Per anni, Adriano Monti è stato un agente sotto copertura, conosciuto con nome in codice Siegfried. In un libro ripercorre la sua storia e quella della Seconda Guerra Mondiale… – Su ilLibraio.it un capitolo

Nome in codice Siegfried, nuovo titolo di Chiarelettere, racconta una storia vera, quella di Adriano Monti. Per tutti era solo un medico chirurgo, ma nel 2005 un’inchiesta di Repubblica ha svelato la sua vera identità. Per anni, Adriano Monti è stato un agente sotto copertura, conosciuto con nome in codice Siegfried.

A quindici anni Monti si arruola volontario nelle SS internazionali spacciandosi per maggiorenne. Vuole combattere contro l’Armata rossa, ma finirà nella morsa della resistenza partigiana. Segue la strada del padre, gerarca fascista in Toscana poi funzionario del ministero delle Corporazioni della Repubblica di Salò, condannato a morte dal Tribunale del popolo e scampato per miracolo all’esecuzione. Dopo la fine della guerra il suo campo di battaglia vivrà nuove trincee. Dalla Guerra dei sei giorni arabo-israeliana, ai conflitti nell’Africa nera, fino al fronte dei Balcani, con ruoli sempre da protagonista nei panni di agente della rete internazionale Gehlen. E poi il golpe Borghese, avvenuto la notte tra il 7 e l’ 8 dicembre del 1970, e di cui Monti ha parlato in tv nel 2005 al programma La storia siamo noi condotto da Giovanni Minoli.

Nome in codice siegfried

Tutto sotto copertura. “Odessa”, la fuga degli ex nazisti verso il Sud America con l’appoggio del Vaticano; “Chiesa del silenzio”, la preparazione di un esercito di sacerdoti-soldati inviati in Unione Sovietica per catechizzare la popolazione locale in funzione anticomunista. I legami con gli uomini di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, l’incontro con papa Wojtyla, l’arresto e l’isolamento con la minaccia di una cellula comunista che vuole fargli la pelle: saranno i provvidenziali consigli di Luciano Lutring, il “solista del mitra”, a salvargli la vita.

In questo libro, che rappresenta una testimonianza scomoda, Monti ripercorre la sua vita fuori dal comune con il giornalista e scrittore Alessandro Zardetto.

Su ilLibraio.it un estratto, per gentile concessione dell’editore

Giù la maschera

Rieti. Maggio 2005. Il telefono nel salotto sembra impazzito, ha iniziato a squillare quando ero nella vasca da bagno e continua a farlo mentre mi passo il pennello con la schiuma da barba sulle guance. Chiunque sia a quest’ora deve avere una gran fretta di parlarmi. Aspetterà. Vado avanti a radermi con calma. La mia immagine riflessa mi restituisce uno sguardo vivo, i miei occhi verdi hanno la stessa intensità di quando ero ragazzo. È tutto ciò che sta intorno che è cambiato: a settantacinque anni la vita comincia ad assumere sfumature contrastanti. Il trillo torna a distogliermi dai pensieri. Guardo l’orologio che porto al polso, le otto in punto: se sono ancora quelli delle compagnie telefoniche con le loro dannatissime offerte questa volta mi sentono. Per sbrigarmi mi taglio in due punti. Entro in salotto nel momento esatto in cui l’apparecchio ricomincia a squillare. Alzo la cornetta: «Pronto?». Dall’altra parte qualcuno si schiarisce la voce: «Sì, pronto, dottor Monti?».
«Sono io. Chi parla?» È una donna dal marcato accento dell’Est Europa. «Salve dottore, sono Olga, la figlia di Katia.» Resto in silenzio per alcuni secondi cercando di fare mente locale. «Katia, la signora delle pulizie…» L’interlocutrice deve aver intuito la mia perplessità. D’improvviso mi torna in mente quel faccione simpatico dalle gote incandescenti. «Buongiorno Olga, non l’avevo riconosciuta, mi perdoni. Immagino avesse bisogno di mia moglie, ma è uscita di casa pres…» «No no, cercavo lei, dottor Monti» mi interrompe. Il suo tono non mi piace. Una strana sensazione, un vecchio presentimento, mi si risveglia dentro. Sto volando con la fantasia? La donna mi avrà chiamato per prenotare una visita medica, sarà stata Katia a darle il numero. «Mi dica, Olga, come posso aiutarla?» Adesso è lei a restare in silenzio, all’altro capo della linea sento il suo respiro pesante. «Ecco, dottor Monti, prima al bar parlavano di lei… del suo nome sul giornale. Io ho visto la pagina, c’erano alcune foto ma non ho capito bene… con mia madre ci siamo preoccupate e quindi…» Aspetto che finisca la frase, ma di nuovo fra noi cala un silenzio imbarazzato. Quelle parole mi hanno fatto gelare il sangue nelle vene. «C’è scritto qualcosa di strano, ho letto il suo nome e ho detto: “Ma io questo lo conosco” e allora volevo sapere se…» riprende concitata.
«Grazie Olga, a presto.» «Ma io volevo…» Chiudo la telefonata senza lasciarle finire la frase. Mi guardo attorno e per un attimo mi pare di non capire più nulla, né dove sono né il significato della nostra conversazione. Mi scoppia la testa e mille pensieri si affollano senza tregua. Olga non potrebbe essersi sbagliata? Magari si tratta di un caso di omonimia. Cosa potrebbe mai esserci scritto in quell’articolo? Me lo sto domandando per l’ennesima volta quando il cellulare che ho in tasca comincia a vibrare: di nuovo quel senso di spaesamento. Lo prendo e guardo la successione di cifre sul display. Nessun nome. Strano, questo è il mio telefono privato, il numero ce l’hanno soltanto gli amici più stretti. Rispondo con un nodo alla gola: «Pronto?». È la voce di un uomo: «Sì, pronto, parlo con il signor Adriano Monti?». Interrompo la chiamata senza dargli il tempo di proseguire. La situazione mi sta sfuggendo di mano, è una sensazione che credevo di aver dimenticato. Ormai da qualche anno mi sono abituato a una vita tranquilla e certe emozioni ho deciso di buttarmele alle spalle per sempre. Non ho più l’età né la forza per farcela. Il telefonino ricomincia a vibrare, sto per rifiutare la chiamata ma stavolta a cercarmi è Davide, un mio collega di Roma, potrebbe trattarsi di un’urgenza di lavoro. «Buongiorno Adriano, scusa il disturbo.» Capisco già tutto dal tono della sua voce.
«Hai per caso letto “la Repubblica” stamattina?» La mano con cui reggo il telefono mi trema. Non è paura, è adrenalina. «No – dico in un sospiro –, non sono ancora uscito di casa, perché me lo chiedi?» Davide esita, anche lui come Olga non riesce a trovare le parole giuste. «No, niente… forse è il caso che fai un salto in edicola. C’è un articolo che ti riguarda e…» Attacco. Quando la porta alle mie spalle si apre all’improvviso, mi giro di scatto verso mia moglie che ha in mano le buste della spesa. Strano, non ho sentito salire l’ascensore. Sono frastornato. Lei resta un attimo ferma sull’uscio, mi guarda e sorride. È chiaro che non sa ancora nulla. Le vado incontro, apro la bocca per parlare, ma il telefono di casa ricomincia a squillare e contemporaneamente, dallo studio, avverto la suoneria del mio secondo cellulare. Rosalba si mette a ridere: «Siamo diventati un centralino. Tu rispondi al tuo, io sento chi scoccia a quest’ora…». Non controbatto e mi dirigo verso lo studio. Il telefonino è sulla scrivania ingombra di libri e di carte su cui ogni tanto raccolgo i ricordi di una vita, senza soluzione di continuità, seguendo soltanto il flusso dei pensieri. Anche stavolta sul display non compare alcun nome, c’è scritto «numero sconosciuto». Rifiuto la chiamata. Dal salotto mia moglie grida: «Adriano, ti vogliono». La raggiungo e la guardo negli occhi. Mi sembra tranquilla. «Chi è?» chiedo.
Lei si stringe nelle spalle: «Non si è presentato». Afferro la cornetta. «Con chi parlo?» Risponde la voce di un uomo: «Buongiorno signor Monti, la prego di non attaccare. Lo so che probabilmente stamattina avrà ricevuto molte chiamate, ma la prego di ascoltarmi un minuto». Resto in silenzio, non ho voglia di parlare con nessuno, ma forse quest’uomo potrà fare luce su quello che sta succedendo. A quanto pare sono rimasto l’unico a essere all’oscuro di tutto. Ripeto la mia prima domanda: «Con chi parlo?». «Sono un giornalista e le sto telefonando dagli Stati Uniti.» «Che cosa vuole?» «Vorrei proporle un’esclusiva.» Resto interdetto, alle mie spalle sento la presenza di mia moglie. Di sicuro in quel silenzio riesce a seguire tutta la conversazione. «Un’esclusiva? Di cosa sta parlando?» «Un’intervista. Adesso, in esclusiva.» Lo mando a quel paese e chiudo la conversazione. Poso il ricevitore e mi giro verso mia moglie, il suo sguardo ora è cambiato. La nostra vita non sarà più la stessa.

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