di Marco Buticchi

Lo scorrere del tempo, invece di cancellarli, fa emergere i contorni degli avvenimenti mostrandoli con tratti sempre più precisi. Lungi da me affermare che siamo prossimi alla verità su vicende complesse e misteriose. Ma l’esercizio sviluppa l’organo così come il ragionamento aiuta la comprensione.
Il fenomeno del terrorismo italiano è stato liquidato come uno scellerato prosieguo dei moti studenteschi del ’68: risolutezza, freddezza, fedeltà e pianificazione capillare sono state le caratteristiche delle organizzazioni terroristiche che hanno insanguinato la Nazione e gran parte dell’Europa. Contraltare del fenomeno rosso fu il terrorismo nero: inferiore il numero di aderenti, ma uguale risoluta freddezza. E così, dopo anni di terrore per l’Italia tutta, i gruppi armati furono debellati grazie alle prime diserzioni, ai primi pentimenti e al successo degli infiltrati nelle organizzazioni terroristiche. Impegnati come eravamo nel gioire per la fine di un incubo, pochi di noi si soffermarono a riflettere sui contorni meno chiari della vicenda. Appagati dalla rinnovata tranquillità, nessuno andò a scavare sui risvolti misteriosi di un fenomeno assai più complesso di come poteva apparire. E quei pochi che ci ficcarono il naso non fecero una bella fine. Oggi quelle voci guadagnano nuovamente le prime pagine dei giornali, arricchendosi di particolari che in un primo tempo erano sfuggiti agli inquirenti.

Infiniti sono gli interrogativi che la rilettura del fenomeno terroristico accende oggi e impossibile sarebbe cercare di far luce sulla vicenda in poche righe. Ritengo sia sempre importante, però, instillare un dubbio nel lettore e quindi, dopo aver a lungo studiato alcuni aspetti del terrorismo per la stesura del mio ultimo romanzo, elencherò di seguito le prime incongruenze che mi vengono in mente.
Vi siete mai chiesti per quale motivo il capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, riuscì a sfuggire più volte alla cattura a causa dei comportamenti maldestri degli inquirenti? Per quale motivo, nello stesso palazzo del covo brigatista di via Gradoli, alcuni appartamenti erano di proprietà di società facenti capo ai servizi segreti? Come mai nel covo di via Gradoli, manoscritto da Moretti, viene rinvenuto il numero telefonico 659127, utenza intestata a Savelia Spa, società di copertura del servizio segreto civile italiano? Come mai, contemporaneamente alla scoperta “pilotata” del covo di via Gradoli, viene diffuso il comunicato numero 7 delle BR. Un comunicato palesemente falso, ma giudicato autentico dagli inquirenti. Il comunicato nr.7 è disseminato di mezze frasi e minacce. Lì compare per la prima volta “la duchessa” come luogo che custodisce il corpo di Aldo Moro. Il falso comunicato fu stilato da Toni Chicchiarelli, falsario di professione e legato a doppio filo con servizi, delinquenza romana e con la Banda della Magliana in particolare. Probabilmente, in cambio della prestazione resa ai suoi misteriosi committenti, Chicchiarelli riceve i piani per portare a termine la rapina del secolo all’agenzia di custodia valori Brink’s Securmark (di cui è socio Michele Sindona): senza sparare un sol colpo, i rapinatori – erroneamente identificati come brigatisti – si portano via 35 miliardi di lire in contanti, e gioielli e opere d’arte per un valore mai stimato. Chicchiarelli sarà freddato poco dopo da un professionista. E ancora un professionista sarà quello che ammazzerà a pistolettate il giornalista Mino Pecorelli nello stesso giorno in cui Pecorelli firma un articolo in cui sostiene che, per trovare la verità sul caso Moro, bisogna rivolgersi a una “duchessa”, in un palazzo custodito da leoni…

Ancora non esiste una visione chiara delle fasi e dei ruoli ricoperti dai brigatisti nel corso dell’agguato a Moro e alla sua scorta. In particolare le deposizioni sono fumose e contraddittorie quando i terroristi depongono in merito al gruppo di fuoco: i quattro killer appostati dietro una siepe che indossavano divise dell’Alitalia. In via Fani viene scaricato un volume enorme di fuoco. In un paio di minuti i terroristi lasciano a terra 91 bossoli (oltre ai 2 provenienti dalla pistola d’ordinanza da un membro della scorta di Aldo Moro). 46 di quei colpi vengono esplosi dalla stessa arma, utilizzata da un terrorista preciso e freddo che i testimoni oculari non esitano a soprannominare Tex Willer per la calma e la precisione con cui compiva la mattanza. Ancora oggi Tex Willer non è stato identificato, nonostante pentimenti, dissociazioni e confessioni fiume.
Ancora poco convincenti appaiono le modalità dell’omicidio dell’onorevole Moro, così come verbalizzate durante gli interrogatori dei terroristi. Il Presidente viene chiuso in una cesta, trasportato nel garage di un condominio e fatto sdraiare nel bagagliaio di una Renault 4. Prima di aprire il fuoco con una pistola PPK, i terroristi adagiano una coperta sopra al prigioniero. Esplodono due colpi e la pistola con silenziatore s’inceppa. L’assassino imbraccia allora una mitraglietta Skorpion 7,65 e crivella il corpo di Moro di colpi: una raffica assordante esplosa all’interno di un garage di un condominio abitato. Il presidente non morirà immediatamente, ma dopo una decina di minuti di agonia. Con un moribondo nel bagagliaio di una R4 rossa, dopo aver fatto un bel trambusto, i terroristi si mettono tranquillamente in viaggio e attraversano Roma compiendo un tragitto di 7 km. Ricordiamo appena che Roma e l’Italia intera, proprio a causa del rapimento del presidente democristiano, sono in stato d’assedio e disseminate di posti di blocco. Un comportamento superficiale che poco si confà a un terrorista attento come Mario Moretti e ai suoi uomini. Unico scopo di tale avventatezza è quello di lasciare l’auto a mezza strada tra la sede del PCI e quella della DC, in via Caetani. Davanti al palazzo della “duchessa” Caetani di Sermoneta, dove due leoni di pietra sono posti a guardia del passo carraio…

Quale ruolo giocava la scuola di lingue parigina Hyperìon, fondata da co-fondatori delle BR e frequentata da Mario Moretti? Perché la scuola di lingue Hyperìon apre una succursale, solo per la durata del sequestro Moro, nei pressi di via Veneto in un palazzo dove molti appartamenti risultano, come per via Gradoli, di proprietà di società collegate ai Servizi? Chi era il grande Vecchio delle Br che raccolse gli interrogatori di Moro? Che fine hanno fatto i verbali integrali degli interrogatori? Quali segreti contenevano le borse prelevate dai terroristi in via Fani?
Come mai Enrico Sbriccoli (in arte Jimmy Fontana) dichiara di aver venduto una mitraglietta Skorpion 7,65 regolarmente posseduta a un funzionario di polizia che negherà ogni addebito? Quella mitraglietta, nelle mani dei brigatisti, uccise almeno 5 innocenti: due giovani simpatizzanti del MSI in via Acca Larentia, il professor Ezio Tarantelli, l’ex sindaco di Firenze Lando Conti e il senatore DC Roberto Ruffilli.
La lista di strani accadimenti, depistaggi, falsi indizi e pericolose commistioni tra apparati deviati dello Stato, servizi stranieri, malavita comune e terrorismo potrebbe diventare infinita. Ma a noi piace, forse per comodità, credere che i fatti si siano svolti così come ci hanno raccontato, almeno sino a che un preparato giornalista straniero, come Steve Peczenik, non rimette in discussione ogni particolare di una vicenda tenebrosa. In fondo anche Mino Pecorelli e altri si cimentarono nel medesimo intento, senza riuscirci. Le loro voci rimasero inascoltate. E c’è poco da stupirsi: non fummo forse pronti a credere – e ancor oggi quella è la versione ufficiale – che a indicare il nome Gradoli agli inquirenti sia stato uno spiritello onnisciente che, venuto dall’aldilà, ha sussurrato ad alcuni potenti la chiave del mistero brigatista nel corso di una seduta spiritica?
Italiani, brava gente…

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