In una Parigi inedita, Isabelle, pittrice, divorziata, cinquantenne in crisi relazionale permanente, incontra una galleria giocosa, folle e talvolta grottesca di tipi maschili, per tentare di capire qualcosa nell’universo sfuggente delle relazioni amorose. Al cinema una romantic tragic comedy diretta da Claire Denis, che ricorda qualcosa dell’ultimo Woody Allen… – L’approfondimento

Isabelle de jour, et de nuit. In una Parigi inedita e imprevista, la protagonista è immersa in fantasie erotico-affettive che precipitano in incontri surreali eppure concretissimi, con declinazioni insieme caricaturali e tristemente verosimili dell’altro sesso, punteggiati da continui non detti e parole di troppo, pensieri ad alta voce e verbosi buffi sbuffi e imbarazzati inciampi.

Pittrice, divorziata con figlia intravista, cinquantenne in crisi relazionale permanente, Isabelle cerca di mettere su tela – artista action painter di lacrime notturne e sentimenti mal riposti – i frammenti del suo dissestato discorso amoroso (dalla voce Agonia di Roland Barthes prende le mosse il progetto del film). E prova a dare a questo discorso una labile parvenza di senso e qualche sporadica gioia dei sensi. Eppure, quasi letteralmente (visto un delizioso siparietto in pescheria con un improbabile pretendente), non sembra sapere che pesci pigliare.

Claire Denis costruisce con grazia, gusto, stile e ironia, intorno al corpo e all’anima generosamente esposti di Juliette Binoche e alla sua presenza attoriale assoluta, vivissima, ludica e verbosamente nevrotica, questo personaggio proteiforme, al contempo fascinoso e irrisolto. Ne viene fuori una romantic tragic comedy della vita interiore, sofisticata nei dialoghi a ritmo di jazz, sarcastica e spietata nel ritratto sociale sotteso, attenta e precisa nel cogliere la psicologia del (quasi) accoppiamento ai tempi scaduti dei Bo-boh (potremmo chiamar così questi bourgeois- bohème perplessi).

Una galleria giocosa, folle e talvolta grottesca di tipi maschili: il banchiere sadico, ossessivo e sposato, capace (col favore d’insondabili perversioni femminili) di donare l’orgasmo con il suo solo essere stronzo; l’attore annoiato del suo tran tran serale sulle tavole del palcoscenico, etilicamente appeso all’incertezza e narcisisticamente attratto da un gioco all’eterno preliminare; l’amico interessato, pretendente subdolo e geloso detrattore della sbandata interclassista a passi di danza; il ballerino proletario, capace, da una distanza sociale incolmabile, di regalare momenti di sintonia e sincronia totali e liberatori, ma lontano anni luce dalle dinamiche autoreferenziali del mondo dell’arte, e dunque espulso dal suo universo discorsivo; l’ex marito, rifugio e ripiego, alla ricerca di una spontaneità perduta negli occhi di chi non ti riguarda più per davvero; il nero gentiluomo che con cortesia d’altri tempi recita nella notte la parte del principe azzurro.

Il catalogo è questo. Ma del principe azzurro, appunto, per non parlare di un uomo decentemente normale, solo ombre deformate e pallide, avanzi di magazzino: proiezioni maschili, distorte attraverso uno sguardo ferito femminile, di un amore sempre altrove, mancante e mancato, falsato e tradito. Mancanza di esempi o esemplari. Impossibilità di natura e naturalezza. Costante autosabotaggio reale e immaginario.

Cartomante ex machina, un Gerard Depardieu, ricacciato sulla strada da una macchina – alla guida una Valeria Bruni Tedeschi ridotta a una battuta tagliente (anche i maghi non se la cavano poi così bene con le trappole della coppia) – fa da comparsa fintamente demiurgica e risolutiva. Psicanalista della supercazzola, legge infine nell’anima della protagonista, come in uno specchio, il suo confuso e vagabondo sentire, sui titoli di coda più originali dell’anno (insieme a quelli di Chiamami col tuo nome): una prosopopea oroscopica vacua e suggestiva che ipnotizza protagonista e spettatori in un finale “open”, invitandoli a far brillare un bel sole interiore, come suggerisce il divinatore alla donna, riprendendo il titolo originale del film.

C’è qualcosa del miglior ultimo Woody Allen (uno che di crisi di mezza età e illusioni amorose se ne intende) nelle vicissitudini di questa blue Isabelle in cerca dell’uomo dei suoi sogni alla luce della moonlight in Paris, e insieme la capacità di far tesoro di una certa libertà stilistica giocosa che sembra un’eredità ben metabolizzata e rinnovata abilmente della Nouvelle Vague.

Il risultato è un divertimento intelligente, a tratti esilarante, sui drammi del cuore, gli inganni del tempo e le illusioni di capirci qualcosa per davvero nell’universo ondivago e sfuggente delle relazioni. Eppure questa confusione è fotografata con la lucidità e la scherzosa distanza di uno sguardo, interiore e cinematografico, maturo e luminoso.

L’AUTORE: qui tutte le recensioni e gli articoli di Matteo Columbo per ilLibraio.it

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