Dopo il successo “E allora baciami”, torna in libreria in versione aggiornata “Davanti agli occhi”

Le cose belle si presentano all’improvviso. Basta un attimo, ed ecco che la vita ti travolge, anche se ormai non ci credevi più. Come Luca, che a trent’anni ha già fatto un voltafaccia a se stesso rinunciando al sogno di diventare scrittore per inseguire soldi e successo: ora le giornate gli sembrano tutte uguali, note di una melodia suonata senza passione. Chiuso nel suo ufficio da broker, sente di aver nascosto la parte più importante di sé, quella che non ha paura di ascoltare il cuore. Ma come puoi ascoltare il cuore se non gli permetti di tirar fuori la voce? Come puoi inseguire i sogni, se non sai più riconoscerli? È proprio in questi momenti, quando tutto sembra perduto, che ci capitano le cose migliori. E appena incontra Mary, Luca non ha dubbi: lei è la sua cosa migliore…

davanti agli occhi roberto emanuelli

È la trama di Davanti agli occhi, romanzo di Roberto Emanuelli, autore molto seguito sui social, giù uscito nel 2015 (prima in versione autopubblicata e poi per Edizioni Efesto) e ora proposto da Rizzoli in una nuova edizione aggiornata, a seguito del successo di E allora baciami.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo il quarto capitolo:

Parlami della tua vita

 

In cuffia suona Ligabue
con Balliamo sul mondo
Martedì 21 novembre 2015

Mentre bevo il caffè, appena sveglio, ascolto la radio, subito dopo Stay With Me di Sam Smith che mi porta per un po’ su un altro meraviglioso pianeta, due tizi continuano quella che deve essere una discussione iniziata qualche minuto prima, parlano di sogni, di soddisfazione, il tipo intervistato è uno psicologo, uno di quelli specializzati in ambito lavorativo. Si tratta il tema dello spazio vitale, del benessere psicofisico. Della spinta motivazionale. Consiglia di credere in se stessi.
Sogni, soddisfazione personale, mah…
Esco di casa in fretta e furia, con il nodo della cravatta ancora da stringere, la valigetta aperta e alcuni fascicoli di clienti nella mia mano, clienti che devo incontrare più tardi. I fascicoli dovevo studiarli ieri sera ma non l’ho fatto. Non ne ho avuto voglia.
«Il broker assicurativo povero.»
Questo rispondo, quando mi chiedono: «Che lavoro fai?». «È un momento difficile, ma ho in ballo dei progetti grossi» è la seconda frase, e in genere la uso per stemperare la delusione che leggo negli occhi dell’interlocutore, che non coglie il senso autoironico e poco drammatico della battuta. In giro c’è sempre meno ironia.

Il bilocale senza finestre al pianoterra di questo vecchio palazzo di periferia, in zona Bravetta, nel quale vivo da circa quattro mesi, è un posto che, guardandolo, ti fa capire che di grosso, per l’appunto, al momento ci sono solo i progetti, e qualche rottura di palle. Ok, no, molte rotture di palle.
Questa nuova sistemazione è l’epilogo dell’ennesima storia andata a puttane, finita circa un anno e mezzo fa. La casa che avevo acquistato accendendo un mutuo trentennale, contando anche sul potenziale aiuto di Ludovica, la mia ex, era troppo grande, e le rate erano diventate insostenibili per le mie finanze. Trovare velocemente un acquirente per estinguere il debito con la banca è stato una manna dal cielo.
Il posto dove sto ora l’ho definito “la mia topaia”, perché è un po’ umido e scassato. È messo male, ecco. Somiglia molto alla mia testa, e anche un po’ al mio cuore. Per questo mi piace, per questo fa per me, per questo si è adattato subito al suo nuovo inquilino. Fa il suo sporco lavoro, colorato ma sporco.

La mia topaia ha un’entrata tipo garage – e in effetti credo proprio lo fosse, in origine – indipendente, con una grande, unica persiana di ferro all’entrata. È selvaggia. Fa molto loft newyorkese.
Forse miniloft newyorkese. Ehm, ok: la brutta copia di un loft newyorkese in miniatura…
Ora è questo che posso permettermi, ma lei, con me come inquilino, non se la passa molto meglio. Un po’ come quei cani randagi che incrociano lo sguardo di un disgraziato che campa alla giornata e decidono che quello sarà il loro padrone, ecco, la topaia newyorkese, umida e fighissima, ha fatto lo stesso con me, come il cane randagio, ha deciso che ero abbastanza “in linea” per essere il suo inquilino. Mi ha scelto. E io ci sono stato subito, sono stato subito suo, e lei è stata subito mia. Ci sporcheremo insieme, e insieme faremo pure tutto il resto delle cose che normalmente fanno una topaia e un inquilino.
Tutte le volte che ho cambiato casa, ho lasciato qualcosa dietro di me, sul percorso. E no, non parlo di roba che puoi mettere nelle scatole o in un furgone. Parlo di cose che, col tempo, non puoi mettere nemmeno più nel cuore, ché, cazzo, io uno ne ho, di cuore, mica cento. Che poi ho scoperto che certe cose è meglio non metterle nel cuore, meglio non portarle con sé, certe cose devono rimanere dove sono, nel loro tempo, nei loro spazi. Nelle loro topaie.

Ho affrontato già molti traslochi, per la mia età credo troppi. Solo di uno conservo un bel ricordo, un ricordo fantastico, uno di quelli talmente belli che risuonano nel cuore e nella testa come sanno fare solo certe canzoni: in modo magico. A tutti gli altri associo tristezza e sapore di fallimento – quando si trattava di “storie” finite; dubbio, incertezza e noia negli altri casi.

La sensazione che ho provato nell’affrontare questo mio ultimo spostamento non è facile da descrivere. Ho sentito che si trattava di un “passaggio” obbligato, e che sarebbe stato fondamentale.

Adesso, sento che qualcosa è cambiato definitivamente in me, negli ultimi tempi, negli ultimi giorni, e non parlo esclusivamente di Mary, credo che lei sia stata solo la molla. Gli spostamenti più grandi avvengono dentro di noi, da fermi. Più siamo immobili, più il viaggio è profondo. E sento che non tornerò più a essere quello che ero prima. Nulla torna davvero, nulla è mai uguale a prima. Niente è sempre la stessa cosa o nello stesso modo. Diamo un nome alle cose, un nome già usato, per convincerci che siano le stesse di sempre, che facciano lo stesso effetto, ma non è così, nulla si ripete, anche se gli diamo lo stesso nome. E io non sono come prima, nemmeno la mia topaia è come prima, ora che ha conosciuto me non è più la stessa, si comporta in modo strano, e come darle torto.

Quando ho deciso di abbandonare la mia vocazione per la scrittura, dopo pochi, deboli, ridicoli tentativi, dopo le prime prove, esitanti e poco coraggiose, con la scusa dei soldi e del dover essere indipendente, ecco, sapevo che, con quella scelta, con quel voltafaccia, avrei perso un pezzo di me stesso, giorno dopo giorno, un pezzo significativo. Sapevo che con quel tradimento mi sarei allontanato dai luoghi del mio cuore, dal piccolo Luca, quel bambino che scalciava per raggiungere i suoi sogni e il mondo in cui credeva, sapevo che mi sarei allontanato da tutto quello che avevo dentro e che mi faceva stare bene.

Le stonature fanno parte dello spartito, certo, ma alcune sono volute, altre no; certe note stonate rendono più belle e centrate le note successive, altre invece sono solo sbavature, imperfezioni, errori del musicista, segni di incapacità sua o di chi ha scritto la musica. Se ti laurei in Lettere moderne, perché era la tua passione, e finisci a fare il broker assicurativo, ecco, questo somiglia a una nota stonata e basta, una toppata, niente di voluto. Mi ricorda pure un accordo armonico di comodo, uno di quelli semplici e noiosi, senza settime, ottave o minime, nessun bemolle, no, un accordo in chiave maggiore, scontato, tipo quelli del giro di do, quelli che ti fanno cascare le palle in terra, che rendono la canzone una musichetta, una canzoncina banale e facilmente fruibile, sì, insomma, non un passaggio jazz di quelli dissonanti ma cercati apposta per dare un sapore “sporco” al pezzo, per esaltarlo con sbavature volute. No, è solo una cazzata del pianista che non ha avuto le palle di tentare.

È una scorciatoia. È il frutto della non decisione, della non azione di un musicista pavido e poco consapevole del suo strumento e delle sue capacità: arrivato a quel passaggio, quello più complicato, quello in cui si decideva tutto, quello che, a seconda dei casi, faceva del pezzo un “brano fico” o uno di quelli che finiscono nei cestoni di paglia dell’Autogrill, ecco, arrivato a quel bivio, il pianista si è cagato sotto ed è scappato, ha fatto la scelta più facile. E l’ha pure mal interpretata: perché poi, alla fine, il brokeraggio assicurativo nemmeno ti frutta come speravi.

Ecco, in circostanze come queste, il pianista dovrebbe alzarsi e andarsene a testa bassa, chiedendo umilmente scusa al pubblico e, prima di tutto, a se stesso. Nulla è mai come prima, niente ha lo stesso nome, ma io spesso sogno di suonare di nuovo quel passo dello spartito, quello cruciale, quello dove ho mancato. Sogno una seconda chance, per affrontarla da fuoriclasse, per giocarmi tutto, questa volta, come al casinò… Solo che al momento mi ritrovo a guardare il mondo da una cesta di paglia dell’Autogrill, fra i torroni e i Baci Perugina, fra auricolari cinesi e Gratta e vinci. La mia vita in saldo, prezzata a due centesimi…

Dopo il lavoro, corro per un’ora al parco. Noto una signora, è sempre lì quando vado a correre. È molto particolare e, non so, desta la mia attenzione, nei suoi occhi vedo qualcosa di magico…
Poi rientrando compro una pizza, due supplì e una birra. Non ho proprio voglia di cucinare.
Dio, quanto mi manchi, Mary, quanto mi manchi! Prima di mettermi a letto, metto su un po’ di musica, e mentre va John Legend con All Of Me, scrivo qualcosa per te…

Parlami di quelle volte in cui hai bisogno d’amore. Quelle in cui ti senti triste. Quelle in cui non ti vedi bella.
Parlami di quelle notti in cui hai paura, quelle in cui hai bisogno di stringere la mano di qualcuno. Quelle in cui ti giri nel letto senza prendere sonno, quelle in cui una lacrima, poi, arriva, e ti riga il viso.
Parlami di quando sorridi invece di piangere. Di quando stai zitta invece di urlare. Di quando rispondi una cosa ma dentro ne hai un’altra.
Parlami della tua vita. Parlami dei tuoi silenzi. Dimmi di quando voli. Dimmi di quando cadi.
Parlami di quella volta in cui tu ci credevi e lui ti ha tradita. Di quando lo amavi e lui ti ha ferito. Fammi vedere i segni. Mostrami le cicatrici.
Parlami delle domande a cui non trovi risposte. Raccontami di quelle storie che conservi nel cuore.
Parlami del tuo passato, raccontami del futuro, di come lo immagini. Dimmi dei tuoi sogni, di quello in cui speri, delle stelle che hai guardato in certe notti buie. Mostrami i tuoi occhi…
Parlami di tutto questo, fallo ancora così, senza dire una parola. Ma non smettere mai di guardarmi. Non smettere mai di guardarmi!

(continua in libreria…)

I PROSSIMI APPUNTAMENTI IN LIBRERIA (E NON SOLO):

-7 febbraio 2018 – VELLETRI – 19.00 – Mondadori
-8 febbraio 2018 – NAPOLI – 18.30 – Feltrinelli
-9 febbraio 2018 – SALERNO – 19.00 – Mondadori
-14 febbraio 2018 – VERONA – 18.30 – Feltrinelli (Via Quattro Spade)
-16 febbraio – SANTA MARIA DEGLI ANGELI (ASSISI) – 18.30 – Mondadori
-16 febbraio – UMBERTIDE (cena alla Locanda di Nonna Gelsa ore 21)
-21 febbraio 2018 – BOLOGNA – 19.00 – Mondadori
-22 febbraio 2018 – FIRENZE – 19.00- (Mondadori c.c. “I GIGLI”)
-23 febbraio 2018 – ROMA – 18.30 – Libreria del c.c. I GRANAI
-24 febbraio 2018 – VITERBO – 18.00 – Mondadori
-27 febbraio 2018 – PESCARA – 18.30 – Feltrinelli
-28 febbraio 2018 – FROSINONE – 18.30 – Ubik

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