Su ilLibraio.it il reportage dall’Ungheria (paese che spesso negli ultimi tempi ha fatto discutere per le scelte della sua politica) dell’insegnante e scrittrice Simonetta Tassinari, che racconta da vicino la scuola ungherese (le differenze con quella italiana non mancano) e la passione del paese per la lingua italiana

Sono moltissime, ormai, le persone che nel mondo studiano il nostro idioma attraverso cicli di lezioni e corsi organizzati, escludendo dunque il “fai da te” suscitato magari da una vacanza, da un libro, un film o semplicemente dall’amore per la buona cucina. Il loro numero è in costante aumento e una confortante notizia di pochi mesi fa rileva addirittura che l’italiano è la quarta lingua più studiata dagli stranieri dopo l’inglese, lo spagnolo e il cinese.

La Germania si trova al primo posto, la Francia la segue da vicino e, al di là dell’oceano, gli Stati Uniti contano su folte schiere di appassionati della lingua del “sì”, come direbbe Dante. Ma anche in altri paesi europei si sta diffondendo o, come nel caso dell’Ungheria, si sta consolidando, l’insegnamento dell’italiano.

L’occasione di uno scambio di classi tra il liceo scientifico molisano nel quale insegno e il “Berzsenyi Dàniel Gimnàzium” di Budapest, nel quale circa 140 alunni (su seicento) seguono i corsi di italiano, mi ha consentito un’esperienza sul campo abbastanza approfondita e, tutto sommato, sorprendente e lusinghiera.

Trascurando ovviamente l’apprendimento in forma privata, personale o familiare, per il quale mancano dati e statistiche (benché sia sempre stato piuttosto diffuso, per motivazioni soprattutto culturali e artistiche), in Ungheria l’insegnamento “strutturato” dell’italiano vanta una lunga tradizione, addirittura quasi secolare. Difatti venne introdotto già nell’anno scolastico 1924-25, assieme all’inglese, ed ebbe subito un grande successo.

Nel secondo dopoguerra, a causa dei cambiamenti politici, tutte le lingue occidentali vissero in Ungheria un lungo periodo di declino, soppiantate dal russo. L’italiano venne guardato ancora con maggior sospetto, per essere stato introdotto da un regime vicino a quello fascista. In seguito, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ci fu una certa ripresa, seguita da una certa fluttuazione; attualmente, specie nei grandi centri e nella capitale, le cattedre di italiano nei licei sono tante, e gli studenti che si iscrivono ai corsi decisamente numerosi.

Oltre a essere presente nell’offerta formativa di parecchi licei; il “sì” suona nei Dipartimenti di italianistica nelle maggiori città universitarie; nel caso essi manchino, la nostra lingua si studia nei centri linguistici che sono comunque annessi alle università, e la relativa certificazione attribuisce dei crediti universitari nelle facoltà di qualunque tipo. Molto attivo è l’Istituto italiano di cultura di Budapest, in Bròdy Sàndor utca (utca significa via ), retto dal dottor Gian Luca Borghese, alle dipendenze del Ministero degli affari esteri. Nell’Istituto italiano di cultura, peraltro presente ogni anno anche alla Fiera del Libro di Budapest con un proprio stand, si svolgono corsi, seminari, festival della lingua italiana, presentazioni di libri, mostre ed eventi sempre molto partecipati.

L’Istituto offre anche la possibilità, alle scuole ungheresi dove è previsto l’insegnamento della nostra lingua, medie e superiori, di accedere a fondi per l’acquisto di libri o di altro materiale didattico.

Per tornare al “Berzsenyi Dàniel Gimnàzium”, da professoressa italiana ho subito notato alcune differenze con i nostri istituti come, ad esempio, l’orario scolastico (dalle otto del mattino fino alle tre di pomeriggio), la durata dell’unità didattica (quarantacinque minuti) e soprattutto l’assenza dell’intervallo così come noi lo conosciamo da generazioni, ovvero la famosa “ricreazione” a metà mattina, della durata di una decina di minuti. In effetti l’usanza ungherese è quella di prolungare non solo la giornata scolastica, ma anche le pause: tra un’ora di lezione e l’altra, infatti, c’è una sosta di dieci-quindici minuti, durante i quali i ragazzi sono liberi di muoversi, utilizzare i bagni, mangiare, acquistare qualcosa al bar o anche accomodarsi nel vasto atrio dove si trovano panche e tavolini; infine, anche di giocare a calciobalilla.

Per la pausa pranzo, più lunga delle altre, c’è la mensa, che tuttavia non è obbligatoria, perché ciascuno può anche consumare, nell’apposito spazio, quel che si è portato da casa. Di sabato le lezioni si interrompono, tranne nel caso di particolari attività.

Ho conosciuto personalmente gli alunni del liceo “Berzsenyi Dàniel” che hanno scelto l’italiano (come seconda lingua straniera), e ho parlato direttamente con loro e con i loro insegnanti, Mària Kormos (Capo dipartimento), Zoltàn Horvàth e Zsuzsanha Kontos. Stupisce la scorrevolezza con la quale, nella maggioranza dei casi, questi ragazzi ungheresi sostengono un dialogo, scambiano informazioni con noi madrelingua, seguono video, ascoltano e interpretano canzoni italiane, classiche o contemporanee, pur trovandosi solo al secondo anno del loro percorso. “Seguiamo un metodo”, mi ha detto Mària Kormos, “che privilegia l’espressione verbale e la riproduzione, oltre che la comprensione, della lingua viva, pur senza trascurare la grammatica, soprattutto durante i primi anni. L’importante è farli innamorare della lingua e stimolare la loro curiosità nei confronti della civiltà italiana”.

“Lo stile di vita e la cucina italiana”, mi conferma Zoltàn Horvàth, che tra l’altro durante l’estate fa da guida turistica in Italia per gruppi organizzati ungheresi, “hanno una grande attrattiva per i nostri ragazzi, senza contare la bellezza della lingua”.

“L’ungherese appartiene al ceppo ugro-finnico e ha ben poco in comune con le lingue indoeuropee, in particolare con quelle neolatine come l’italiano”, mi ha detto Zsuzsanha Kontos, “eppure per noi non è particolarmente difficile, anche se, naturalmente, tutto dipende dal livello al quale si vuole giungere”.

Alla mia domanda sulla ricaduta pratica di una conoscenza di questo tipo, al di là della possibilità di diventare, a propria volta, docente di lingue o guida turistica per le visite guidate dei nostri connazionali (una quantità, si direbbe) che scelgono Budapest per i loro viaggi o le vacanze, i colleghi ungheresi mi rispondono, quasi in coro, che in alcuni ambiti come la moda, la musica lirica, la cucina, l’italiano è importante. In generale non è importante come l’ inglese o come il tedesco, il quale ultimo offre la possibilità di lavorare in Germania, nella confinante Austria o in Svizzera, dove gli stipendi sono ben più alti della media ungherese, ma “è bello, bellissimo”, mi si ripete dalla parte dei ragazzi.

Una risposta simile, anni fa, la ottenni a Monaco di Baviera, durante un progetto “Comenius” presso il Liceo “Louise-Schroeder Schule”: “Studio l’italiano”, mi disse un’alunna “perché, quando lo parlo, mi sembra di cantare, e poi è così bello!”. Sapere che si può decidere di studiare una lingua “perché è bella” è un privilegio e un onore per chi quella lingua già la possiede, ammesso che la si possegga…. tuttavia non è questa la sede per ritornare sul problema, sul quale tante volte si è discusso negli ultimi tempi, di una insoddisfacente, anzi di una insufficiente conoscenza da parte delle nuove generazioni (e non solo) del nostro idioma, un bene prezioso che, come tutti i beni, va coltivato.

Quanto a me, che cosa ho appreso da questo scambio culturale italo-ungherese? Parecchio sulla vita quotidiana budapestina (tale parrebbe il termine più corretto per indicare ciò che è relativo a Budapest, sebbene i pareri siano difformi); abbastanza sulla storia magiara, dal mitico capostipite Àrpad fino al Re Mattia Corvino; non molto, in verità, sulla lingua. Ho imparato a dire “ighen” (sì), “nem” (no), “jò” (va bene), e “köszönöm” (grazie): e basta.
Poiché, per l’appunto, si tratta di una lingua non indoeuropea, spero che tale ostica appartenenza (almeno per me) mi valga da nobile scusa.

L’AUTRICE * – Nel 2015 Simonetta Tassinari ha pubblicato La casa di tutte le guerre, romanzo ambientato in Romagna nell’estate 1967.
È da poco tornata in libreria, sempre per Corbaccio, con La sorella di Schopenhauer era una escort, un libro per i genitori, per i ragazzi, per chi non è genitore e non è neanche un ragazzo, per i curiosi, per chi vuole sorridere, e leggere, della scuola italiana. Un ritratto divertente della generazione smartphone-munita.
L’autrice è nata a Cattolica ed è cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino. Vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Ha scritto sceneggiature radiofoniche, libri di saggistica storico- filosofica e romanzi storici.

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