Il poeta Ghiannis Ritsos, alla fine degli anni ’60, ha dato voce a uno degli eroi classici della letteratura greca: Aiace. E oggi, grazie alla traduzione di Nicola Crocetti, il testo è stato portato in scena al Teatro i di Milano (dove resterà fino al 25 febbraio), con la regia di Graziano Piazza e con l’interpretazione di Viola Graziosi

Nel corso del tempo, sono molti gli scrittori e i drammaturghi a essere rimasti affascinati dalla figura di Aiace (Sofocle, Pindaro, Ovidio, Foscolo, solo per citarne alcuni), il re di Salamina, tra i protagonisti dell’Iliade di Omero.

Sia nelle rappresentazioni classiche sia in quelle moderne viene descritto come uno degli achei più forti e valorosi, secondo in prestigio soltanto ad Achille. Ma la letteratura, più che le sue azioni “gloriose” durante la guerra di Troia, ricorda il momento della sua rovina: quando decide di togliersi la vita, dopo aver massacrato un gregge di pecore, convinto di stare uccidendo Agamennone e Menelao.

Aiace, come tanti degli eroi greci, incarna il modello di uomo disposto a morire pur di non perdere il proprio orgoglio. Dall’altra parte, però, la sua appare come una figura moderna, perché vive in modo estremo la sofferenza e la esterna senza freni o pudore. Anche in questo consiste il suo essere un personaggio classico che, a seconda delle letture, rivela un carattere sempre nuovo e attuale.

Anche il poeta Ghiannis Ritsos, alla fine degli anni ’60, ha voluto dare voce a quest’eroe, e oggi, grazie alla traduzione di Nicola Crocetti, il testo è stato portato in scena al Teatro i di Milano (dove resterà fino al 25 febbraio), con la regia di Graziano Piazza e con l’interpretazione di Viola Graziosi (che oltre a essere attrice di teatro, è anche lettrice di audiolibri).

In questo adattamento teatrale dell’Aiace, quella di Viola Graziosi è l’unica presenza sul palco: la donna rievoca la storia di un uomo che, per non soccombere al suo destino, decide di ribellarsi attraverso il gesto più tragico di tutti: la morte.

Il monologo si presenta come un ritratto del protagonista, che sveste i suoi panni di essere invincibile per mostrarsi fragile e solo. Forse è questo il motivo che ha spinto il regista a scegliere una figura femminile come interprete principale: potrebbe simboleggiare un lato dell’animo dell’eroe, essere una sorta di presenza fantasmatica, oppure, ancora, l’evocazione della sua compagna Tecmessa.

In ogni caso quello che è certo è che in scena Aiace non c’è mai. E questa, probabilmente, è la scelta più efficace per rappresentare la sua morte, sancendo il crollo dell’immagine dell’eroe stesso, di cui oggi non può essere raffigurata altro che l’assenza.

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