Stando a una ricerca pubblicata da Science, intorno ai sei anni che le bambine iniziano a mettere in discussione il proprio valore e la propria intelligenza, sviluppando un senso di inferiorità… – Su ilLibraio.it il commento della scrittrice Roberta Marasco, che si chiede: “Possibile che anche la scuola, o almeno un certo tipo di modello educativo e didattico, contribuisca a creare questa sensazione di inadeguatezza?”

Prendiamo due bambini di pari intelligenza. Poniamo che uno dei due abbia un’intelligenza logica e matematica, ottime capacità di stabilire legami di causa ed effetto, grandi doti di astrazione e una relativa indifferenza nei confronti delle altre persone. L’altro invece ha un’intelligenza emotiva molto sviluppata, è indifferente ai numeri e alle misurazioni, procede per intuizione, per enormi balzi della fantasia e ha grandi doti empatiche e la capacità di decifrare le persone al volo.

Questi due bambini potrebbero essere rispettivamente un maschio e una femmina, se è vero che uomini e donne usano le differenti aree del cervello in modo diverso: “Le donne utilizzano in maniera dominante il lobo frontale, area legata ai processi decisionali, molto connessa alle cosiddette aree ‘limbiche’, sede dell’emotività” ha spiegato qualche anno fa alla Stampa il professor Antonio Federico, ordinario di Neurologia, “mentre l’uomo è tendenzialmente portato a coinvolgere, nel processo di ragionamento, una zona più vasta di corteccia. Il processo decisionale delle donne è quindi influenzato dall’area emozionale in misura maggiore rispetto a quello degli uomini: l’uomo tende ad elaborare la realtà basandosi soprattutto sull’emisfero sinistro, razionale, logico e rigidamente lineare, al contrario la donna utilizza in misura maggiore l’emisfero destro che permette di compiere operazioni mentali in parallelo”.


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A parità di impegno, di interesse e di passione, quindi, i due bambini possono affrontare le stesse discipline e ottenere entrambi ottimi risultati, sia pure prendendo strade diverse e usando metodi di studio diversi. Nella matematica e nella scienza l’intuito e la capacità di cogliere nessi poco evidenti sono altrettanto importanti del pensiero logico e razionale; per non dire della scienza o dell’ingegneria, che per essere all’avanguardia devono essere imprevedibili e visionarie. Viceversa, nella letteratura e nella poesia il pensiero logico e ordinato è altrettanto fondamentale della fantasia, per tessere una rete di significati e di rimandi solida e coerente, per lavorare sull’armonia e sulla disarmonia, per saper condurre un’analisi del testo efficace.

Ed è così anche nel caso dei nostri due bambini, almeno fino a quando non mettono piede a scuola. Con l’inizio delle elementari, nella maggior parte dei casi, il percorso didattico finirà per premiare il primo bambino e penalizzare il secondo. La fantasia sui banchi di scuola è ammessa, ma con prudenza. A scuola ti insegnano a colorare dentro i bordi, a scrivere entro le righe, a rispettare le regole grammaticali e di ortografia, a imparare a memoria elenchi e poesie. In parte è necessario, ovviamente. Ci sono alcuni aspetti delle discipline scolastiche che richiedono rigore. Ma tutti gli altri aspetti? Quando arriva, per il secondo bambino (o bambina) il momento in cui anche il suo approccio sarà valorizzato, in quale pagina del programma la sua fantasia potrà dare i propri frutti, il suo intuito e le sue capacità empatiche saranno premiate? O sono destinate a restare confinate al momento della ricreazione, del gioco, della risoluzione dei conflitti, per poi essere scartate (se non sanzionate) quando si inizia a “fare sul serio”?

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Non è un caso, forse, che sia proprio intorno ai sei anni che le bambine iniziano a mettere in discussione il proprio valore e la propria intelligenza, sviluppando un senso di inferiorità, come sostiene una recente ricerca pubblicata su Science. Dallo studio è emerso che se a cinque anni i bambini non sembrano fare distinzioni di genere quando si tratta di decidere chi è intelligente, a sei invece le bambine tendono a declinare l’intelligenza al maschile (per esempio identificando il protagonista “davvero intelligente” di una storia con un uomo, e non con una donna come facevano a cinque anni) e a rifiutarsi di prendere parte ai giochi per i più intelligenti, non ritenendosi all’altezza.

Possibile allora che anche la scuola, o almeno un certo tipo di modello educativo e didattico, contribuisca a creare nelle bambine una sensazione di inadeguatezza? Le loro doti vengono premiate in cortile, nei momenti di svago, nel tempo libero, ma quando si passa alle “cose importanti” meglio che si tirino indietro e lascino fare ad altri. Quanto di questo approccio alle materie scolastiche, se non all’apprendimento in sé, anche fuori dalle aule, ha condizionato il modo di rapportarsi delle donne con l’universo del lavoro? A farsi strada sono soprattutto le donne con un approccio più rigido e matematico, mentre la fantasia e l’intuito si accontentano di un ruolo di secondo piano, “da tempo libero” appunto. Ci portiamo dietro la convinzione tacita, talmente radicata da non provare neanche a metterla in discussione, che quando si tratta di fare sul serio il pensiero vincente sia quello comunemente associato con un approccio maschile. Che le emozioni, l’intuito, la fantasia, debbano essere riservati all’ozio, alla ricreazione, alla superficialità, e non meritino un voto in pagella.

Si tratta solo di un’ipotesi, che ovviamente la ricerca di Science (svolta su bambini americani) non basta a confermare e che traccia linee immaginarie fra contesti di riferimento molto diversi, come il sistema scolastico italiano e quello americano (dove comunque nella maggior parte degli Stati le elementari iniziano proprio a sei anni). Inoltre è altrettanto ovvio che non tutti i bambini si distinguono per un pensiero logico e razionale, e non tutte le bambine per un approccio emotivo e intuitivo, che ciascun individuo è un mondo a parte e che anche le teorie neurologiche ammettono eccezioni. Resta però vero il fatto che il sistema scolastico tende a premiare un certo modo di imparare, considerato tradizionalmente maschile, a discapito di un altro modo di imparare, considerato tradizionalmente femminile.

La crisi economica degli ultimi anni sta cambiando radicalmente le regole del gioco. A cavalcarla senza risentirne troppo è stato proprio chi ha saputo mettere in campo la fantasia, l’immaginazione, l’intuito. In un periodo di crisi, la capacità di adattarsi e di reinventarsi diventa fondamentale. È sempre più evidente, dunque, che la scuola è destinata a cambiare, che ha bisogno di un rinnovamento strutturale che non si affidi alla buona volontà dei singoli maestri. La scomparsa progressiva dei confini fra le singole materie, dell’orario settimanale, a vantaggio di una didattica impostata sui progetti più che sui programmi, probabilmente va proprio in questa direzione.

E quando finalmente la fantasia e le emozioni riusciranno a passare dal cortile ai banchi alle pagelle, schivando stereotipi e pregiudizi, forse sarà più facile per tante bambine smettere di pensare che i loro coetanei maschi siano più intelligenti di loro, a prescindere, e che ci siano strade e professioni che a loro saranno sempre precluse.

IL LIBRO E L’AUTRICE – Le regole del tè e dell’amore (in libreria per Tre60) è l’ultimo libro di Roberta Marasco. L’amore di Elisa per il tè risale alla sua infanzia. È stata sua madre a insegnarle tutte le regole per preparare questa bevanda e ad associare, come per gioco, ogni persona a una varietà di tè. Daniele, il suo unico grande amore, è tornato dopo tanto tempo. Ma Elisa ha imparato da sua madre a non fidarsi della felicità, a non lasciarsi andare mai, perché il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto. Prima di tutto dovrà trovare se stessa, poi potrà capire se Daniele può renderla felice. Quando trova per caso una vecchia scatola di tè con un’etichetta che riporta la scritta ROCCAMORI, il nome di un antico borgo umbro, Elisa ne è certa: si tratta del tè proibito della madre, quello che le fece provare solo una volta e che, lei lo sente, nasconde più di un segreto. Forse proprio lì, in quel borgo antico, Elisa potrà trovare le risposte che cerca e imparare a lasciarsi andare e a fidarsi dell’amore, guidata dall’aroma e dalle regole del tè…