Un confronto tra l’autobiografia di Vittoria Schisano (nella foto) e quella di Giò Stajano permette di riflettere sui cambiamenti che ha subito la sensibilità delle donne transessuali nei riguardi di se stesse e della società. E di interrogarsi sul limitato numero di libri di autori e autrici trans

Nel 1998 Antonio Godino e Antonella Lacarbonara classificano come “transessualità narrativa” (Identità Multiple, FrancoAngeli) romanzi e racconti che pongono l’ambiguità sessuale al centro della storia, portando a modello La passione della nuova Eva di Angela Carter, Feltrinelli, e Misto Maschio di Will Self, Feltrinelli.

L’etichetta non allude alla produzione letteraria di donne e uomini transessuali, né a una soggettività in tale prospettiva. Probabilmente perché le pubblicazioni delle persone trans sono drasticamente condizionate dalla natura del loro genere, causando un ristagno concentrato su saggistica monotematica e documento biografico.

Schisano

Perciò scoprire l’autobiografia di Vittoria Schisano riecheggia un’interessante serie di similitudini con quella di Giò Stajano: nel 1992 pubblica – anche lei con Sperling e Kupfer – La mia vita scandalosa, compendio dei suoi primi sessant’anni.

Commisurare due personaggi con una storia così particolare in comune, nate mezzo secolo di distanza l’una dall’altra, attraverso un racconto in prima persona, offre la possibilità di misurare che tipo di cambiamenti ha subito la sensibilità delle donne transessuali nei riguardi di se stesse e della società.

Giò Stajano e Giulio Andreotti
Giò Stajano e Giulio Andreotti

Entrambe le composizioni condividono centralità tematiche specifiche, la famiglia, la professione e la mondanità.

Stajano racconta i bar di Via Veneto, frequentati con l’amica Novella Parigini. Conduce quel genere di vita che Federico Fellini definì “dolce”, proprio col film in cui Giò interpreta sé stessa. Questo ruolo le conferisce il titolo di “rappresentate dei diversi di tutta Italia”.

Stesso impatto mediatico contraddistingue la transizione di Vittoria Schisano, rotocalchi e programmi televisivi scandiscono chirurgicamente le tappe del passaggio. Persino l’operazione che la renderà, fisicamente, completamente donna, è anticipata da un collegamento con l’amica Barbara D’Urso su Canale 5.

Se la controparte pugliese, fin dal primo utilizzo di crossdressing, è soggetta a meccanismi che tutt’ora condizionano la ragazza transessuale media alla dimensione erotico-sessuale, Schisano si presenta con orgoglio come “punto di riferimento, perché finalmente si parla della transizione in modo pulito, senza necessariamente far passare l’immagine della escort, con il rossetto rosso e la minigonna a mezzogiorno” – al passo d’una rivoluzione gender che raccoglie, tra l’altro, chi preme per innalzare la figura della transessuale al ruolo di “donna angelicata”.

Negli anni sessanta, “transessuali” era un termine circoscritto in didattica, nelle situazioni ordinarie esse erano designate come donne; in quanto tali dovevano avere una condotta opportuna, difficile da rispettare se il tenore della quotidianità era quello d’omosessuale dichiarato e sessualmente emancipato proprio di Giò Stajano quando si chiamava Gioacchino.  Perciò, è costretta ad abbandonare il luogo dove viveva per emigrare in Ungheria e sentirsi appagata.

“Secondo l’etica della società agricolo-patriarcale un uomo, ancorché omosessuale, è libero di vivere come gli pare. Ma una donna non può svolgere altro ruolo se non quello di moglie e di madre. Ed è inammissibile che possa uscire di casa a suo piacimento, se non per andare a messa, fare la spesa e accompagnare i figli a scuola o a passeggio. Assolutamente impensabile che possa andare da sola al ristorante, al cinema, o a prendere un caffè al bar”.

La testimonianza di Vittoria Schisano, contrariamente, rifiuta la classificazione e suggerisce di tornare a un modello generalizzato, poiché percepisce una contraddizione tra la propria sensibilità e le definizioni di transessualità affermate nella cultura dominante e all’interno della comunità LGBT. “Qualcuna mi ha accusata di prendere le distanze dalle trans perché ho detto di non essermi mai sentita una transessuale … Questo non fa di me una persona migliore o peggiore. Non penso che le trans siano donne di serie b. Vorrei che si parlasse solo di persone non di omosessuali, transessuali o etero. Non esiste un mondo gay, transessuale o eterosessuale. Esiste il mondo. Questo penso. In giro vedo tanti uomini con il seno che decidono di rimanere uomini, e questo non significa che io sia migliore di loro: ognuno compie le sue scelte e credo che a rendere migliori o peggiori le persone sia solo il cuore”.

yasmin incretolli

L’AUTRICE – Yasmin Incretolli, scrittrice esordiente, ha ottenuto la Menzione speciale al Premio Calvino 2015 con il suo primo romanzo: Mescolo tutto (pubblicato da Tunuè).

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