“Se basta un fiore”, il nuovo romanzo di Giulia Blasi, ambientato nella Roma di oggi, racconta l’incontro tra il figlio di un palazzinaro e la figlia di due intellettuali radical chic che lavorano nel mondo del cinema: su ilLibraio.it un estratto dal libro, che ci porta a conoscere due famiglie “disfunzionali”

Le famiglie De Santo e Bertelli vivono in due ville dai giardini confinanti in zona Giustiniana, ma non potrebbero essere più diverse. Adriano De Santo è un palazzinaro senza scrupoli che ha cementificato mezza Roma; peccato che nessuno dei suoi figli abbia voluto seguire le sue orme. Ora tutte le speranze sono riposte in Max, ingegnere in pectore ed erede designato. Il taciturno Max però nutre una passione segreta per la cucina e per la bella e disinibita vicina di casa, Clara, che spia da anni senza avere il coraggio di parlarle.
Clara Bertelli è cresciuta come figlia unica, viziata e privilegiata, di due intellettuali radical chic che lavorano nel mondo del cinema. Quest’estate però scoprirà di avere una sorella, Gloria, nata da una relazione del padre prima del matrimonio, e un vicino di casa più interessante di quel che sembra.
se basta un fiore

In Se basta un fiore (Piemme), il nuovo libro di Giulia Blasi, il figlio del palazzinaro e la figlia dei “fricchettoni” scopriranno, nel rapporto con l’altro, una parte di se stessi che non credevano esistesse, e nelle azioni di Guerrilla Gardening una scelta di libertà e rivoluzione pacifica. Alla fine dell’estate, le due famiglie si troveranno irrevocabilmente cambiate…

Giulia Blasi

L’autrice da settembre 2014 conduce Hashtag Radio 1, in onda su Rai Radio 1. E, tra le altre cose, cura il sito dedicato alla narrativa Young Adult The Book Girls.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:

Giovedì 27 giugno, più tardi, Max
La prima volta che l’ho vista ci eravamo trasferiti da una settimana. Io stavo esplorando i confini del giardino, e lei era seduta su un albero.

Mangiava fichi prendendoli direttamente dalla pianta, senza sbucciarli. Aveva la bocca e il mento chiazzati di viola e lucidi di zucchero, i capelli annodati in testa e i piedi scalzi. A terra, accanto all’albero, c’erano le sue scarpe e una scala.

«Ciao» mi ha detto.

«Ciao.»

Fra di noi correva il muretto a secco che divideva le due proprietà, casa mia da casa sua. Il fico era l’ultimo albero del suo giardino.

«Vuoi un fico?»

«Sì, grazie.»

Ne ha staccati due dalla pianta.

«Vieni qui sotto a prenderli» ha detto.

Ho scavalcato il muretto.

Era settembre, pochi giorni prima dell’inizio della scuola. Mi ero appena iscritto in quarta liceo, quindi lei doveva essere in quinta ginnasio. Faceva ancora caldo, io portavo pantaloncini al ginocchio e una canotta di Germano che mi faceva vento intorno. Lei aveva addosso un vestitino a fiori.

Le gambe tutte graffiate dalla corteccia. I segni del costume che scendevano dai due lati del collo.

«Buoni. Ci si potrebbe fare la marmellata.»

«Sì.»

«Tu abiti qui?» le ho domandato.

«Sì, io sono Clara, e tu?»

«Massimiliano. Max.»

«Massimiliano, ammazza quante sillabe, meglio Max. Vi siete trasferiti da tanto?»

«Sette, otto giorni.»

«Ti piace?»

«Sì. Cioè, è grande. Molto grande. Un po’ troppo, forse. Prima stavamo in un posto più piccolo, ma non c’era il verde. Mio padre voleva il verde.»

«Ah, se voleva quello, qui non manca.»

«Come si sta quassù?»

Una stretta di spalle, un altro morso al fico. «Bene. Cioè, non so, vivo qui da quando ero all’asilo, praticamente. Non mi ricordo altri posti. I miei prima stavano al Pigneto, poi hanno comprato questa casa.»

«Mi sembra un po’… isolato.»

«Sì, è isolato. Ma non è male. C’è spazio, appunto. Verde. La piscina. Avete la piscina, voi?»

«Sì.»

«Peccato. Se no ti avrei invitato a venire a usare la nostra.»

«Puoi invitarmi lo stesso.»

Un sorriso. Un piccolo spazio fra gli incisivi superiori, le labbra rosse. «Sì, perché no.»

Una voce dalla villa, lontano. «Clara! Vieni dentro a fare i compiti!»

«Uff. Arrivo!» Rivolta a me: «Puoi rimettermi su la scala, che mi è caduta?».

Da allora l’ho vista, sì. Ma in piscina da lei non ci sono mai andato. Ci siamo incontrati ogni tanto uscendo dal cancello, salutati qualche volta al di sopra della siepe che mio padre ha fatto piantare su richiesta di mia madre, per coprire il muretto a secco dopo aver scoperto che i vicini di casa erano fricchettoni di ritorno abituati a girare per il giardino in vari stati di semi-nudità («Abbiamo un bambino piccolo, Adriano!»), incrociati a fine anno scolastico durante i bagordi cittadini con i rispettivi compagni di scuola. L’ho sempre guardata da lontano, senza darle confidenza, sperando che fosse lei a venire da me, e invece era persa nei suoi giri, fra le sue amiche, con i ragazzi con cui stava di volta in volta.

Non ho mai neanche avuto il coraggio di chiederle l’amicizia su Facebook. L’unica speranza di poterla frequentare sarebbe stato un rapporto di buon vicinato fra le famiglie, ma i miei e i suoi non sono il genere di persone che si possano mettere intorno allo stesso tavolo pacificamente. E quindi
non è mai successo.


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A volte capita che non pensi a lei per giorni, anche settimane. Magari perché mi piace una, o solo perché non la vedo, o ho altro per la testa. Il pensiero di lei è un vuoto, un alone di assenza, attimi di nulla fra un concetto e l’altro: come se non fossi del tutto presente a me stesso, ma sapessi che in quel momento lì c’era qualcosa, qualcuno che doveva essere pensato, e non ricordassi chi. Poi all’improvviso la intravedo dalla finestra mentre cammina sul prato, fra un albero e l’altro, e quel vuoto si riempie.

Non ho altra dea all’infuori di lei.

Un altro segreto fra i tanti che nascondo con cura, senza averne mai parlato con nessuno: non con Bruno né con Germano, non con i miei amici Emanuele e Federico, e meno che mai con i membri della famiglia che mi vivono intorno e potrebbero cercare di aiutarmi, o fare battute, o tutt’e due le cose.
Non sono così matto, possessivo o illuso da uscirmene con sparate tipo: “Ecco, lei è la donna che sposerò”; numero uno perché Clara non è una donna, numero due perché come minimo lei dovrebbe essere d’accordo, numero tre perché i miei sentimenti per lei non possono convergere unicamente nella sua trasfigurazione in un’emozionata e vaporosa meringa diretta all’altare.

Ho difficoltà anche a suonare alla porta di casa sua. E non aiuta il fatto che mi apra scalza e con indosso un abito da sera aperto sulla schiena (l’elastico del reggiseno, chiuso sul solco della spina dorsale. Quel mezzo metro di pelle abbronzata e scoperta. Restare calmo). Chissà dove deve andare. Sto sbattendo le uova per la torta come un automa da dieci minuti, e sono solo vagamente conscio di Attilio che mi saltella intorno spostando gli ingredienti per farmi dispetto.

Che faccio? Gliene porto davvero una fetta? Faccio due  torte e gliene porto una? Potrebbe essere un’idea. Gli ingredienti
mi bastano.

© 2017 – EDIZIONI PIEMME Spa, Milano

(continua in libreria…)

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