Dai suoi libri sono tratti film come “Mystic River”, “Gone Baby Gone” e “Shutter Island”: ora è in libreria il nuovo romanzo di Dennis Lehanne, “Ogni nostra caduta” – Su ilLibraio.it un capitolo

Cos’hanno in comune film di successo come Mystic River (diretto da Clint Eastwood), Gone Baby Gone, diretto da Ben Aflleck, e Shutter Island, firmato da Martin Scorsese? Sono tutti tratti da romanzi di Dennis Lehanne, scrittore amatissimo dal cinema (e che lavora, oltre che ai suoi libri, anche a sceneggiature cinematografiche e televisive). Anche Ogni nostra caduta (Longanesi, traduzione di Alberto Pezzotta), il suo nuovo romanzo, diventerà un film? Praticamente certo, visto che i diritti sono stati subito acquisiti…

Lehanne, autore di diversi bestseller, tra i quali L’isola della paura (Piemme, traduzione di C. Belliti), La casa buia (Piemme, traduzione di F. Chiari) Mystic river. La morte non dimentica (Piemme, traduzione di F. Stigliani), è noto in particolare per i suoi personaggi maschili; in Ogni nostra caduta Lehane ci presenta invece una forte protagonista femminile, approfondita da un’intima introspezione psicologica: Rachel Childs, cresciuta senza padre, è una giornalista tv di successo.

Donna tormentata e imprevedibile, soffre il peso di un’ingombrante figura materna insieme al mistero irrisolto sull’identità del padre; proprio quando sembra aver trovato un suo equilibrio, rimane traumatizzata da un’umiliante crisi di nervi e si ritrova a vivere come una reclusa, abbandonata da tutti.

 

Sarà l’incontro con un uomo, all’apparenza perfetto, a cambiare la sua esistenza, almeno finché Rachel non scopre di essere vittima di una fitta trama di inganni, un complotto dal quale dovrà uscire con le sue sole forze.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del romanzo: 

Il primo sabato di ottobre, Rachel prese la macchina e andò a Durham. Per gran parte della propria storia, Durham era stato un centro agricolo: lungo le strette strade di campagna si stagliavano grandi alberi secolari, fienili che un tempo erano stati rossi e qualche rara capra. L’aria sapeva di fumo di legna e di mele.

Maureen Widerman-James andò ad aprire alla porta della piccola casa in Gorham Lane. Era una bella signora con grandi occhiali rotondi che accentuavano la curiosità pacata ma acuta dei suoi occhi castani. I capelli rossicci, ingrigiti sulle tempie e sulla fronte, erano raccolti in una coda sfatta. Indossava una camicia a quadri rossa e nera con le maniche corte, fuori dai leggings neri, ed era scalza; quando sorrise, le si illuminò il volto.

«Rachel», disse, con lo stesso tono di sollievo e familiarità che aveva usato al telefono, dando a Rachel la conferma inquietante che doveva avere pronunciato il suo nome più volte durante tutti quegli anni. «Entra.»

Si fece da parte e Rachel entro` nella tipica abitazione di due professori: librerie ovunque: nell’atrio, contro i muri del soggiorno, sotto una finestra in cucina; le pareti libere dipinte con colori vivaci, ma bisognose di una rinfrescata; maschere e sculture di Paesi esotici in bella mostra, insieme a quadri di pittori di Haiti. Grazie a sua madre, Rachel era entrata in decine di case come quella. Sapeva quali dischi si trovavano in uno scaffale a muro in soggiorno, quali riviste c’erano nella cesta in bagno, e che la radio in cucina era sintonizzata sulla National Public Radio. Si sentì subito a suo agio.

Maureen le fece strada verso una coppia di porte scorrevoli nella parte piu` interna della casa. Stava per aprirle, quando si girò a guardarla. «Sei pronta?»

«Per niente!» ammise Rachel, con una risatina sgomenta.

«Vedrai che andrà bene», disse Maureen premurosa; Rachel però notò un fondo di tristezza negli occhi della donna. Se era vero che stavano cominciando un nuovo capitolo, al tempo stesso ne stavano chiudendo un altro. Rachel non poteva avere la certezza che fosse quello il motivo dello sguardo triste, ma lo sospettava. Nulla sarebbe stato più lo stesso, nella vita di tutti loro.

Lui era in mezzo alla stanza e si girò quando sentì le porte che si aprivano. Non era vestito in modo molto diverso dalla moglie, con jeans grigi al posto dei leggings. Anche la sua camicia era scozzese e non era infilata nei pantaloni, ma era azzurra e nera, e sotto si intravedeva una T-shirt. Sfoggiava qualche tocco alternativo: un piccolo cerchio d’argento al lobo sinistro, tre braccialetti neri intrecciati al polso sinistro, un grosso orologio con uno spesso cinturino di cuoio al destro. Il cranio, privo di capelli, rifletteva la luce, e la barba era più corta rispetto alle foto che Rachel aveva trovato su Internet. Sembrava più vecchio, gli occhi erano leggermente più infossati nelle orbite, il volto un po’ più cadente. Era più alto di quanto si aspettasse, ma le spalle cominciavano a curvarsi. Mentre Rachel si avvicinava, lui le sorrise: era il sorriso che lei ricordava, il particolare che si sarebbe portata nella tomba, e anche oltre. Il sorriso incerto e imprevisto di un uomo che, in un dato momento della vita, aveva dovuto abituarsi a chiedere il permesso prima di esprimere la propria gioia.

Lui le prese le mani, mentre lo sguardo la avvolgeva, assetato di lei, indeciso su dove posarsi. «Oddio», mormorò. «Guardati. Guardati, quanto sei bella.»

La strinse a sé con maldestra ferocia, e Rachel restituì l’abbraccio. Era un uomo massiccio, con le braccia grosse, ma lei lo abbracciò così forte da sentire le proprie ossa che toccavano le sue. Chiuse gli occhi e percepì il cuore di lui che pulsava come un’onda nel buio.

Sa ancora di caffè, penso`. Non più di velluto. Ma di caffé, sì.

«Papà», sussurrò lei.

Lui la staccò delicatamente da sé. «Siediti», le disse indicando un divano.

Rachel fece cenno di no, prevedendo l’ennesima delusione. «Sto in piedi.»

(Continua in libreria…)

Nota: la foto dell’autore (in alto) è di Gaby Gerster.

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