David Leavitt è lo scrittore che ha puntato i riflettori sulla famiglia borghese degli anni ’80, con i suoi peccatucci e le sue debolezze, i tipi umani apparentemente perfetti e tutta la fragilità che appartiene a quell’illusione. Autore di romanzi e raccolte di racconti, Leavitt racconta a ilLibraio.it della sua prossima trilogia, “un tentativo di raccontare l’epoca che stiamo vivendo, in cui non esiste più una cosa certa come il ‘momento presente’, tutto sembra passato o futuro”. Riflette anche sull’evoluzione della sua carriera: “Oggi sono uno scrittore molto più consapevole”, e su quella della letteratura LGBTQ: “Quando cominciai a scrivere, se un personaggio era gay (o lesbica, o bisessuale o transgender), questo aspetto doveva condizionare l’intera storia, doveva essere il dilemma centrale del romanzo. Oggi può essere incidentale, secondario, o perfino irrilevante”. – L’intervista, in cui si parla anche delle letture dello scrittore…

Scrittore statunitense di racconti e romanzi, David Leavitt si è affermato nel panorama letterario come rinomato cantore della middle class americana nella sua manifestazione più esplicita: la famiglia borghese, in tutta la sua umana imperfezione.

David Leavitt ballo di famiglia mondadori copertina

È questo il cuore pulsante di Ballo di famiglia (Mondadori, traduzione di Delfina Vezzoli), libro d’esordio del 1984, una raccolta di racconti che mette a nudo la quotidianità di alcune tipiche famiglie borghesi americane degli anni ’80, tutte apparentemente invidiabili nella loro perfezione ma ciascuna alle prese con segreti e segretucci, sessualità tenute nascoste, matrimoni e divorzi che si ripercuotono su figli e figliastri, malattie incurabili e Coalizioni dei Genitori di Lesbiche e Gay.

In questo caleidoscopio di tipi umani, la scrittura di Leavitt mette a nudo la banalità e la tenerezza, l’ipocrisia e la bellezza della vita di ogni giorno, frammentata in una serie di istantanee esilaranti e a tratti commoventi. Il libro fu accolto a braccia aperte dalla critica.

David Leavitt Il matematico indiano sem copertina

Oggi insegnante di scrittura creativa presso l’Università della Florida, David Leavitt fu uno dei primi scrittori a rappresentare personaggi omosessuali fuori dai contesti sociali borderline cui venivano relegati, per calarli nella normalità borghese, troppo spesso riservata all’eterosessualità, tanto in letteratura quanto nell’immaginario collettivo.

Matrimonio, amore, omosessualità e società sono i fili conduttori dell’opera dello scrittore, che quest’anno viene ripubblicata da Sem. Il repêchage ha avuto inizio con Il matematico indiano (Sem, traduzione di Delfina Vezzoli), romanzo dedicato alla relazione umana, didattica e romantica tra il genio matematico Srinivasa Ramanujan, proveniente dall’India, e il suo mentore, Godfrey Harold Hardy, docente a Cambridge.

David Leavitt Eguali amori sem copertina

Seguono le nuove edizioni di Eguali amori (Sem, traduzione di Delfina Vezzoli) e Un luogo dove non sono mai stato (Sem, traduzione di Anna Maria Cossiga); un romanzo, il primo, in cui l’autore mette in scena la malattia della madre e la girandola di emozioni e affetti che questa innesca nella famiglia, tra frasi non dette e legami imprescindibili.

David Leavitt un luogo dove non sono mai stato

Una raccolta di racconti, il secondo, che richiama sul palco due personaggi già protagonisti di Ballo di famiglia, Nathan e Celia, nuovamente alle prese con i classici temi delle opere di Leavitt, dal desiderio di accettazione della propria sessualità alla minuziosa analisi delle etichette sociali e familiari cui bisogna sottoporsi.

In attesa dei nuovi romanzi dello scrittore americano, in arrivo per Sem da 2019, ilLibraio.it ha intervistato Leavitt per approfondire le tematiche caratteristiche della sua opera.

Dalle raccolte di racconti con cui ha esordito negli anni ’80 a oggi, come è cambiato il suo approccio alla scrittura?
“Adesso sono uno scrittore molto più consapevole di quanto non fossi all’inizio della mia carriera. Da giovane, quando mi sedevo a scrivere, entravo in una sorta di trance. Ora sono profondamente consapevole di tutto quello che faccio mentre lo faccio. Quando inserisco una virgola, ci penso, ‘sto inserendo una virgola’. Quando do inizio alla scena di un romanzo mi chiedo se la sto raccontando dal punto di vista giusto. Questo grado di consapevolezza è, in parte, il rischio professionale del crescere come scrittore. Potrebbe anche essere dovuto al fatto che negli ultimi diciassette anni sono stato anche un insegnate e un editor, non solo un romanziere”.

Nella sua esperienza di scrittore e lettore, crede che il modo di raccontare l’omosessualità in letteratura sia cambiato nelle nuove generazioni di autori?
“Quando cominciai a scrivere, se un personaggio era gay (o lesbica, o bisessuale o transgender), questo aspetto doveva condizionare l’intera storia, doveva essere il dilemma centrale del romanzo. Oggi può essere incidentale, secondario, o perfino irrilevante. Inoltre, più che in passato, scrittori e scrittrici che non si identificano come gay (o lesbiche, bisessuali o transgender) scelgono di scrivere dal punto di vista di personaggi che si identificano come gay, lesbiche, bisessuali e transgender. E perché no? Per decenni scrittori e scrittrici lesbiche o omosessuali, bisessuali o transgender hanno adottato un punto di vista eterosessuale”.

Visti i più recenti sviluppi della politica statunitense, qual è la sua opinione sul ruolo delle identity politics nel panorama politico americano?
“Domanda complicata, da un lato comprendo quegli scrittori che si lamentano perché le loro storie non solo gli vengono espropriate, ma vengono anche raccontate male, in modo sbagliato. D’altro canto mi preoccupa l’idea che, in quanto scrittori, siamo entrati in una camera di risonanza di sensibilità aumentate: più tempo passiamo a lanciarci accuse l’un l’altro, più energia sprechiamo. Il che non vuol dire che tutte quelle frustrazioni e insoddisfazioni che così tanti scrittori e accademici lamentano non siano valide, affatto. Ma il punto è che, almeno negli Stati Uniti, faremmo meglio a mettere da parte i nostri dissensi per presentare un fronte unito contro il vero nemico, l’uomo che sta apparentemente governando il nostro paese”.

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Lei ha vissuto diversi anni in Italia e conosce la letteratura italiana, da Moravia a Montale, da Morante a Penna. Ci sono scrittori italiani contemporanei che apprezza?
“Amo i romanza di Ottavio Cappellani, il suo umorismo barocco e le trame stravaganti. Mi ha dato molto piacere leggere il primo volume della saga napoletana di Elena Ferrante, che qui ha avuto un enorme successo (confesso di aver letto solo il primo libro), sebbene l’opera che considero più riuscita della Ferrante sia I giorni dell’abbandono. Una scrittrice italiana nel Novecento che ho scoperto dopo molto tempo è Natalia Ginzburg, il cui Lessico familiare è appena stato pubblicato in una nuova traduzione inglese”.

Nel romanzo Il matematico indiano, lei mette in scena un eccezionale rapporto tra professore e discepolo, Hardy e Ramanujan. Qual è stato l’aspetto più difficile e quale quello più gratificante, nel descrivere il rapporto tra i due personaggi?
“Della scrittura di quel romanzo ricordo il duro lavoro e un grande piacere. Il piacere stava nelle sfide: per esempio ho dovuto trovare un modo per parlare di matematica (la teoria dei numeri in particolare) in un libro pensato per un pubblico di non matematici, come me. Dovevo anche trovare un modo per contrastare l’induismo devoto di Ramanujan con l’ateismo convinto di Hardy. Essendo io stesso non religioso (non credente, sebbene non con la stessa aggressività di Hardy) né particolarmente spirituale, scrivere il romanzo mi ha portato a esplorare aree della mia psiche e storia che non avevo mai esplorato prima, per pormi domande riguardo alla fede che non mi ero mai posto prima”.

Nel romanzo Eguali amori protagonista indiscussa e la quotidianità, sia come punto di forza sia come punto di debolezza della vita di coppia. Quasi trent’anni dopo, crede ancora nella straordinarietà della vita quotidiana?
“La vita quotidiana non cessa mai di affascinarmi. C’è sempre qualcosa di nuovo da dire in proposito. Per esempio, vorrei citare la trilogia Outline di Rachel Cusk”.

La raccolta di racconti Un luogo dove non sono mai stato vede nuovamente in scena due personaggi di Ballo di famiglia. Come è stato, per lei, tonare ai personaggi del suo primo libro, e al formato del racconto, dopo aver scritto romanzi?
“Questa è una domanda interessante, perché in realtà erano trascorsi pochi anni tra la pubblicazione di Ballo di famiglia e Un luogo dove non sono mai stato. Mentre dall’uscita della mia terza raccolta di racconti, La trapunta di marmo, nel 2000, ho scritto pochissimi racconti, e uno solo di cui io vada veramente fiero: The David Party, in uscita su Vanity Fair Italia”.

Per il prossimo anno è prevista l’uscita di un suo nuovo romanzo, a cinque anni dalla pubblicazione dell’ultimo.
“Il nuovo romanzo si è trasformato in una trilogia di romanzi brevi, ambientati a New York e Venezia. Il primo volume si svolge nei primi mesi del 2017, subito dopo l’inizio della presidenza Trump negli Stati Uniti. I romanzi sono scritti in terza persona e il punto di vista è molteplice, cambia spesso tra i molti personaggi della storia. Il tono è comico, occasionalmente satirico”.

Quali sono i temi fondamentali della serie?
“Questa trilogia rappresenta il mio tentativo di trovare un modo di raccontare che si accordi con l’epoca che stiamo vivendo, in cui non esiste più una cosa certa come il ‘momento presente’, un’epoca in cui le cose cambiano così in fretta che tutto sembra passato o futuro. Una domanda che si pone Rachel Cusk nella trilogia Outline, che considero la più importante opera narrativa pubblicata in molti anni, è se sia possibile essere al contempo liberi e al sicuro. La sicurezza richiede un sacrificio della libertà? La libertà necessita di un sacrificio della sicurezza? Sono domande di grande interesse, soprattutto nel momento in cui potremmo trovarci all’alba di un’epoca in cui né la sicurezza né la libertà possono essere date per scontate”.

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