Era il 2 agosto 1980. I morti furono 85 e i feriti 200. Ma a distanza di 36 anni la strage di Bologna continua a far discutere. Su ilLibraio.it un capitolo da “I segreti di Bologna”

Era il 2 agosto 1980. I morti furono 85 e i feriti 200. Ma a distanza di 36 anni la strage di Bologna continua a far discutere. Per provare a raccontare la “verità” sull’atto terroristico più grave della storia d’Italia arriva in libreria per Chiarelettere I segreti di Bologna, firmato da Valerio Cutonilli, avvocato, e Rosario Priore, magistrato.

Dopo interminabili indagini giudiziarie e rinnovate ipotesi storiografiche, gli autori di questo libro, esaminando i materiali delle commissioni Moro, P2, Stragi, Mitrokhin, gli atti dei processi e degli archivi dell’Est, e documenti “riservatissimi” mai resi pubblici, hanno tracciato una linea interpretativa sinora inedita, restituendo quel tragico evento a una più ampia cornice storica e geopolitica, senza la quale è impossibile arrivare alla verità.

La loro inchiesta chiama in causa la “doppia anima” della politica italiana, le contraddizioni generate dalla diplomazia parallela voluta dai nostri governi all’inizio degli anni Settanta e, in particolare, lo sconvolgimento degli equilibri internazionali provocato dall’omicidio di Aldo Moro, vero garante di un patto con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina finalizzato a evitare atti terroristici nel nostro paese.

strage di bologna

Su ilLibraio.it il capitolo “La pista dimenticata di Rosario Priore” (per gentile concessione dell’editore)

La verità non ha tempo: non è mai troppo tardi per raccontarla. Non è mai troppo tardi per mettere insieme tutti i tasselli di un mistero di Stato. Sollevare il velo sulla strage di Bologna è un dovere soprattutto per chi, come me, ha indagato a lungo sulle vicende più torbide della storia dell’Italia repubblicana e conosce bene i limiti della verità giudiziaria. È arrivato il momento, dopo trentasei anni, di spiegare cose che ancora rimangono in sospeso. E per farlo, per tessere il filo sottile ma tenace che collega questo eccidio al contesto nazionale e internazionale dell’epoca, è di vitale importanza che il lettore tenga a mente alcune date e luoghi che spesso torneranno in questo libro. Veniamo ai fatti. Al momento dell’arresto a Roma, la notte del 9 gennaio 1982, il terrorista rosso Giovanni Senzani viene trovato in possesso di un appunto, scritto di suo pugno, che riassume i contenuti di un colloquio avuto a Parigi con Abu Ayad, capo dei servizi segreti dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Quest’ultimo confida al leader brigatista che le recenti azioni terroristiche avvenute in Europa celano la regia dell’Urss, intenzionata a sanzionare la politica dei paesi europei in Medio Oriente. Senzani annota uno dei tre attentati elencati da Ayad con la sigla «Bo», che io – in qualità di giudice titolare dell’inchiesta, che indagava sulle azioni compiute a Roma dalle Brigate rosse a partire dal 1977 –, non senza sorpresa, interpreterò come un evidente riferimento alla strage avvenuta alla stazione ferroviaria di Bologna il 2 agosto 1980. Invio copia del documento ai colleghi emiliani che stanno indagando sul la carneficina. La notizia, tuttavia, non si rivelerà di alcuna utilità. A riconoscerne l’importanza sarà invece Carlo Mastelloni, il magistrato del Tribunale di Venezia che condurrà in modo esemplare l’istrut toria sul traffico di armi tra l’Olp e le Brigate rosse. Altro fatto saliente. Poche settimane dopo, interrogo Ro berto Buzzatti. Il brigatista pentito riferisce di aver assistito a un in contro tra Senzani e un certo Santini, un uomo del Kgb vicino ai servizi segreti italiani e legato a una persona che conosce gli indicibili retroscena della strage di Bologna. L’identikit di Santini mi lascia sgomento per l’incredibile somiglianza con Pietro Musumeci, l’ufficiale del Sismi in seguito condannato per il depistaggio dell’inchiesta bolognese. Ma la differenza di altezza tra i due soggetti porta a escludere che Musumeci sia realmente l’uomo descritto da Buzzatti. E anche quella pista si rivela infruttuosa. Sempre nel 1982, all’aeroporto di Fiumicino, viene arrestata Christa-Margot Fröhlich. La terrorista tedesca trasporta una valigia contenente un potente esplosivo e alcuni detonatori. Chiamato a condurre anche quell’inchiesta, appuro i rapporti tra la donna e l’Ori, il gruppo filopalestinese di «Carlos lo Sciacallo», un pericolosissimo terrorista venezuelano legato agli apparati dell’Est, attualmente detenuto in Francia dove sta scontando l’ergastolo. Nessuno però mi avvisa che un dipendente del Jolly Hotel di Bologna, vista la foto della Fröhlich sul giornale, aveva segnalato ai magistrati bolognesi una forte somiglianza con una signora tedesca presente in albergo il giorno della strage. Può sembrare strano, ma apprendo il fatto solo nel 2005, dopo che la commissione parlamentare Mitrokhin acquisisce copia del verbale con le sommarie informazioni testimoniali. I commissari di maggioranza della Mitrokhin, infatti, stanno vagliando un’ipotesi investigativa sulla strage alla stazione, ignorata per venticinque anni, che rende finalmente comprensibili gli indizi emersi nelle mie vecchie istruttorie. La nuova pista nasce dopo una clamorosa scoperta effettuata da Gian Paolo Pelizzaro, giornalista e consulente della stessa commissione. Pelizzaro rinviene presso la Questura di Bologna alcuni documenti da cui risulta la presenza in città, la mattina del 2 agosto 1980, di Thomas Kram, un altro terrorista tedesco sospettato di militare proprio nel gruppo filopalestinese di Carlos lo Sciacallo. Secondo i commissari di maggioranza, la presenza di Kram è correlata all’attentato, concepito e realizzato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), gruppo filosovietico affiliato all’Olp, per punire l’Italia. All’inizio degli anni Settanta, infatti, il nostro governo aveva stipulato un’intesa segreta con le organizzazioni della resistenza palestinese – il cosiddetto «lodo Moro» – che consentiva a queste ultime di trasportare armi nel nostro territorio in cambio dell’impegno a non compiere attentati. Il patto viene violato nel novembre del 1979 con l’arresto, a Bologna, di Abu Anzeh Saleh, esponente dell’Fplp coinvolto nel traffico dei missili terra-aria Strela scoperto dai carabinieri a Ortona nei giorni precedenti. Il libro comincia proprio da questo evento, frutto della situazione tesa tra Usa e Urss, negli anni della Guerra fredda, che non risparmia il nostro paese e, seguendo l’iter di quelle armi, svela l’intrigo internazionale allora in atto. La condanna dell’espo nente palestinese, nonostante gli inviti alla clemenza rivolti dal Sismi ai magistrati di Chieti e il pubblico disconoscimento dell’accordo da parte del premier dell’epoca, Francesco Cossiga, potrebbe aver indotto l’Fplp a formulare reiterate minacce e poi a compiere l’attentato ritorsivo alla stazione di Bologna. Come accade spesso in Italia, purtroppo, il confronto sulle nuove risultanze cede subito il passo a polemiche di natura politica. La pista palestinese viene contestata dai commissari di minoranza della Mitrokhin, che invitano i colleghi a rispettare le sentenze sulla strage. Nel 1995, infatti, i terroristi neri dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro vengono condannati in via definitiva quali autori materiali dell’attentato. Nel 2007 passa in giudicato anche la condanna di un terzo neofascista, Luigi Ciavardini, processato a parte in quanto nell’agosto del 1980 era addirittura minorenne. Sempre nel 2005 la Procura della Repubblica di Bologna riapre l’indagine sulla strage per verificare la pista della ritorsione palestinese. Nel 2011 il pm Enrico Cieri iscrive nel registro degli indagati Kram e Fröhlich, ma l’inchiesta viene archiviata dal gip Bruno Giangiacomo il 9 febbraio 2015. Nella richiesta di archiviazione, motivata dall’insufficienza probatoria, il pm Cieri rileva «la persistente ambiguità di un elemento di fatto, storicamente accertato e non compiutamente giustificato: la presenza a Bologna del terrorista tedesco Thomas Kram, esperto di esplosivi, la mattina del 2 agosto 1980». In quell’esatto momento nasce l’idea del libro, che volutamente abbiamo suddiviso in due parti: una prima in cui vengono illustrati la genesi del lodo Moro tra l’Italia e i palestinesi e il ribollente contesto geopolitico internazionale prima della strage; e una seconda che ha per punto focale la strage con le relative indagini e le eclatanti scoperte. Abbiamo scelto questa formula cosicché il lettore arrivi al 2 agosto 1980 con tutti gli elementi a disposizione per capire e, dunque, giudicare.

(continua in libreria…)

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