Era l’ottobre 1990 negli Usa (mentre in Italia, per la prima stagione, si dovette aspettare il 1992): Beverly Hills 90210 per la prima volta proponeva agli adolescenti una rappresentazione complessa di loro stessi. Ora che l’immaginario e i personaggi della serie cult sono tornati in un reboot, abbiamo ripercorso l’impatto di uno show che ha influenzato molti prodotti successivi, condizionato inevitabilmente la carriera dei protagonisti e colpito nel profondo il pubblico – L’approfondimento

In principio erano due: il mondo dei film di John Hughes (Pretty in Pink, Breakfast Club, Sixteen Candles su tutti) e Heaters (lo ricordiamo come Schegge di follia), di Michael Lehman, una commedia nera per adolescenti uscita nel 1988 negli Stati Uniti e nel 1989 in Italia, ambientata in un liceo dell’Ohio, con protagonisti Winona Ryder e Christian Slater.

Schegge di follia

Heaters – Schegge di follia

Non ci sarebbe mai stato Heaters se non ci fosse stato John Hughes, ma Daniel Waters, autore di Heaters, aveva messo a fuoco una mancanza: “I film per adolescenti del tempo, i film di John Hughes, erano divertenti. Ma c’era un’intera realtà dei licei che non era approfondita – l’oscuro, il lato-Stephen King a cui nessuno voleva guardare. E penso che Heaters sia stata una boccata d’aria”.

Heaters portò all’attenzione di produttori e scrittori un pubblico inascoltato, bisognoso di protagonisti diversi da quelli visti fino a quel momento e di storie che facessero un passo a lato all’usuale commedia familiare o al dramma d’amore.

Quando Michael Lehman e Daniel Waters raccontarono a Peter Chernin della nascente Fox TV l’idea di una serie tv teen che partisse dall’esperienza di Heaters, dal titolo Beverly Hills High, il mondo della televisione era pronto per la rivoluzione.

Adolescenti di tutto il mondo, unitevi!

Beverly Hills 90210 è nato, dunque, dall’idea di Beverly Hills High e ha collezionato 10 stagioni per 293 episodi. Usciva negli Stati Uniti d’America su Fox TV domenica 14 ottobre 1990: George H. W. Bush era Presidente, Michail Gorbačëv otteneva il Premio Nobel per la Pace, in Sud Africa Nelson Mandela era stato scarcerato da pochi mesi, Balla coi lupi era primo al botteghino e George Michael faceva una sintesi di tutto questo, cantando Praying for Time. In Italia lo show sarebbe arrivato il 19 novembre 1992 su Italia Uno, nell’anno che ricorderemo come uno dei più critici e violenti della nostra storia repubblicana.

La serie, creata da Darren Star e prodotta da Aaron Spelling, interessò gli adolescenti di Pretty in Pink e Heaters messi insieme: John Hughes e Michael Lehman avevano fatto incontrare il più grande pubblico di teenager possibile e nel 1990 questo universo sfaccettato aveva finalmente trovato se stesso in Beverly Hills 90210.

L’idea dello show ruotava attorno a due grandi temi: l’integrazione socio-culturale dei due gemelli Walsh del Minnesota nell’upper class losangelina, quella di Beverly Hills appunto, e lo sviluppo delle relazioni interpersonali, con l’amicizia e l’amore in primo piano, di un gruppo di liceali del prestigioso West Beverly High.

Gli adolescenti italiani, come quelli statunitensi, avevano per la prima volta una rappresentazione complessa di loro stessi: le famiglie tradizionali, quelle disfunzionali, le madri e i padri single, i soldi che non pagano la felicità, le droghe, l’alcol, il sesso, i sentimenti mai lineari trovavano la liceità di essere descritte.

La novità della messa in scena stava in due caratteristiche essenziali: nel punto di vista scelto – quello dei ragazzi ricchi e privilegiati di Los Angeles – e di conseguenza nei personaggi raccontati, tipologie umane perfettamente decifrabili e al contempo scalfibili, superficiali e complesse. Nelle storie non esistevano più solo il lieto fine – l’emarginazione e il bullismo potevano finalmente creare situazione di disagio che finivano in tragedia – o le risoluzioni ragionevoli – la mamma e il papà che stanno insieme da una vita hanno sempre ragione – ma anche le deviazioni, gli irrisolti, le cattiverie quotidiane.

In pochi potevano immedesimarsi nell’apparenza di quella vita, nei pattini a rotelle scivolosi sotto le palme di Santa Monica, o nella piega bionda perfetta, ma ognuno, invece, poteva trovare un pezzo profondo di sé in uno o più personaggi, in una vicenda o in un arco di episodi.

I temi che vennero affrontati nelle prime quattro stagioni, e che in alcuni casi sono finite oltre lo schermo, tratteggiavano i chiaroscuri degli adolescenti americani, chiamavano in causa le contraddizioni puritane, affrontando direttamente le differenze sociali, il ruolo del potere e della ricchezza sull’età adolescenziale, la visione del sesso, il problema delle armi e della violenza; spostava il centro della narrazione totalmente sugli adolescenti, come individui e non solo come figli o fratelli.

Il pubblico era chiamato in causa in prima persona: soprattutto, la serie tv bypassava il beneplacito dei genitori, rivelati nella loro umanità, fragilità e ipocrisia di troppo e infine spogliava completamente le relazioni interpersonali.

Tenendo a mente il momento storico in cui è stato scritto e prodotto, soprattutto nelle stagioni iniziali, Beverly Hills 90210 ha saputo trattare i problemi in un modo nuovo: il corpo trovava un centro di discussione, la famiglia era continuamente contestata. E se l’adolescenza è quel momento che mette in crisi qualunque autorità strutturata, famiglia compresa, questo aspetto dello show era convintamente esacerbato, per lasciare apertamente affiorare i non detti, i dubbi, la credibilità degli adulti attraverso le azioni degli adolescenti.

Nessuno era escluso dalla critica. Tutti erano rappresentati nei loro pregi e nei loro difetti e questo processo di rappresentazione passava per due grandi direttrici: la prima riguardava la società fondata sull’American Dream, spintonata proprio guardando alla vita e alle scelte dei suoi figli più esemplari per nascita o merito, gli adolescenti del West Beverly High. La seconda i legami interpersonali, celebrati e allo stesso tempo sezionati: ogni coppia, ogni dualismo serviva per questo e l’unica cosa che sopravviveva allo sconquasso del momento era l’amicizia.

Ciò che Beverly Hills 90210 ha raccontato, con i limiti dell’epoca in cui è stata concepito, ma con il respiro della novità che ha poi ispirato il racconto dell’Orange County di The O.C. e l’Upper East Side di Gossip Girl, è un pezzo fondamentale di storia della televisione.

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Un teen drama funziona se ogni spettatore si sente parte della gang.

All’annuncio di BH90210, lo spettro di 90210, il franchise che più di ogni altro non ha appassionato, ci ha avvilito per qualche ora. Poi si sono spiegati meglio tutti: sarebbe stato un reboot, ma non proprio, forse più un mockumentary e la produzione sarebbe stata affidata a Tori Spelling e Jennie Garth.

«Tutto vero.»
«E il cast?»
«Tutto, al completo.»
«Anche Shannen Doherty?»
«Anche Luke Perry?»
«Sì, tutti quelli importanti.»
«Valerie? Torna Valerie Malone?»
«No, lei no. No.»
«E Luke Perry lascia Riverdale
«Mannò che non lascia Riverdale
«Brenda e Dylan insieme? Di nuovo?»

All’improvviso, a nessuno era più interessato quanto Beverly Hills 90210 fosse malandato nel 2000. Nessuno ricordava quanto da serie tv culto fosse diventata una soap opera di vena anni Ottanta, trita e scialba, in cui i personaggi si rincorrevano e le cui storie vivevano di un lustro sfigurato, niente di più di una giostrina rotta cigolante.

Alla parola reboot ci è sembrato tutto possibile: scongelare destini incastonati in quel tempo infinito delle prime quattro stagioni, tornare indietro senza ripercussioni, strappare alle tarme e alla naftalina felpe e t-shirt, ritrovare l’album di figurine e le VHS registrate direttamente da Italia Uno, con tanto di pubblicità e sigla. Abbiamo portato alla memoria ogni cosa: amori e dolori. Amicizie e rancori. Le prime quattro stagioni con gioia, le seconde quattro con rassegnazione e le ultime due con un certo negazionismo. E poi abbiamo sommessamente domandato:

«In che senso, un reboot?»
«La squadra è tornata insieme e stiamo girando una versione amplificata di noi stessi.»

Le band si riuniscono sempre

Tra le co-protagoniste di Heaters c’era Shannen Doherty, nel ruolo della vice, all’interno del gruppo delle Heaters, le ciniche e meschine della scuola, messe alla prova da una furia suicida che si abbatteva senza sconti sugli studenti.

Prima, Shannen Doherty aveva già partecipato all’ultima stagione di Little House on The Prairie (La casa nella prateria) e a Our House, un family drama di due stagioni, mai trasmesso in Italia. Come lei, anche Luke Perry, Gabrielle Carteris, Jason Priestley, Tori Spelling e Brian Austin Green avevano recitato in altre serie TV (Loving, The Love Boat, Airwolf, Another World, Knots Landing), ma per pochi o alcuni episodi, e mai come protagonisti; Jennie Garth e Ian Ziering erano addirittura debuttanti al momento di iniziare Beverly Hills 90210. Per tutti, dopo la prima stagione dello show, la vita cambiò.

Il primo episodio di BH90210, andato in onda su Fox Tv solo negli USA lo scorso 9 agosto, dal titolo The Reunion, nei primi minuti è stato un omaggio al fan più devoto. Il sogno che Tori Spelling fa è il sogno che noi abbiamo fatto almeno una volta negli ultimi 19 anni. Le battute che i nostri idoli si scambiano, il juke box del Peach Pit che suona, Andrea che cerca di scambiare, letteralmente, un uovo insieme a Steve, Brandon che serve ai tavoli è davvero un regalo nostalgico tutto per noi. Per prepararci. Per metterci comodi. Per farci intenerire.

La reunion in questione è un evento celebrativo dei 30 anni di Beverly Hills 90210, dove Tori Spelling, Jennie Garth, Gabrielle Carteris, Ian Ziering, Jason Priestley, Brian Austin Green e, a sorpresa, Shannen Doherty rispondono alle domande dei fan sui personaggi che sono stati e mentre cercano, invano, di affermare una nuova versione di loro stessi, di innescare un reboot appunto, sono sovrastati dall’incontrovertibile, una volta in più: nessuno di loro potrà essere mai davvero libero da quello show.

La versione amplificata è questa: con il piglio da reality show, ritroviamo gli attori invecchiati e maturi, intenti a risolvere i problemi dell’età adulta: crescere i figli, mandare avanti un matrimonio, la fine di un amore, la scoperta tardiva di se stessi.

The Reunion e The Pitch, i due episodi fino a questo momento andati in onda mentre pubblichiamo questo pezzo sono le premesse che ci tocca accettare: asfittici, indebitati, collerici, tristi e infedeli, i nostri eroi sono ancora vittime dello show, e le prime battute che erano, appunto, solo un sogno ci sussurrano meschine due verità: Luke Perry è morto e noi, da parte nostra, abbiamo tolto la vita a chi è rimasto.

Mentre guardiamo la puntata con la felpa che sa di naftalina, Tori Spelling ci fa notare che lei, sull’orlo del lastrico, non guadagna nulla dal suo faccione stampato e che gli altri, ognuno a suo modo, stanno facendo i conti con una vita incastrata nella finzione che ha fatto la loro fortuna e la loro condanna. I fan li acclamano, li amano, loro invece si odiano, tutto è come deve, secondo un copione che in fondo sappiamo già ma ci sforziamo di rimuovere e che promette l’elisir di giovinezza, ma poi si infrange davanti al fatto che nessuno di loro è felice di essere chiamato per nome del suo personaggio, di essere identificato con i difetti o con i pregi di un manichino, ma non si accontenta comunque di restarne completamente lontano.

Il successo di una serie tv, delle storie e dei suoi personaggi, appare una salvezza solo per chi la guarda. E a noi spettatori non sta davvero bene, perché loro non sono come tutti gli altri, non hanno preso il nostro tempo come tutti gli altri, non si sono infilati nelle nostre vite senza chiedere niente in cambio, sono persone dietro i personaggi che conoscevamo già e non siamo affatto disposti a rimettere tutto in discussione: con i pregi e i difetti delle loro storie, con le diversità ancora da affrontare, allora ci hanno trasformato, e noi abbiamo trasformato loro. A questo punto dobbiamo fare i conti.

I pop corn sono sul tavolo, quasi secchi, Tori ha un po’ di cose da raccontarci, coinvolge Jennie in un progetto che durerà 6 puntate e la nostra estate, il tempo preferito di Beverly Hills 90210, perché succedeva sempre qualcosa di fondamentale, la formazione dei personaggi trovava sempre un punto di svolta. Sul divano per guardare indietro, con l’obiettivo ultimo di andare avanti. Tutti insieme.

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