Nonostante i cambiamenti politici profondi che porterà questa pandemia, le disuguaglianze di genere nel mondo sono ancora lontane dalla risoluzione, anzi rischiano di inasprirsi. I dati e i numeri, al contrario delle storie, sono impossibili da mettere in discussione: l’Atlante di Joni Seager, ex consulente ONU e professoressa emerita di geografia e Global Studies, è arrivato anche in Italia, riportando l’attenzione sulla geografia di genere. ilLibraio.it ha intervistato l’autrice

La pandemia di Covid-19 sta mettendo in discussione il mondo come lo conosciamo, e al tempo stesso ci permette di vederne degli aspetti, come le discriminazioni sociali e non solo, che prima ignoravamo: a livello di genere, le differenze tra uomini e donne si fanno evidenti soprattutto quando si parla delle conseguenze del lavoro a distanza. A prescindere dalla composizione del nucleo familiare, le donne si trovano a sobbarcarsi la maggior parte del lavoro domestico, penalizzandone il risultato sul lavoro (ad esempio, nel numero di paper pubblicati da ricercatrici e accademiche).

Il peso del lavoro domestico e di cura non retribuito a carico delle donne è solo un esempio dei tanti temi che compongono L’Atlante delle donne, ambizioso progetto editoriale che dal 1986 continua a mostrare visivamente al pubblico internazionale (secondo la teoria che è sempre più efficace show, don’t tell) i termini della discriminazione e della disparità femminile attraverso mappe, infografiche e illustrazioni.

Giunto alla quinta edizione, ora finalmente anche in Italia grazie all’iniziativa di add editore (e la traduzione di Florencia Di Stefano-Abichain), il progetto di Joni Seager (1954), professoressa di Global Studies alla Bentley University di Boston, è un vero longseller da manuale e un testo rivoluzionario.

In ambito internazionale Seager è nota per il suo lavoro sulle politiche ambientali femministe e il cambiamento climatico, a cui ha dedicato anche dei lavori divulgativi oltre a quelli accademici, ed è stata consulente delle Nazioni Unite e dell’Unesco su numerosi progetti di politica di genere e ambientale.

Per poter raccontare la genesi di questo progetto, Seager – raggiunta via mail da ilLibraio.it – parte dalla sua esperienza di studi: “Negli anni ‘70 mi trasferii dal Canada per il mio dottorato alla Clark University, negli USA. La Clark era riconosciuta per il suo dipartimento di geografia radicale’ che, però, scoprii, non comprendeva il femminismo!”.

A turbare maggiormente l’autrice era la mancanza di coscienza femminista in facoltà, anche ai livelli più alti, senza rivestire mai un ruolo centrale, fatto consueto neanche in altri atenei: “Mentre ero molto impegnata nelle teorie politiche femministe nella mia vita privata, non riuscivo a esserlo nel mio lavoro di geografa”, prosegue Seager. “Proprio in quel periodo, uscì The State of the World (Lo Stato del mondo, ndr), un meraviglioso atlante pubblicato dalla Pluto press di Londra”. Un libro rivoluzionario per l’idea e la realizzazione, i cui temi spaziavano dall’inquinamento, il flusso di armi e il mercato, all’ineguaglianza e altri argomenti all’avanguardia.

Il successo che ne conseguì non stupì nessuno. “Quando questo libro uscì – continua l’autrice, io e una compagna di studi ci guardammo e ci dicemmo: C’è bisogno di un atlante delle donne – e deve essere così. Con questo stile e questo approccio provocatorio. Serve questo alle donne”. Così contattammo la casa editrice, che voleva fare un altro atlante proprio sulla scia del successo di The State of the World e siamo partiti insieme da questa visione”. Che può essere così riassunta: una spiegazione visiva, attraverso mappe e illustrazioni, dello stato delle donne nel mondolavoro, salute, potere, povertà, diritti di riproduzione. Allora, la geografia comprendeva ogni cosa, eccetto le donne: invece è possibile rendere le donne visibili, e leggere il mondo attraverso la loro lente, questa è la tesi di Seager.

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Il processo di raccolta fu forse la cosa più complessa, da cui partire da zero: “Il pubblico era piuttosto confuso”, prosegue l’autrice. “Io e Annie Olson, collaboratrice e co-autrice della prima edizione, avevamo una lista con oltre 80 argomenti che volevamo mappare. Non siamo partite dai dati esistenti, e penso sia molto importante, perché i dati globali su donne e temi femministi negli anni ‘80, praticamente, non esistevano”.

Le domande che muovevano le due autrici erano due: cosa vogliamo sapere riguardo la vita delle donne; e poi cosa possiamo mappare, che è tuttora l’approccio alla base dell’Atlante oggi.

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Solo un terzo dei dati sono disponibili dalle fonti ufficiali internazionali (UNESCO, etc.) mentre il resto sono dati raccolti da gruppi femministi locali, per esempio, quelli sul traffico sessuale di esseri umani e la pornografia, che sono diventati una parte importante di questa ultima edizione.

Un’altra sezione nuova – e importante – è dedicata alle relazione tra le donne e l’ambiente: siamo abituati a pensare di essere uguali di fronte all’inquinamento, ma la verità è che l’occupazione degli spazi è un tema altamente caratterizzato dal punto di vista del genere. Chi abita più spesso gli spazi casalinghi sono le donne, che hanno molte più possibilità di morire a causa dell’aria domestica inquinata dagli agenti chimici e dalle biomasse.

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Questo progetto non è solo un atlante sulle donne: è una rimappatura del mondo che prende le donne sul serio. E Seager, proprio in merito a questo, dichiara: “Il femminismo per me significa dare alle vite delle donne la stessa attenzione, la curiosità e l’analisi che ricevono le routine degli uomini. Le vite ordinarie di donne e uomini sembra che abbiano molto in comune, e talvolta ce l’hanno; ma la verità è che il modo in cui si formano delle relazioni, si guadagnano da vivere e si assicurano l’autonomia varia significativamente tra donne e uomini, nonché tra le stesse donne a livello intersezionale”. A proposito di questo concetto sono state spese molte parole, soprattutto negli ultimi anni: il femminismo come è sempre stato rappresentato (cioè da donne middle-class e bianche) non può più servire alla causa di emancipazione di tutte le donne nel mondo, e questo testo sembra confermarlo a gran voce. Serve quindi che le istanze femministe siano portate avanti trasversalmente per etnia, religione, classe sociale, disabilità e orientamento/identità sessuale.

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Le femministe devono portare avanti il movimento sempre”, spiega a tal proposito Seager. E prosegue: “Le donne non condividono automaticamente ampi avanzamenti sociali, a meno che ci sia un impegno per assicurarne l’uguaglianza. Come possiamo vedere attorno a noi, le conquiste nell’empowerment femminile non possono essere date per scontate: sono fragili, reversibili e sempre sotto pressione”.

Questo avvertimento non è mai stato così attuale. Dalla Polonia agli USA, dalla Nigeria alla Russia, le stanze del potere rimangono impassibili all’oppressione delle donne. Come conferma l’autrice, “ci sono continue prove che suggeriscono che un gran numero di governi nel 2020 sembrino impegnati a tornare sui propri passi sugli avanzamenti dell’autonomia delle donne”. I miglioramenti tangibili sono dovuti in larga parte alla capacità di organizzazione delle femministe, che è più forte, diversificata e qualificata che mai: “Le reti internazionali delle femministe hanno rotto l’isolamento delle donne tra di loro”, continua Seager, “e ovunque sono più informate in merito ai problemi e alle prospettive da culture e luoghi fuori dalla propria realtà. Ci servono leader civili e politici che costruiscano sopra le fondamenta femministe, per creare impegni reali e non retorici per la giustizia sociale a favore delle donne. L’attivismo femminista porta l’attenzione e nuove possibilità a tutti i tipi di problemi di giustizia sociale. Il femminismo fa bene a tutti!”.

E in merito alla pubblicazione in Italia, Seager è entusiasta: “Il femminismo italiano è così vivace ed efficace. I movimenti sui diritti per il divorzio, riproduttivi, LGBTQ, e quelli antifascisti – e sfidare il potere della Chiesa nel governo ha un grosso peso – sono modelli per il resto del mondo”. E chiosa: “La geografia è una disciplina meravigliosamente variegata da cui osservare il mondo.”

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