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Simonetta Agnello Hornby: “In viaggio con mio figlio per raccontare la disabilità”

Simonetta Agnello Hornby

Simonetta Agnello Hornby, amata scrittrice palermitana, cittadina inglese e italiana, ma anche madre e nonna (e avvocato) si è posta una domanda: come è stata raccontata finora la disabilità nell’arte? E così ha intrapreso un viaggio, il secondo, con il figlio George, affetto da sclerosi multipla.

Simonetta Agnello Hornby e il figlio George

Se il primo viaggio – che si snodava da Londra alla Sicilia – è stato testimoniato in un film documentario, Io & George, andato in onda su Rai3 nel 2015, il secondo è raccontato da un libro, Nessuno può volare (Feltrinelli)  e da un documentario omonimo, in onda il 25 ottobre alle 21.10 in prima tv assoluta su laF (canale 139 di Sky; mercoledì 11 ottobre, alle ore 20,30, si terrà a Milano, presso la Fondazione Feltrinelli, l’anteprima nazionale del film).

Nel libro il viaggio si lega a una riflessione più ampia che include anche la famiglia d’origine dell’autrice, dove la disabilità è sempre stata vista e vissuta con normalità, a partire dalla zia cleptomane, fino alla bambinaia zoppa, e quella da lei creata in Gran Bretagna. E vede prendere forma la storia del figlio George, anche lui avvocato, che ha scoperto la malattia solo dopo numerose visite e analisi.

Simonetta Agnello Hornby, come è nata l’idea dietro a Nessuno può volare, ossia di unire al libro un film documentario?
“Volevo compiere un viaggio attraverso l’Italia con mio figlio per comprendere la situazione di chi è disabile in questo paese. Il libro è la visione letteraria dell’esperienza, mentre per interessare molte più persone e coinvolgerle in una storia di disabilità c’è il film”.

In seguito al suo viaggio, quali legami ha scoperto tra arte e disabilità?
“Mi sarebbe piaciuto trovarne, ma non ci sono. Nell’arte il disabile o è grottesco, come nel caso del Nano Morgante che abbiamo visto a Firenze, oppure è cattivo. Nell’arte greca, romana, e più in generale europea c’è spazio solo per la perfezione”.

Cosa ha significato per lei viaggiare con suo figlio?
“Avevo già viaggiato con George e in quell’occasione lo avevo aiutato a lavarsi e vestirsi, ora invece ho raggiunto i settant’anni e ho paura di cadere e fare del male sia a mio figlio sia a me stessa. Per questo motivo durante quest’ultimo viaggio George aveva un assistente. A parte ciò, nella mia famiglia non notiamo la disabilità. Come si vede nel documentario, tra di noi comunichiamo come madre e figlio, non come madre e figlio disabile”.

Tra i romanzi che raccontano la disabilità ci sono letture che l’hanno colpita, e magari ispirata?
“In realtà, finora, non mi è capitato di incontrare questi romanzi”.

Da più di quarant’anni lei vive in Gran Bretagna: cosa la unisce ancora al suo Paese natale? E invece qual è il rapporto dei suoi figli e dei suoi nipoti con l’Italia?
“Io sono siciliana, italiana e inglese: ho tre paesi. E sono abituata a sentirmi parte di più nazionalità. I miei figli sono per metà italiani e sentono questa duplicità. I miei nipoti, invece, sono solo per un quarto italiani. E come mi ha ricordato mio figlio, c’è un motivo se si dice ‘lingua madre’: i miei nipoti, infatti, hanno mamme inglesi e non sanno quasi nulla in italiano. Tuttavia, la cultura non si basa tanto sulla lingua, che nel giro di tre generazioni si perde, ma sulla cucina, perché si vive mangiando. E io ho sempre cucinato piatti siciliani ai miei nipoti. Anche se ora, con Brexit, i miei figli vorrebbero dare ai miei nipoti la cittadinanza italiana”.

A proposito di Brexit…
“Si tratta di una grande stupidaggine. Ma nasce da un problema comune a tutta l’Europa: la classe politica è debole nella forza così come nell’onestà. Non ci sono più ideali comuni. In futuro si risolverà, tra dieci anni l’Unione Europea sarà diversa da quello che è ora”.

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