Paolo Di Stefano crea un epos dell’Italia contemporanea scovando in ogni minuta vicenda personale un frammento di universalità

C’è chi vende uova dopo la guerra e chi usa la stoffa dei paracadute per cucire gonne. Chi fugge dall’Italia per far fortuna all’estero e chi se ne va per scampare da un padrino violento. Ci sono donne che si buttano con l’elastico dai ponti e ragazzi che cadono da una finestra per non rialzarsi più. Partigiani e sarte, minatori e cameriere, maestri di scuola. Madri, padri, figli, figlie. E poi c’è uno scrittore, Paolo Di Stefano, che legge i diari o ascolta le parole di questi italiani non illustri – forse assurti agli onori o ai disonori della cronaca per lo spazio breve di un’indignazione, ma poi dimenticati, sperduti – e restituisce loro la voce che avevano smarrito, o di cui erano stati privati.

Dalla Sicilia arcaica e petrosa delle guerre mondiali alla Milano fuligginosa ma bella di oggi, nel libro Ogni altra vita (Il Saggiatore) Di Stefano racconta di innamoramenti e matrimoni, di bombe che cadono dal cielo e di battaglie che si combattono in famiglia; di litigi, incomprensioni, rotture; di piccole rivincite e grandi rivoluzioni del costume: gli anni sessanta e i settanta, le proteste studentesche, ma anche il ventennio fascista, e i decenni a noi più vicini, quelli in cui la Storia si fa storia, cronaca o memoria commossa di chi c’era. E ricorda chi non c’è più.

Con la grazie lieve e limpida che da sempre caratterizza la sua scrittura, Di Stefano scova in ogni minuta vicenda personale quel frammento di universalità che a ogni pagina ci fa riconoscere nei suoi personaggi – e in lui stesso, perché è la sua voce ad armonizzare le altre, creando un epos dell’Italia contemporanea che, rifuggendo dalle aule del potere e dunque da ogni retorica istituzionale, mira a illuminare il genius loci inconfondibile di questo nostro paese, a cui non si smette mai di tornare.

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