Nel nostro linguaggio quotidiano allineiamo, senza accorgercene, metafore e sinestesie. “Riflettere sulla struttura del linguaggio e della lingua è stata una costante della mia attività di studiosa, a cominciare dagli anni degli studi liceali”. A distanza di trent’anni dalla prima edizione, torna in libreria il “Manuale di retorica” di Bice Mortara Garavelli, linguista italiana, studiosa di grammatica e di retorica. Tra le altre cose, la professoressa ha raccontato in un’intervista a ilLibraio.it alcuni degli episodi più significativi vissuti durante l’insegnamento: “Ricorderò il silenzio emotivamente partecipe e attento, con cui fui accolta a lezione dai miei studenti in uno dei momenti più desolati della mia esistenza (avevo perduto, da pochi giorni, un figlio)”

Ogni volta che usiamo il linguaggio compiamo, più o meno consciamente, scelte retoriche, che possono modificare l’impatto del messaggio sul nostro destinatario: essere consapevoli ci permette non solo di parlare meglio, ma anche di comunicare con più efficacia. Per questo il Manuale di retorica di Bice Mortara Garavelli non è solo uno strumento prezioso (e immancabile) per tanti studenti universitari: è anche un tuffo nel passato fino alle origini della retorica, attraverso la Grecia e il mondo romano. Alla storia della retorica segue il manuale vero e proprio, che presenta minuziosamente artifici retorici e stilistici noti, rari e curiosi, sempre corredati da utili esempi.

A distanza di trent’anni dalla prima edizione, il manuale torna in libreria e ilLibraio.it ha colto l’occasione per porre qualche domanda alla professoressa Bice Mortara Garavelli, linguista italiana, studiosa di grammatica e di retorica.

Il suo manuale, studiato e apprezzato da generazioni di studenti, torna in libreria dopo trent’anni: quali cambiamenti sono stati operati?
“Si è trattato solo di qualche ripristino. Si sono colmate le (poche) lacune riscontrabili nel confronto fra la prima edizione (1988) e le successive ristampe. In particolare, nel primo capitolo, (Notizie storiche), sono state ripristinate due pagine (nell’edizione odierna, dalla riga decima della p. 67 ‘A metà del Cinquecento viene riscoperta e tradotta la Poetica di Aristotele’, alle righe decima-dodicesima della p. 69 ‘La retorica viene […] elevata alla funzione di ammaestramento dei popoli’)”.

Come è iniziato il suo interesse per questo campo di studio?
“Riflettere sulla struttura del linguaggio, orale e scritto, e delle lingue – mi riferisco in particolare al greco antico, al latino classico e medioevale e, naturalmente, all’italiano dalle origini ai giorni nostri – è stata una costante della mia attività di studiosa, a cominciare dagli anni degli studi liceali. Ma decisiva per la direzione in cui incanalare le mie istintive preferenze è stato l’incomparabile magistero di Benvenuto Terracini. Di cui ricordo con ammirazione e gratitudine miste a un commosso rimpianto le sue ‘lezioni del mercoledì’, dedicate alla formazione di una ‘stilistica linguistica’: importante anticipazione ante litteram di aspetti e sviluppi fondamentali della successiva pragmatica applicata all’analisi delle lingue”.

Quante volte nella nostra quotidianità usiamo accorgimenti retorici, senza accorgercene? Può farci qualche esempio?
“Facile allineare metafore e sinestesie (pp.: stanca morta il tempo volasorriso amaro… è andato tutto liscio…voce chiara, /profonda/ cupa… il dente/ la cresta/ i piedi / della montagna (v. Manuale pp. 228-240). I sottintesi: non dico altro…. la cosiddetta retorica del silenzio”. 

Le figure retoriche in un testo narrativo possono ricoprire tante funzioni, dall’impreziosire il dettato all’esplicitare sensazioni di un personaggio, all’immettere ironia nel testo… Come si può regolare lo scrittore per non esagerare nel loro uso, facendo apparire il tutto artefatto?
“Lei conosce certo l’adagio latino, implicito già nella domanda: ‘In medio stat virtus’”.

Ha ravvisato modifiche sostanziali nella costruzione e nella strutturazione dei discorsi politici in questi ultimi anni?
“Li definirei (in parte preponderante) “discorsi da campagna elettorale permanente”. Sono caratterizzati da enfasi, semplificazione dei problemi, preconcetti esibiti perfino con spudoratezza. Sono frutti della rinuncia a portare dati precisi, nella foga di stimolare la carica emotiva a danno della componente razionale del ragionamento. Questo è l’aspetto deteriore della retorica”.

Pensa che sarebbe utile istituire nelle scuole un’ora di retorica e dialettica, in cui sperimentare la costruzione di discorsi persuasivi, un po’ come avviene nelle lezioni di dibattito che si tengono, ad esempio, nel mondo anglosassone?
“Non ho, ahimè, esperienza diretta di una promozione a materia scolastica di retorica e dialettica; né so se esistano testi scritti adeguati. Mi auguro invece che gli insegnanti, senza demarcazioni di ‘materie’, sappiano dirigere ed eventualmente correggere i discorsi orali e scritti degli allievi. E di questo ho avuto, per mia fortuna, conferme positive quando ho partecipato (come dilettante) a giornate di studio riguardanti modi e tecniche di insegnamento nelle scuole secondarie”.

Ha avuto a che fare con moltissimi studenti: cosa ricorda con maggior piacere nella sua carriera di insegnante?
“Stabilire con gli studenti un contatto produttivo (compatibilmente con i limiti delle mie capacità) è stata la ragione principe del mio insegnamento. A conti fatti oserei dire che mi è difficile stabilire una graduatoria di ‘piacevolezza’; rovesciandone i termini, ricorderò il silenzio emotivamente partecipe e attento, con cui fui accolta a lezione dai miei studenti in uno dei momenti più desolati della mia esistenza (avevo perduto, da pochi giorni, un figlio). Aggiungo che, pronta a sostituirmi, se non fossi riuscita a portare a termine la lezione, c’era in prima fila una delle mie antiche allieve, Carla Marello, laureata e ormai ‘quasi collega’”.

 

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