita d’occhio e la quiete non fanno che suscitare pace e introspezione.

Sono proprio queste le premesse che portano Albert, il protagonista di Semplicemente perfetto (appena arrivato in libreria per Longanesi con la traduzione di Ingrid Basso), ad avventurarsi per i sentieri scoscesi norvegesi fino ad arrivare al lago di Glitrevik. Lì c’è la Casa dei sogni, una piccola baita dove lui e sua moglie Eirin nel 1972 hanno vissuto un sogno destinato a durare: sono in cinque ora (lui, la moglie e la famiglia del figlio Christian), e anche per questo, per avere un po’ di calma per riflettere, Albert ha scelto di isolarsi da tutti.

D’altra parte, sua moglie è in Australia per un congresso, completamente ignara della decisione che deve prendere il marito: vivere o darsi la morte? Una diagnosi ha squarciato, infatti, la serenità di Albert: lui, a soli cinquantasei anni, si è sentito dire che i sintomi a malapena accennati sono in realtà la premessa di una malattia terribile, la SLA. Il suo futuro, immaginato da sempre vicino alla moglie, al figlio e alla nipotina Sarah, è ora estremamente accorciato e la prospettiva di una fine atroce gli pare inaccettabile. Ora, al caldo della baita, decide di scrivere una lunga lettera alla famiglia, ripercorrendo la sua vita e infine decidere se darsi la morte o accettare gli anni che verranno (“Mi pare di intravedere un filo rosso in questo caos, ma non so dove mi condurrà”, p. 10; “Devo prendere una decisione da solo. Ma quando lo farò sarà per entrambi, anzi per tutti e cinque”, p. 29). Ma questo comporta rovesciare sulla pagina anche segreti che potrebbero fare male a Eirin e agli altri, perché, a dispetto delle accuse scherzose della moglie riguardo al suo non saper mentire, Albert ha mantenuto a lungo il silenzio su episodi – uno in particolare – che potrebbero turbare l’equilibrio familiare. 

Ma Jostein Gaarder nei suoi romanzi ci ha mostrato più volte come la trama, di per sé semplice, possa complicarsi con riflessioni tutt’altro che banali: per citare almeno due titoli, se nel celeberrimo Mondo di Sofia (1991, in Italia per Longanesi nel 1994 con la traduzione di M. Podestà Heir) Gaarder si interrogava sulla filosofia, nel più recente Mondo di Anna (2013, in Italia per Longanesi nel 2014 con la traduzione di L. Barni) si è soffermato sui problemi legati ai cambiamenti climatici. Questa volta, attraverso le parole e i pensieri di Albert, Gaarder affronta uno dei temi cardine della filosofia e della scienza di ogni epoca: cos’è l’uomo, con la sua estrema finitudine e transitorietà, rispetto all’infinitezza e all’eternità dell’universo?

E la semplice perfezione dell’universo lascia esterrefatti, a cominciare dalla semplice perfezione del cervello umano: che lo si spieghi con il ricorso alla metafisica o meno, l’uomo è parte di questo mondo in cui tutto si fonde e collima. Nei secoli, l’uomo è riuscito grazie alla ragione a spiegarsi parte del funzionamento dell’universo (anche se non le leggi ultime che lo regolano), ma questa capacità di comprensione è un’arma a doppio taglio: a dispetto delle altre creature, l’uomo sa bene di essere in transito e, pertanto, un giorno dovrà lasciare tutto questo. “La vita di un uomo si riassume semplicemente così: C’era una volta… E venne una notte. Adesso è arrivata la notte”, si legge a p. 58. Albert, infatti, avverte su di sé questo ticchettio incessante, fattosi sempre più imperioso da quando la sua dottoressa Marianne ha pronunciato la diagnosi, per lui sentenza senza via di ritorno. 

Non si pensi però che il romanzo di Gaarder viri così verso la più cupa disperazione: il suo protagonista, per quanto affranto dalla notizia, ricapitola con levità e con infinito amore le tappe della sua vita, insieme alla sua passione per l’astronomia, sempre affrontata con lo stupore di chi non si accontenta di transitare nel mondo, ma vuole lasciare un segno.

E i segni non mancano: c’è la fiaba – quella di Riccioli d’oro, che è rientrata, con le sue mille rimanipolazioni, tra le storie di famiglia –; c’è quell’amore che profuma di predestinazione e di spontaneità (“Le persone fanno spesso dei giri complicati prima di entrare in contatto diretto con gli altri”, p. 14); c’è uno sguardo quasi in chiave romantica della natura, a tratti spaventosa e sublime e a tratti quieta, pronta ad accogliere. E c’è un segno su tutti, quello che non possiamo rivelarvi, ma che contribuirà a far prendere ad Albert una delle decisioni più importanti della sua vita. 

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