“Come non scrivere. Consigli e esempi da seguire, trappole e scemenze da evitare quando si scrive in italiano” è il manuale di Claudio Giunta per perfezionare la propria scrittura, che si tratti di un messaggio o di un testo lavorativo, di un post su Facebook o di una tesi… – Su ilLibraio.it un capitolo dedicato alla punteggiatura

Dai temi alle tesine di scuola, dalle presentazioni alle email di lavoro, dai post su Facebook fino alle chat personali, la scrittura fa parte di ogni aspetto della vita quotidiana, tanto nella sfera professionale quanto in quella personale; ma scrivere abitualmente, anche solo un messaggio, non significa necessariamente saperlo fare: saper scrivere, e farlo bene, è un’altra cosa.

Per perfezionare l’uso della lingua scritta, Claudio Giunta, docente di letteratura italiana all’Università di Trento, esperto di letteratura medioevale e curatore dell’edizione nei Meridiani Mondadori delle Rime di Dante, ha compilato Come non scrivere. Consigli e esempi da seguire, trappole e scemenze da evitare quando si scrive in italiano (Utet), un manuale per perfezionare la propria scrittura, dall’uso della punteggiatura fino alla correzione dei peggiori strafalcioni ortografici.

come non scrivere claudio giunta copertina

Scrittore, saggista e ricercatore, collaboratore di Internazionale e del Domenicale del Sole 24 ore, Giunta tiene un blog di successo in rete e quando tratta di scrittura lo fa con cognizione di causa: Come non scrivere affronta tutti gli aspetti della scrittura, dalla più alla meno formale, e riflette sui diversi spunti linguistici che si possono trovare tanto nelle leggi fondamentali di Borg, Silvio Dante e Catone, quanto sui social network, riflettendoci in modo consapevole e aggiornato.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un capitolo del libro:

Si mette la punteggiatura perché il lettore capisca quali sono i rapporti sintattici che legano i membri di una frase o di un periodo. Segni interpuntivi diversi, o collocati in punti diversi di una frase o di un periodo, possono dare infatti diverse sfumature di senso. Posso scrivere:

Il mio avversario dice che vi ho tradito ma le cose non stanno così.

Se però scrivo

Il mio avversario dice che vi ho tradito. Ma le cose non stanno così.

la pausa forte dopo ‘che vi ho tradito’ rende il significato delle mie parole più netto e perentorio. E se scrivo

Il mio avversario dice che vi ho tradito. Ma le cose non stanno così!

è chiaro che quella che nei primi due esempi era una semplice constatazione diventa quasi un grido di protesta, che ci può immaginare pronunciato da qualcuno che è molto irritato. Facciamo un altro esempio.

1. La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto, e non era solo.

2. La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto: e non era solo.

3. La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto – e non era solo.

4. La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto. E non era solo.

5. La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto… E non era solo.

6. La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto. E non era solo…

7. La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto… E non era solo!

Il significato è sempre lo stesso: una donna torna a casa all’improvviso e scopre che il marito la tradisce. Ma la prima frase dà questa informazione in maniera piana, denotativa. Nelle tre frasi successive la voce fa una pausa prima di ‘e non era solo’, ed è una pausa che vuole esprimere (e vuole far sì che il lettore provi) sorpresa e sconcerto. Nella quinta frase c’è, tra il primo periodo e il secondo, una serie di puntini di sospensione, per creare un breve momento di suspense. Nella sesta i puntini servono invece a dire al lettore ‘indovina un po’ con chi poteva essere, e che cos’è successo dopo’. Nella settima, infine, chi scrive aggiunge, attraverso il punto esclamativo, una sottolineatura emotiva, unendo per così dire la sua sorpresa a quella del lettore (con un effetto un po’ sguaiato, bisogna dire: qui il punto esclamativo non sta molto bene).

Sfumature, si può obiettare: ed è vero, ma le sfumature contano. Prendiamo però questo titolo di giornale (“Il Foglio”, 30 agosto 2017):

Il futuro dell’Italia passa dai giovani, pensionati

Qui la virgola non è una sfumatura. Se ci fosse scritto ‘Il futuro dell’Italia passa dai giovani pensionati’ il significato sarebbe che le sorti del nostro Paese sono legate a chi è appena andato in pensione. La virgola dopo ‘giovani’ ci mette invece sull’avviso: si tratta di un articolo che ironizza sul fatto che in Italia si spende troppo in pensioni e troppo poco in politiche per il lavoro dei giovani.

Sono solo esempi, per far capire che la punteggiatura, se la si sa usare, può avere un notevole valore espressivo. Tant’è vero che alcuni scrittori sviluppano quasi un loro proprio sistema interpuntivo, delle idiosincrasie personali che contribuiscono alla definizione del loro stile. Vediamo per esempio come Gadda adopera i due punti nel corso di una descrizione di interni:

L’odore di un ragoût settentrionale combatteva a stento contro quello vittorioso della latrina. A fianco l’uscio della mia camera, la scopa ed il secchio della Johana con la dotazione degli strofinacci al completo: delle lenzuola in mucchio, al suolo, evidentemente quelle del mio predecessore: e poi due calzette di lana grigia, da uomo.
(C.E. Gadda, Le meraviglie d’Italia. Gli anni, Einaudi, Torino 1964, p. 41.)

I due punti, qui, scandiscono l’elenco, ne isolano gli elementi rendendo ciascun elemento più cospicuo, come se ogni cosa venisse mostrata a dito: qui le lenzuola in mucchio, le due calzette di lana grigia. Vediamo invece in che modo i due punti vengono adoperati da Sciascia:

… Curiosa e stravolta nozione del pentimento: che non solo non ha nulla a che fare con la coscienza…
… se leggessi la sua sentenza istruttoria, darei ragione a lui: su un piano, per così dire, narrativo…

In entrambi questi passi di Sciascia i due punti introducono una pausa forte che porta con sé un’interessante sfumatura espressiva: nel primo caso la pausa richiama l’attenzione del lettore sulla parola ‘pentimento’, isolandola per così dire nel flusso della frase, e dandone una definizione, una chiosa; nel secondo caso introduce una precisazione importante circa i limiti entro i quali l’autore darebbe ragione al giudice che ha scritto la sentenza
(ed è interessante osservare come in entrambi i casi il redattore del “Corriere della Sera” che preparò i pezzi di Sciascia per la pubblicazione abbia cancellato i due punti, che evidentemente sentiva come anomali: «Curiosa e stravolta nozione del pentimento che non solo non ha nulla a che fare con la coscienza… se leggessi la sua sentenza istruttoria, darei ragione a lui su un piano, per così dire, narrativo»).
(L’osservazione è resa possibile dagli apparati a cura di Paolo Squillacioti che accompagnano la nuova edizione di L. Sciascia, A futura memoria (se la memoria ha un futuro), Adelphi, Milano 2017, p. 170.)

(Continua in libreria…)

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