Claudia Durastanti in un’intervista a ilLibraio.it, parla di letteratura al femminile e femminismo di quarta generazione. Spazio anche alle tematiche letterarie in voga negli Usa e in Gran Bretagna, a partire dal corpo. Le giovani autrici? “Fanno rete e si supportano a vicenda…”

Claudia Durastanti (nella foto grande; @vale, ndr), nata a Brooklyn, e che ora vive a Londra, è tornata in Italia per presentare il suo nuovo libro, Cleopatra va in prigione (minimum fax) e in quest’occasione ilLibraio.it l’ha incontrata per parlare di libri e femminismo: “Ultimamente leggo molte scrittrici donne. Mi sembra che vogliono sperimentare di più, soprattutto nella forma”, racconta l’autrice, che nel suo romanzo ha deciso di raccontare la periferia di Roma secondo un nuovo modello, come un luogo tropicale… E prosegue: “Parlando con chi ci vive, sempre più spesso la città e la sua periferia vengono descritte come un ambiente sudamericano, diversissimo dall’immagine di Roma che conosciamo da decenni grazie alle opere di grandi autori come Pasolini”.

cleopatra- prigione

Anche dal punto di vista linguistico l’autrice ha deciso di osare, i suoi personaggi non parlano in dialetto, “ma in una lingua piana, mediata dalla tv. Oggi l’influenza della televisione è tale per cui non ci si stupisce se personaggi di origini molto umili usano il congiuntivo”.

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Per quanto riguarda le scrittrici anglofone, “Jennifer Egan con Il tempo è un bastardo offre un esempio di sperimentazione formale ben riuscita. Tuttavia il libro che al momento mi sembra osare di più è A girl is a half-formed thing, di Eimear McBride, che da noi non è ancora uscito. Si tratta di un flusso di coscienza con un uso pirotecnico della lingua – non a caso l’opera è stata definita il nuovo Ulisse – che tratta temi molto forti, tra cui la violenza sessuale”.

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L’amicizia femminile ormai “è un’estrema forza di mercato”. Basti pensare a uno dei romanzi più “militanti e politicizzati del momento, Le ragazze di Emma Cline. Un libro contro il patriarcato, con i personaggi maschili tra i più orrendi, in cui però l’amicizia femminile è esaltata. Sembra che ormai il paradigma secondo cui un personaggio femminile ha bisogno di uno specchio maschile per completarsi sia sorpassato”. Non a caso l’autrice ha deciso di mettere al centro del suo romanzo Caterina, una ex ballerina classica diventata spogliarellista e con un fidanzato in carcere. “Ho deciso di raccontare una storia urbana con una ragazza protagonista perché mi sono accorta che in questo tipo di narrazioni di solito la donna è solo un’ancella, un’aiutante del protagonista maschile”.

la vegetatriana

Tra i temi più in voga in questo periodo nella letteratura anglofona c’è “il corpo, ma non più legato alla negazione del cibo. Ne sono un esempio La vegetariana di Han Kang e Alexandra Kleemann con il suo You too can have a body like mine, un romanzo sulla fame  sia fisica che emotiva”.

Il corpo è anche al centro di Cleopatra va in prigione, Caterina e il suo fidanzato, Aurelio, esprimono attraverso il movimento e l’esercizio fisico anche quello che non riescono a dirsi a parole: entrambi sono atleti, lei ballerina, lui boxeur. Inoltre i due aprono un night club e Caterina diventa spogliarellista ed è circondata da colleghe investono lo stipendio nella chirurgia plastica: di nuovo il corpo è al centro della scena. “Volevo scrivere una storia che raccontasse anche le sex workers da un punto di vista diverso”, confessa l’autrice.

“Ho letto un libro inedito in Italia, Women in Clothes, in cui viene chiesto a molte donne come hanno costruito la loro femminilità. Quello che emerge è che per prima cosa guardiamo altre donne, nutriamo per loro un’attenzione quasi estrema. Il primo innamoramento forse è proprio quello: vediamo nelle altre ragazze quello che ci piace e cerchiamo di carpirne i segreti. Non credo che una ragazzina perda tempo facendosi bella e truccandosi, anche il femminismo di quarta generazione lo ammette. Sheila Heti (tra le autrici di Women in Clothes), ma anche nomi come Dana Spiotta e Chris Krauss hanno riflettuto su questo”, continua Durastanti.

“Le autrici più giovani negli Usa e in Gran Bretagna fanno tantissima rete, si supportano a vicenda e danno vita a progetti molti interessanti. Il nuovo femminismo che portano avanti queste ragazze è più pop, ma molto meno diviso di quello di un tempo, e lì sta gran parte della loro forza. Alcune giovani blogger e autrici sono vere e proprie influencer capaci di riportare in auge titoli come I love dick della Krauss attraverso i social media. E, soprattutto, c’è tantissima apertura e collaborazione, cosa che invece manca ancora in Italia”.

Claudia Durastanti, che con un suo racconto ha partecipato alla raccolta Quello che hai amato e ha collaborato con il magazine di storie vere Abbiamo le prove, infatti riconosce che “nei paesi anglofoni la non fiction femminile ha senza dubbio una maggiore forza di mercato che da noi”.

Un altro tema, non nuovo, ma per la prima volta declinato al femminile è quello della passeggiata urbana. Molto in voga all’inizio del Novecento a Parigi, la figura del flaneur non è mai stata applicata su una donna, “l’invisibilità di questa condizione non le è mai stata permessa, almeno fino a oggi, quando Lauren Elkin ha realizzato il libro Flaneuse. Questo filone è molto interessante, c’è una parte di non fiction che però si lega alla narrazione urbana e alla città. Anche Maggie Nelson è un’autrice che sa unire bene la parte autobiografica a un elemento universale. Ecco, forse è questo che manca un po’ agli esempi italiani di non fiction autobiografica, un aggancio con il resto”, ammette Durastanti.

carne viva

Infine la climate change fiction è “sempre più comune. Sono tante le nuove storie in cui la natura irrompe nella città e si vendica in modo sottile”. E gli underdog, gli sfavoriti della società, come Caterina e Aurelio, negli USA sembrano provenire sempre più spesso dal “mondo delle cucine dei ristoranti, come in Carne viva di Merritt Tierce”.


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