Al Teatro Elfo di Milano “Cous cous Klan”: il registro tragicomico consente una mescolanza felice e amara dei generi, in uno spettacolo che affronta senza moralismi o tesi precostituite e in barba a ogni correttezza politica una quantità straripante di temi… – La recensione

Liquidi e reliquie. Scarsità e santità. Relitti e delitti. Prepuzio e precipizio. Roulotte russe e docce fredde. Dissipazione e fertilità. In un mondo discaricato e perso, gli opposti ci toccano. E in un universo raggelato e relegato ai margini, sei personaggi in cerca di ardore abitano un non luogo post-apocalittico con una vitalità combattiva e rabbiosa, cannibale e carnevalesca, disperatamente fertile.

La terra è desolata, luogo dello scarto e dello scarso: due carcasse di roulotte e un’auto come case, i cadaveri e il contrabbando come fonti di sostentamento. Il piatto piange, e questo Cous cous Klan appare dominato dalla mancanza, dell’acqua e degli strumenti di sopravvivenza certamente, ma ognuno è privato anche di molto altro: un mezzo sordo e mezzo muto omosessuale frustrato, un ex prete depresso e cinico, una cinquantenne con un occhio e un ovulo soli, un Mezzaluna terrorista islamico mancato manovalante della criminalità, un pubblicitario scacciato dal Paradiso del privilegio per hybris sessuale, una ribelle isterica e visionaria violata da un alto prelato. Eppure tutte queste amputazioni del corpo e dell’anima, questo venir meno desertificante, compone una pietanza ricca e abbondante: due ore piene di spettacolo sulla scena spoglia degli avanzi del consumo, un ritmo recitativo serrato e fisico sostenuto da una drammaturgia solida e inventiva (Gabriele Di Luca firma la produzione di Carrozzeria Orfeo, al Teatro Elfo di Milano dal fino al 31 dicembre) e da sei attori quasi sempre in azione e in perfetta alchimia esplosiva, tante risate a scena aperta e a denti stretti, un cabaret di turpiloqui e vaniloqui pienissimi di senso e sentimento, frustrazione e lampi di speranza.

Il registro tragicomico consente una mescolanza felice e amara dei generi, in uno spettacolo che affronta senza moralismi o tesi precostituite e in barba a ogni correttezza politica una quantità straripante di temi: dall’ecologia alla religione, dalla sessualità alla violenza, dal razzismo alla teologia, dalla pedofilia al terrorismo. Proprio il grottesco, sempre illuminato da una distanza ironica e giocosa, si rivela una chiave speculativa che illumina e provoca, e questa realtà così lontana e così vicina, finisce, attraverso gli eccessi e l’irriverenza, il paradosso e la provocazione, per riguardarci ancora più profondamente, ché il prossimo risulta certo l’altro e l’altrove, che quello che sta arrivando, quel futuro-presente che racconta questo presepe ribaltato e irriverentemente rinnovato, che contempla, senza facili consolazioni, tanto lo sconforto che l’ipotesi di rinascita. Buon Natale.

L’AUTORE: qui tutte le recensioni e gli articoli di Matteo Columbo per ilLibraio.it

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