Incontro con Lee Child autore di A prova di killer ISBN:8830423297

Nuova avventura per Jack Reacher, ex maggiore della polizia militare, uno dei più popolari eroi del romanzo d’azione contemporaneo. L’inglese Lee Child ha fornito al suo personaggio tutte le qualità indispensabili per catturare le simpatie dei lettori: coraggio, forza fisica, ma anche bontà d’animo e un’inestinguibile sete di giustizia. Reacher è uno spirito libero che ama vivere alla giornata e vagabondare per le strade d’America senza impegni fissi e senza legami. In A prova di killer la responsabile del servizio di sorveglianza del vicepresidente americano, gli affida il compito di simulare un attentato per verificare l’efficacia del sistema di sicurezza. Si tratta di una semplice simulazione o qualcuno sta attentando alla vita del vicepresidente? Reacher troverà presto le risposte e ingaggerà uno scontro all’ultimo sangue con un nemico agguerrito e quasi invisibile. Abbiamo rivolto all’autore alcune domande.

D. Jack Reacher è l’eroe di tutti i suoi romanzi. Gli autori che scrivono libri con un protagonista unico hanno spesso un atteggiamento ambivalente verso il proprio eroe; c’è chi prova un sincero affetto, mentre altri arrivano a sperimentare una vera e propria avversione, che nasce forse dal senso di costrizione – i fan chiedono a gran voce altre avventure del loro beniamino – e dalla routine. Com’è il suo rapporto con Jack Reacher?

R. Il termine ambivalente è azzeccato perché allude a un rapporto di amore/odio che può essere senza dubbio presente in molti di noi. Faccio un esempio. Se si chiede ad autori di romanzi seriali che cosa succederà alla fine della saga, la risposta è quasi sempre: il protagonista morirà, qualcuno lo ucciderà. Dietro questa affermazione si può riscontrare quell’ambiguità di cui si parlava. Io mi sento più fortunato della maggior parte dei colleghi; nei libri che scrivo Reacher è il solo personaggio che torna costantemente, non si tratta di una soap opera con un’interminabile galleria di figure ricorrenti. Inoltre Reacher non ha una dimora fissa, nemmeno una fidanzata stabile o un cane; è un lupo solitario, una scheggia impazzita che non soggiace a nessuna regola, all’infuori di quella morale, e questo suo status mi offre l’opportunità di scrivere storie sempre nuove e diverse.

D. Stefano Di Marino, uno dei più apprezzati autori italiani di action thriller, ha espresso parole di grande elogio per i suoi libri. Lo stesso Di Marino ha affermato che la fine della Guerra fredda ha portato alla dissoluzione della spy story classicamente intesa. Poiché il thriller d’azione si è identificato per anni con le storie di spie, mi viene da chiederle quali siano, a suo avviso, le nuove tendenze di questo genere.

R. Innanzitutto ringrazio Stefano per i complimenti. Indubbiamente dopo la Guerra fredda gli scrittori di spy story hanno brancolato nel buio per almeno un decennio. Alcuni hanno scelto di raccontare vicende inserite nei territori della ex Jugoslavia, ma quelle ambientazioni hanno riscosso uno scarso interesse. Il filone legato al terrorismo islamico ora è sicuramente il più ricco di spunti narrativi.

D. A prova di killer espone in dettaglio le principali tecniche di sorveglianza per garantire la sicurezza dei cittadini, nel caso specifico l’incolumità del vicepresidente degli Stati Uniti. Il tema è di grande attualità in Italia perché proprio grazie alle intercettazioni telefoniche sono venuti alla luce due casi – la corruzione nel mondo del calcio e gli scandali di Casa Savoia – che hanno acceso discussioni e polemiche sulla liceità di certe misure. A suo parere quali sono i limiti che uno stato democratico non deve oltrepassare?

R. Avverto sempre un forte fastidio quando il governo s’intromette nella vita privata. In linea generale non penso che sia necessario ricorrere a misure eccezionali; credo infatti che i livelli normali di attenzione e vigilanza siano ampiamente sufficienti per prevenire il maggior numero di crimini. I governi dovrebbero avere più pazienza e più maturità, ma purtroppo hanno la tendenza a sfruttare al massimo le tecnologie disponibili con esiti facilmente intuibili in termini di violazione di privacy. Siamo tutti a rischio intercettazione: le nostre telefonate, le nostre e-mail sono sotto controllo.

D. Jack Reacher ha sempre ricevuto ampi consensi dal pubblico femminile. Quale tratto del suo carattere affascina tanto le lettrici?

R. Sì, è vero. In tutti i paesi in cui vengono pubblicati i miei libri, si riscontra la stessa reazione positiva da parte delle lettrici. A mio parere ci sono tre fattori da considerare. Primo: il senso di giustizia. Le donne sono più colpite dalle ingiustizie. Mentre gli uomini tendono a riconoscere la presenza nel mondo di zone grigie, le donne non accettano facilmente questo stato di cose e guardano a ogni abuso con un livello maggiore di indignazione. Apprezzano dunque Reacher perché interviene nel modo più drammatico e spettacolare a riparare i torti. Secondo: la rabbia. Ancora oggi è difficile per una donna esternare la propria rabbia. Quando siamo noi a sfogare la nostra ira, veniamo giudicati positivamente; si dice ad esempio che abbiamo una personalità spiccata e sappiamo affermarci. Se è invece una donna a esprimere la propria rabbia, nove volte su dieci viene considerata una “stronza”. Penso che l’aggressività esibita da Reacher provochi un sottile piacere nelle lettrici. Terzo: il mio personaggio è dannatamente sexy. Reacher non rimane mai in uno stesso posto con la stessa donna; con lui ci si può divertire al massimo per tre giorni, perché poi scappa via, senza lasciarsi alle spalle complicazioni, divorzi, routine.

D. Jack Reacher, sfruttando la propria esperienza in campo militare, riesce a individuare le falle nel sistema di sorveglianza. Malgrado la dura scorza, il suo personaggio dà comunque prova di buon cuore, ponendo sotto la sua protezione due spiantati musicisti. Secondo lei è possibile per un militare, nella vita reale, conservare una tale purezza d’animo dopo esser stato educato a comportarsi in modo brutale e spietato?

R. Credo sia possibile. Raramente, ma accade. In realtà quello che ho cercato di fare è combinare aspetti moderni con una tradizione molto antica, che è poi quella del cavaliere errante che in Europa si è affermata nel Medioevo, ma ha origini ben più lontane. Spesso può non essere vero che i duri hanno un cuore, ma noi abbiamo bisogno di credere nell’eroe forte e coraggioso che ci viene a salvare, anche a rischio della sua vita.

D. Provengono dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti alcuni degli autori di thriller più acclamati. Poiché lei è inglese d’origine ma conosce bene l’America, sarei curioso di conoscere il suo parere sulle differenze, posto che ci siano, fra i thriller dei due paesi.

R. Le differenze riguardano soprattutto aspetti geografici. La Gran Bretagna è un paese ad alta densità di popolazione, di conseguenza le storie tendono spesso a ritrarre scene di interni. La casa è il luogo privilegiato e i personaggi hanno una forte connotazione psicologica. Le storie di John Le Carré, ad esempio, sono veri e propri studi psicologici su persone sottoposte a grande stress. L’America dispone di spazi più ampi e questa caratteristica topografica si riflette nella scrittura. Nel thriller americano si usa maggiormente lo spazio, il movimento, il tema del viaggio. Gli esterni prevalgono sugli interni.

Intervista a cura di Marco Marangon

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