“La paura, le paure, mangiano l’anima ed è meglio occuparsene prima che venga digerita e di noi non resti più nulla. È sulla paura che si edificano muri di ogni tipo”, racconta Simona Vinci a ilLibraio.it. La scrittrice, dopo la vittoria del Campiello, è ora in libreria con “Parla, mia paura”, in cui affronta gli anni che l’hanno vista combattere contro ansia e depressione: “Ci vorrebbe molta più conoscenza dell’argomento e anche molta più capacità di ascolto e reazione da parte del sistema sanitario e scolastico – insomma un’attenzione politica” nei confronti della malattia mentale, che è “ancora considerata qualcosa di vergognoso” – L’intervista

Simona Vinci torna in libreria dopo La prima verità (Einaudi Stile Libero), che le è valso il Premio Campiello nel 2016. Parla, mia paura (Einaudi Stile Libero) è una storia vera, quella della scrittrice che per anni ha sofferto di attacchi di panico e depressione.

Con sguardo clinico, mai autoindulgente, Simona Vinci seziona gli anni, i giorni, gli attimi che l’hanno portata giù, negli abissi della depressione, e poi i passi che ha percorso per risalire. Scava nell’intimità del suo corpo, in un percorso di ricerca dell’identità, ma anche nel suo passato e in memorie dolorose. Come E., l’amico e amato scomparso troppo giovane, proprio nel giorno in cui il romanzo d’esordio della scrittrice viene recensito su un importante quotidiano nazionale.

Non cerca assoluzioni, né compassione, semmai comprensione. A un certo punto sembra chiedersi forsennatamente il perché del suo malessere. Neomamma, nel momento in cui la società vede ancora l’apice della felicità femminile, ha una ricaduta. Solo a chilometri da casa riesce a mettere a fuoco la sua identità, la sua persona.

Simona Vinci racconta anche dei suoi medici: il chirurgo plastico che rende il suo corpo più simile a quello che ha sempre desiderato; il terapeuta a cui affida la sua mente. E dei luoghi che l’hanno circondata: la casa in cui ha quasi tentato il suicidio, la superstrada su cui ha camminato sperando che un camion la investisse e poi un giardino che l’ha salvata nei momenti più difficili. La sua oasi di pace.

Simona Vinci, come è arrivata a scrivere degli anni difficili che l’hanno vista affrontare ansia, panico e depressione?
“È un percorso cominciato con il libro precedente, il romanzo La prima verità, durante la stesura del quale a un certo punto un Io narrante indesiderato ha bussato alla porta e ha chiesto, anzi preteso, di farsi ascoltare. Alla fine del percorso, quell’io narrante apre e chiude il libro. Tante parti però le avevo lasciate indietro o cassate perché mi sembrava di caricare troppo quella narrazione, già a tanti livelli in tempi e luoghi diversi. E non volevo parlare di me”.

Simona Vinci

E poi cos’è accaduto?
“Valentina De Salvo di Robinson – Repubblica mi ha chiesto un pezzo sulla paura. Il pezzo è piaciuto a molte persone e con il mio editore abbiamo pensato che forse poteva aver senso offrire questa piccola testimonianza che è poi però anche una sorta di divagazione o meditazione letteraria sul tema della paura, appunto, della depressione, del suicidio, del rapporto con il corpo e soprattutto con gli altri. La paura, le paure, mangiano l’anima ed è meglio occuparsene prima che venga digerita e di noi non resti più nulla. È sulla paura che si edificano muri di ogni tipo”.

Milioni di italiani soffrono di disturbi legati alla depressione e all’ansia: a suo avviso l’informazione su questi temi è adeguata?
“No, secondo me non lo è, è molto superficiale, ci vorrebbe molta più conoscenza dell’argomento e anche molta più capacità di ascolto e reazione da parte del sistema sanitario e scolastico – insomma un’attenzione politica – sulla prevenzione e poi sulla cura dei malesseri. Quelli visibili e che gridano aiuto ma anche quelli nascosti, negati o taciuti per vergogna. La malattia mentale – perché la depressione è una malattia mentale – è ancora considerata qualcosa di vergognoso. Solo in certi ambienti ci si può permettere di essere o ‘fare’ i pazzi, la vita delle persone comuni è un’altra musica, una musica alla quale le note bizzarre non sono concesse facilmente”.

Nel suo libro sono numerosi i riferimenti alla letteratura, al cinema e alla musica: l’arte è di conforto nei momenti di maggiore vulnerabilità?
“Nel mio particolare caso sì, nel senso che quelle forme espressive fanno parte della mia formazione e della mia vita, così come il contatto con la natura, anche se devo dire la verità: nei momenti più neri niente offre conforto, neanche ciò che hai amato di più. Forse la differenza può farla la presenza amorevole, discreta ma costante di qualcuno che ti vuole bene e che soprattutto comprenda quando la tua sofferenza diventa patologica e richiede un aiuto professionale esterno”.

Il suo rapporto con il corpo e la femminilità è messo a nudo: quanto pesano sulle donne le aspettative legate all’aspetto esteriore?
“Pesano tantissimo, mi pare, ma nel mio particolare caso non era questione di aspettative esterne, ma di una ricerca di identità che aveva ovviamente a che fare anche con il corpo”.

Ci sono opere di non fiction autobiografica che le sono state d’aiuto nella stesura dell’opera?
“Sì, una tra tutte il meraviglioso libro di William Styron Un’oscurità trasparente del 1990, che non conoscevo e che mi ha consigliato di leggere Paolo Repetti, il mio editore”.

A quando il prossimo romanzo, dopo La prima verità? Ci può già anticipare qualcosa sui suoi progetti futuri?
“Credo che resterò in silenzio, da un punto di vista narrativo, per qualche anno. Ho tanti progetti in corso d’opera e sto già lavorando a un romanzo che sarà un thriller psicologico ambientato in epoche diverse per il quale però avrò bisogno di tempo. Forse meglio così, non crede? Un po’ di silenzio fa bene all’autore e anche ai suoi lettori”.

Libri consigliati