“Posso mostrare il meglio di me soltanto se so che dentro di me c’è anche il peggio. È liberatorio poterselo dire. È il dono del Natale. Il Natale viene a consegnarmi la possibilità di lasciare alla stalla che è in me la sua possibilità di esistere. Non sono costretto a negarla, a nasconderla…”. Parte da un racconto di Dino Buzzati (“Una torta e una carezza”) la riflessione di don Paolo Alliata, in libreria con “Dove Dio respira di nascosto”, e secondo cui il “Natale è una serissima e liberante apologia dello scantinato…”

Era il 1965 quando Dino Buzzati scrisse uno dei suoi racconti di Natale più belli. Si intitola Una torta e una carezza. Sono passati più di cinquant ‘anni, ma chissà che sul tema del Natale non abbia qualcosa da suggerirci…

“Radio e televisione hanno bombardato il pubblico di messaggi motivazionalizzati, nei ristoranti e nei caffè, sui cibi e nelle bevande sono state versate dosi di elisir promozionale, uomini e donne sono stati quindi presi da una irrefrenabile smania, entrano ed escono dai negozi, comprano, ordinano, spediscono, scrivono, telefonano, firmano assegni e cambiali, giganteschi furgoni carichi di strenne intasano le strade della città, cataratte di Christmas cards, biglietti, buste, calendarietti, immagini ingorgano le sedi postali e quindi traboccano all’esterno”.

Piuttosto attuale, no? E continua con la descrizione della inquietante magmatica colata di regali, pacchi, bottiglie che si riversa nelle strade della città e occupa ogni anfratto. È allora la gente a farsi largo in questo muraglione. Bofonchia suda impreca, nel titanico sforzo di guadagnare la soglia di casa.

Il Natale come una apocalisse annuale. Una apocalisse di cibo e regali. Gli studiosi ci dicono che, da più di centocinquant’anni, nel nostro immaginario religioso condiviso, il Natale è anzitutto questo: una lavica travolgente palude di vivande e pacchetti. Da quando Dickens, nel 1843, scrisse il suo Christmas carol, il tema centrale è diventato questo. Lo spirito del Natale ha cominciato a respirare in questa forma: il genio della condivisione di doni, cibo e buoni sentimenti. Il ricco gelido Scrooge riceve la visita, nella lunghissima notte, dei tre spiriti: quelli dei Natali passati, presente e futuri. E lo spirito del Natale presente è descritto come una specie di nano gigante, cornucopia in mano, seduto su un cumulo di tacchini e patate arrosto. Cibarie e bevande in spaventosa sovrabbondanza.

Anche quest’anno in Italia, dicono le statistiche, tra Natale e Capodanno butteremo nella spazzatura quattrocentoquaranta mila tonnellate di viveri. 440 mila tonnellate! Il 40% lo butteremo via perché l’avremo comprato in sovrappiù. Un esborso eccessivo di 50 euro in media a famiglia; complessivamente 1,32 miliardi di euro.

Ma com’è che siamo arrivati a questo?

Buzzati continua il racconto. Nella nobile casa dell’ingegner Regondi è tradizione annuale che la vecchia tata, ormai accomodata in casa di riposo, venga richiamata per passare il Natale con la famiglia. Per due generazioni ha cresciuto i bimbi della casa, ora non ha più forze da profondere ma, insomma, per non farla rimaner male la si tirà lì. Come ogni anno preparerà la torta di Natale, quella a forma di Gesù Bambino. Anche se adesso, in casa Regondi, c’è la nuova cuoca, l’Alberta. “La fortissima cuoca”: lei è moderna, lei fa una torta di Natale diversa. Lei la fa a forma di cigni dai colli intrecciati.

La vecchia tata, che fa la torta di marzapane a forma di Gesù Bambino, piano piano deve ritirarsi: non può lavorare in cucina, perché lì impera la fortissima Alberta. Allora si ritira nel retrocucina, dove lo sguardo un po’ imbarazzato e perplesso di quelli di casa la incrocia, di tanto in tanto.

“Nell’office per caso entra la Barbarella: «Che cosa stai facendo Tata?». «Lo vedi. È la torta di Natale.» «Ancora?» dice lei. «Ancora?» ripete. E se ne va.

Nell’office per caso entra Gepi Paolo. «Che cosa stai facendo, Tata?» «Lo vedi, la torta di Natale.» «Ah» dice Gepi Paolo, non una sillaba di più”.

Ma pian piano colano dall’esterno i pacchi, i biglietti, gli auguri: invadono la casa, dilagano nelle stanze, la spaventosa creatura aggredisce ogni spazio. Ed eccola lì, la vecchia tata, che scivola più in là, batte in ritirata, si restringe in anticamera, e poi nello scantinato, “dove non c’è calorifero e dagli angoli escono le umidità schifose delle metropoli con l’abbandono e la rinuncia e la mortificazione totale […] Giù nello scantinato con i topi, gli scarafaggi, le limacce, le bisce e i cosi terribili che forse voi sapete, lei va a finire la sua meravigliosa torta, dove si lavora a lume di candela”.

La torta a forma di Gesù Bambino si ritira nello scantinato, perché su di sopra ci sono i cigni coi colli intrecciati. È il solito simpatico Buzzati, che ammicca e parla per immagini. Mi fa pensare a quel che vedo qui in corso Garibaldi, a Milano. A 50 metri da qui le luminarie sono a forma di pacco regalo. E di pesce. Pesce?! Ma cosa c’entra il pesce? Non si capisce se è un tonno o un delfino o una sogliola con problemi, ma è sicuramente un pesce. E in corso Como le luminarie sono a forma di ballerine.

In casa Regondi la torta è a forma di cigni dai colli intrecciati.

Ma com’è che siamo arrivati a questo?

“E intanto l’antico spirito del santo Natale, librandosi nell’aria, si aggira nervosamente sopra la città, folle di rabbia. Che bestie gli uomini che sono riusciti a rovinare una così bella cosa mantenutasi decente per quasi duemila anni”.

Ed ecco che lo spirito del Natale piomba in casa Regondi, proprio nel momento in cui la signora Fanny, la padrona di casa, sta tagliando il collo di uno dei due cigni, “con un coltello d’argento stile Regina Vittoria”. Arriva lui e pianta su un gran caos.

“Subbuglio, allarme, si alzano in piedi a precipizio. Gentile spirito – osa la signora Regondi – vuoi sedere con noi? In che cosa possiamo servirti?

La torta – fa lui schiumando di rabbia – la torta del Bambino Gesù!

Mio Dio – esclama la signora Fanny che se ne era completamente dimenticata. Come mai la Tata non si è più fatta viva? Corrono nell’office, corrono in soffitta, corrono nel retrocucina, corrono giù nello scantinato gelido”.

E lì, nello scantinato, la rintracciano, sepolta sotto una quantità di biglietti d’auguri, pacchi e quant’altro. Spunta solo il piede, poverina. Dorme. Lo spirito del Natale fruga lì in mezzo, la libera, le dà una carezza, prende la torta a forma di Gesù Bambino e vola via giurando di non tornarci mai più, in quella casa.

Ma com’è che siamo arrivati a tutto questo?

Ci siamo arrivati.

Un po’ – dice Buzzati – perché siamo capaci  di rovinare le cose belle.

Ma soprattutto ci siamo arrivati perché è giusto così, perché il Natale ha a che fare con lo scantinato. Noi a Natale celebriamo lo scantinato di ognuno di noi e il fatto che la torta a forma di Gesù Bambino ci sta bene lì, perché Dio vuole nascere nel nostro scantinato più profondo, quello più umido, quello che puzza.

Ognuno di noi ha il suo scantinato. La sua stalla, la sua mangiatoia. Quella parte di sé dove scende a fatica, perché ci si trova a disagio. Sentimenti faticosi da portare, gesti e pensieri di cui non va fiero, ricordi di cui si vergogna. Tutto quel che vuole rimuovere. La natura stessa del Natale cristiano è di celebrare il fatto che la Vita ha una gran voglia di entrare in quell’angolo vitale e fecondo che teniamo tutti compulsivamente chiuso dietro la porta della stalla interiore.

Siamo tutti tenacemente impegnati a far mostra del meglio di noi: le nostre stanze più luminose, gli ambienti interiori puliti. I sentimenti migliori, le parole giuste, i propositi convincenti. Assomigliano al palazzo di Erode: pulito ma vuoto. Non è nelle reggia che il Figlio di Dio si trova a suo agio. Il marmo di Erode è sterile e freddo. La vita respira altrove. La Vita vuole nascere altrove.

Posso mostrare il meglio di me soltanto se so che dentro di me c’è anche il peggio. È liberante poterselo dire. È il dono del Natale. Il Natale viene a consegnarmi la possibilità di lasciare alla stalla che è in me la sua possibilità di esistere. Non sono costretto a negarla, a nasconderla. Posso riconoscerla e dichiararla. Posso dire a me stesso e a chi mi sta accanto: il luogo adeguato per la vita di Dio è ciò che in me puzza e marcisce. Lì Dio vuole nascere ed esser chiamato per nome. È lì che sta già respirando. Ed è ancora lì che vuole portare la sua luce, il suo calore, la sua pace.

Chi di noi si sente sbagliato, fuori posto, sente che ha fatto delle cose di cui non va fiero e che si trascina dentro da tempo. Chi tra noi si sente malato, chi si sente inadeguato o sporco. Oggi è la sua festa, perché Dio non ha pace finchè non nasce lì e non accende lì la sua vita.

Il Natale è la serissima e drammatica possibilità di scendere nel mio scantinato e farvi spazio al Signore della vita. Scendere nella parte di me dove mi sento dolente o in agonia, congelato o perduto, a cercar le tracce e il respiro di Colui che è già lì. Il grande Con-solatore: colui che “sta con chi è solo”.

Il grande nemico del Natale è la banalità. La banalità è nemica di ciò che nutre la vita. Soffoca l’amore, corrode la gioia, rovina ogni dono.

Il Natale è una cosa seria, come tutte le grandi cose dell’esistenza. È l’annuncio che nel fondo di me, in quella parte di me dove non scendo mai, Dio mi aspetta. Perché, dice Rilke in uno dei suoi scritti, “Dio ci aspetta alle radici”. Il Natale è una serissima e liberante apologia dello scantinato.

IL LIBRO DOVE DIO RESPIRA DI NASCOSTO (Ponte Alle Grazie) – Siamo al mondo per respirare. Per fare gesti ampi, per riempire lo sguardo di futuro. Per rispondere alla chiamata della libertà, che ci invita a uscire dalle trincee e camminare a testa alta, a levare pesi e sciogliere nodi, ad attingere alla sorgente sepolta dentro di noi e farla fiorire. Di questo parla il Mistero cristiano in un linguaggio non sempre immediato ai nostri giorni. Eppure la Parola di Dio respira in ogni angolo della Terra, nella cultura popolare e in quella alta, nei film da cineteca e in quelli d’animazione, nei miti classici e nella letteratura di ogni tempo, nel nostro immaginario sempre in divenire. È lì che don Paolo Alliata, un sacerdote innamorato delle parole che nutrono, insegue questo respiro, così umano, così divino. E lo trova in Rilke come in Buzzati, in Oscar Wilde come in Ridley Scott, in Calvino e in Karen Blixen, in Darwin, Primo Levi, Gianni Rodari… Lungo il suo cammino, evangelisti e profeti dialogano con poeti e scrittori, Gesù va a braccetto con Babette, Lazzaro esce dal sepolcro come i Croods escono dalla loro caverna, van Gogh incontra la Samaritana ai bordi del pozzo, e insieme vincono la solitudine. Perché la vita, nei suoi lati di sole e in quelli di ombra, nel suo imprevedibile, imponderabile mistero, chiede di essere vissuta fino in fondo. E celebrata, in ogni suo respiro.

L’AUTORE  – Paolo Alliata nasce a Milano nel 1971. Si laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Milano, con una tesi su Simeone, il primo stilita della storia cristiana. Ordinato prete nel 2000, esplora sentieri narrativi per raccontare ai piccoli il mondo biblico. Scrive testi teatrali, anche di taglio umoristico, per raccontare Antico e Nuovo Testamento (quattro dei copioni sono pubblicati in E Dio disse: «Su il sipario!», ed. Centro Ambrosiano). Un testo teatrale diventa racconto illustrato da Carla Manea (Io a Gesù bambino non ci credo mica!, Valentina Edizioni – Centro Ambrosiano). I racconti teatrali sono una via che percorre spesso, scrivendoli e interpretandoli, grazie alla collaborazione di due attori di professione, Alessandro Castellucci e Patricia Conti. Coinvolge ragazzi, giovani e adulti nella stessa passione, attivando gruppi di teatro per le varie fasce di età. Percorre anche la via degli audio-racconti: accompagna i piccoli dentro le vicende di re Davide e del racconto di Natale. Collabora con l’Ufficio Catechesi della Diocesi di Milano scrivendo e realizzando, con Alessandro Castellucci e Patricia Conti, audio-racconti sulle vicende bibliche.

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