La storia di due fratelli che crescono in una periferia difficile, che ci porta negli anni ’90, in un sobborgo di Toronto. Quella raccontata in “Brother” da David Chariandy è una della tantissime vicende di povertà ed emarginazione che costantemente vengono ignorate. Un’elegia moderna, e dal cuore pulsante, di una generazione dimenticata – L’approfondimento

La storia di due fratelli che crescono in una periferia difficile. Micheal è un ragazzo sensibile, ha bisogno di protezione. Francis, il fratello maggiore, è più duro, un ragazzo di colore che si muove con circospezione e sa cosa significa essere visti come una minaccia. È la Scarborough degli anni ’90, un sobborgo di palazzi e musica hip hop, il cui volto sta per cambiare per sempre.

Così David Chariandy descrive il suo romanzo Brother. L’autore, premiato con il Rogers Writers’ Trust Fiction Prize e il Toronto Book Award, non ci ha regalato una storia autobiografica ma a work of imagination – il che può sorprendere viste le origini di Chariandy, che proprio nel sobborgo di Toronto ha il suo luogo natale.

Quello che lo scrittore canadese ha voluto fare non è stato dunque raccontare la sua storia ma una storia, una delle tante, tantissime vicende di povertà ed emarginazione costantemente ignorate e trascurate, costruendo e sperimentando il suo what if: cosa sarebbe successo se qualcosa nella sua vita, anche solo una cosa, fosse andata diversamente? Se Micheal e Francis sono personaggi fittizi, reale e ben impressa nella memoria di Chariandy è invece “la realtà sociale e ambientale che li ha prodotti”, per citare il celebre film di Rosi.

In Brother a parlare è un Micheal adulto. È rimasto nella sua città natale e si prende cura della madre, che ancora ragazza ha lasciato la sua vita a Trininad per costruirsene una nuova a Toronto. A emergere dai ricordi infantili del protagonista è una donna che lavora e si sposta in autobus, si sposta in autobus e lavora, intrappolata in una routine senza pietà nella quale misteriosamente trova sempre il tempo per cucinare e portare in tavola un luogo, i Caraibi, che per i due fratelli esisterà per lungo tempo solo nei sapori, negli odori e nei nomi di quella cucina.

L’atto di cucinare è pressoché l’unico gesto di palese amore materno: per il resto la sua voce, che la dura disciplina scolastica aveva educato alla pronuncia dell’inglese britannico standard, lanciava minacce dissotterrate dai più profondi inferi della storia.

Divieti e le minacce (Fate i compiti! Non sprecate il cibo! Non aprite a nessuno!) sono la fusione tra il senso di colpa dell’inarrestabile lavoratrice con un ben preciso desiderio che è al contempo un ordine, un monito e una supplica: non sprecate le vostre opportunità!

Ma quali opportunità? Quelle di approdare alle sponde più verdi di una vita migliore. Una possibilità che la generazione precedente ha avuto, e come fa notare Dina Nayer è proprio qui, nella fede della madre, che si apre la frattura, il fundamental cultur clash che separa i genitori dai figli della periferia: i primi sono effettivamente riusciti a cambiare la loro vita, vivono nel paese che hanno scelto, e non rischiano di venire uccisi dalla polizia del loro stesso paese. E questo Francis lo sa, lo ha imparato prima del fratello, della madre, e sconterà il peso di questa consapevolezza.

“Cos’è che spaventa due ragazzini di dieci e undici anni? A volte, nel bel mezzo dei nostri giochi, una sirena lacerava l’aria e delle auto con i lampeggianti accesi si fermavano sulla via di casa tra lo stridore degli pneumatici […] Si sentivano storie […] Una mattina, mentre scrutavamo in un distributore di giornali per leggere i titoli riguardanti il fattaccio di turno, io e Francis cogliemmo sul vetro il riflesso delle nostre facce.”

Anche i ragazzi di Scarborough hanno però i loro sogni, e sono molto diversi da quelli borghesi dei genitori. Sono sogni senza una forma precisa, dai contorni sfumati, che hanno a che fare con la musica e portano decine di ragazzi a riunirsi al barbershop Desirea, dove attraverso la sperimentazione, “il riappropriarsi di tutto, i vivi e i morti”, la loro generazione disillusa cerca la sua voce.

Fino a quel momento Francis si era sempre mostrato distaccato e ragionevole. Si proteggeva, com’era giusto. Ma in quel momento intravedevo in lui non solo una speranza strana e pericolosa, ma anche qualcos’altro. C’è questa cosa che succede a volte ad alcuni ragazzi del quartiere […] qualcosa di profondamente vero, innegabile, ma di cui raramente si parla, che raramente viene spiegato. […] Mentre pensavo ai fatti miei, lo riconobbi al volo.”

La prosa di Chariandy regala a Micheal una voce limpida, precisa, magnetica. I ricorrenti flashback rendono vibrante la narrazione di una quotidianità di case, negozi, lavoretti, vicini. A dialoghi o monologhi interiori è dato uno spazio minimo, eppure il risultato è intimo e toccante, senza perdere nemmeno per un istante la sua immediatezza.

“Com’era Scarborough? La Scarborough di allora, come quella di oggi, è piena di persone ordinarie e incredibili, che vivono la loro quotidianità ma non per questo sono meno eroiche: la loro vita, le difficoltà quotidiane, e tutta la bellezza e la creatività che emanano nel cercare di superare le circostanze più difficili…” D.C.

Brother, grazie alla sensibilità del suo autore, riesce a essere una storia tanto di dolore e perdita quanto di bellezza, di comprensione e di amore: un’elegia moderna e dal cuore pulsante di una generazione dimenticata.

Fonti:

https://www.theguardian.com/books/2018/mar/15/brother-by-david-chariandy-review

Intervista: https://www.cbc.ca/books/brother-by-david-chariandy-1.4246382

 

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