“Simone Weil detestava che la forza dominasse il mondo. Per tutta la sua breve vita s’interrogò su questo tema…”. Valentina Abaterusso ha tradotto “Il libro del potere”. E su ilLibraio.it ne conferma l’attualità

Il libro del potere (Chiarelettere, a cura di Mauro Bonazzi) raccoglie tre saggi di Simone Weil: L’Iliade o il poema della forza (1940-1941), Non ricominciamo la guerra di Troia (1937) e L’ispirazione occitana (1942). Su ilLibraio.it ne parla la traduttrice, Valentina Abaterusso:

Simone Weil detestava che la forza dominasse il mondo. Per tutta la sua breve vita s’interrogò su questo tema. E non si limitò a indagarlo dall’alto della sua cattedra in filosofia, che infatti abbandonò appena venticinquenne. Scelse di vivere la forza sulla propria carne. La forza del lavoro usurante in fabbrica e nei campi, quella che sottraendo tempo, pensiero e immaginazione riduce l’uomo a cosa. Ma anche quella della guerra, che lei, vissuta tra il 1909 e il 1943 e impegnata in prima persona contro i franchisti in Spagna, conobbe in tutto il suo orrore.

Per Simone Weil i Greci furono i primi a riconoscere l’insensatezza della guerra. Tutti nell’Iliade lottano per imporre il proprio volere, ma Omero descrive la forza come un’illusione: il vincitore è causa di infelicità per il vinto quanto il vinto per il vincitore, entrambi sono disumanizzati e, travolti dal vortice sordo del morire o uccidere, finiscono per smarrire la ragione stessa del conflitto e per accanirsi in un folle massacro.

Lo stesso accade oggi quando, per giustificare ancora una volta la violenza della guerra, dell’intolleranza, dell’ingiustizia, ci trinceriamo dietro parole prive di significato: Nazione, Sicurezza, Crescita… Anziché servirci del linguaggio per affrontare la complessità, scegliamo la soluzione più drastica e ottusa.

Omero e i Greci conoscevano la forza, per questo la disprezzavano. Dopo di loro fecero lo stesso gli occitani. Il rifiuto della forza si ritrovava nella loro pratica della non violenza, nella purezza e nell’equilibrio dell’arte e dell’architettura romaniche, nel senso di misura del canto gregoriano. E nella concezione dell’amore, quello cortese dell’attesa paziente e del rispetto dell’altro. Non è possibile concepire il bene senza passare dal bello. Volgiamoci alla bellezza di Greci e Occitani, ci dice Simone Weil, per liberarci delle «bassezze che compongono l’aria che respiriamo».

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