“Seattle mi ha ricordato perché amo i libri…”. Un reportage dalla città dell’affascinante “Seattle Public Library” (ma non solo), in cui non mancano spazi sorprendenti che non possono non colpire chi ama leggere…

Quanto tempo impieghi per capire se una città scivola sotto pelle oppure no? A me sono bastati 15 secondi. Ero a metà del mio panino, consumato con calma in un tranquillo deli a due passi dalla coda di gente assiepata davanti al primo Starbucks della storia, fuori dalla calca del Pike Place Market di Seattle. I deli sono una particolarità delle città nord americane: negozi che vendono cibi di qualità, di solito attinenti a una specifica area geografica (Mediterraneo e Italia, spesso) con il cibo ordinatamente organizzato nei ripiani e con un bancone dove si possono prendere dei prodotti freschi, da portare a casa o da consumare sui quattro o cinque tavolini di solito posti davanti alla vetrina.

cioccolato dolciAddento il panino lanciando un occhio alle copertine dai colori pastello dei libri di cucina e accusando altezzosamente di stoltezza chi ora si sta ingozzando in qualcuno dei ristoranti ospitati dentro al mercato coperto o chi prende la pioggia per comprare una tazza marchiata Starbucks per 10 dollari, gente che se avesse avuto la voglia di percorrere altri 14 metri si sarebbe trovata con me in un angolo di quiete. Poi mi tranquillizzo. Non so se per lo stomaco finalmente pieno. O se per il sapore della salsa alle erbe. Ma un suono ha cominciato a propagarsi armoniosamente oltre le chiacchiere. Per qualche minuto ho pensato che si trattasse di una canzone trasmessa dalla radio, dove fino a un attimo prima un musicista rock emulatore di Bruce Springsteen ci faceva compagnia.

E invece il coro, perché di un coro si tratta, è posizionato sotto la tettoia, proprio davanti alla vetrina del locale. Quattro uomini e un cestello di plastica davanti a loro. E le persone che una dopo l’altra si fermano disegnando un semicerchio sorridente.

Qualche istante, un sorriso, un ritmo. E mi sono sentita abbracciata dalla città. Una città che la mia mente non può fare a meno di associare al grunge, ai Nirvana. Alle gole graffiate e alle chitarre violentate che riempivano alcuni pomeriggi adolescenziali. Ma una città che è anche molto altro.

Dura, arrampicata su ripide salite che si alternano a terrazze da cui si vedono l’acqua e il cielo, Seattle mi è sembrata orgogliosa e movimentata.

Città famosa per il caffè e per gli Starbucks – più frequenti dei bancomat.

Città che mi ha ricordato perché amo i libri. Perché amo entrare in una libreria in un edificio del primo novecento vicino a Pioneer Square e ritrovarmi con un libraio che è anche sostenitore di un filone del comunismo chiamato new synthesis e che cerca di convincermi della sua idea di rivoluzione. E poi passare all’altro capo del downtown, a Belltowne esplorare l’ordine degli scaffali di Peter Miller: libri di architettura e design. E trovare qualche meraviglia sul design dei media. Un luogo impeccabile, a due isolati dai locali che ogni sera pompano la musica dal vivo. Qui come in tanti altri angoli della città.

biblioteca pubblica seattleSeattle città dei libri, perché tra la Quinta e la Sesta Avenue, all’altezza di Madison Street, racchiude un telaio di ferro e vetro: la Biblioteca Pubblica realizzata nel 2004 dall’architetto Rem Koolhaas. Dieci vertiginosi piani ariosi e accoglienti che sembrano riprodurre l’andamento della città e offrono un rifugio alla vibrazione umana dell’esercito degli homeless, i senza casa. Lo ha fatto apposta l’architetto a immaginare un luogo che accogliesse con dignità i senza tetto. E come in tutto il resto della città due popoli scorrono l’uno accanto all’altro: una classe media, ben vestita, pulita e profumata. E queste decine, centinaia di visibili invisibili. Qui sono tutti in silenzio, quando li sfiori in città qualcuno suona, qualcuno urla, qualcuno si piscia addosso da qualche parte. “Quando torno a casa cerco di capire qualcosa in più sul perché questa costa occidentale del Nord America sia rifugio e ghetto di questi uomini e queste donne” mi dico.

E l’ultimo abbraccio me lo danno ancora i libri. Mancano poche ore prima che un pullman ci riporti a nord, oltre il confine. Esploriamo Capitol Hill, il quartiere dei miliardari e dei gay dice la Lonely Planet. A me sembra un’altra serie di alternative: non ci sono solo le vie principali, ma ogni incrocio è una scelta, tra un negozio di dischi e un locale con donne che ballano indossando abiti anni ’50 intorno a un bancone. Alle quattro del pomeriggio.

La terrazza del Bauhaus – Books and Coffee ci richiama sin da quando siamo sull’autobus. Il locale, poi, ci accoglie tra gli scaffali con libri più o meno ingialliti, il bancone al pian terreno e la sala del piano superiore. Qualcuno scrive al computer, due vecchi giocano a carte. Sul balcone esterno, tra una tazza di caffè e un bicchiere di soda, per la prima volta dopo tanto tempo vedo solo persone che leggono dei libri o parlano tra loro. C’è solo un essere umano che ulula in un telefono.

Il ragazzo seduto accanto a noi se ne va. E passandogli accanto gli dice che sta parlando un po’ troppo forte. Il gigante rumoroso sembra offendersi. Ma poi lascia tutti gli avventori alla loro umanità. Lo sento mentre ancora parla al telefono allontanandosi lungo la strada.

La sua voce, le altre voci, mi inseguono fino a Vancouver. Mi chiedono di tornare presto ad ascoltarle.

Questo reportage è stato originariamente pubblicato sul blog dell’autrice, Storie fatte di parole, con il titolo “Le mille voci di Seattle”.

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