Dalla sceneggiatrice Frances Marion alla costumista Edith Head, passando per la montatrice Anne Bauchens. E ancora, Helen Gibson, mitica controfigura, Marion Dougherty, che inventa quasi dal nulla il mestiere di direttore del casting, Mary Pickford e Sherry Lansing, entrambe a capo di un grande Studio hollywoodiano: in un mondo dominato dagli uomini come quello del cinema, Cristina Prasso ci fa scoprire le storie di donne che hanno cambiato per sempre la storia della settima arte

Frances Marion (1888-1973)

Oltre 300 sceneggiature accreditate, molte determinanti per lanciare (o consolidare) la carriera di star come Mary Pickford, Greta Garbo, Gary Cooper, Rodolfo Valentino, Clark Gable; due Oscar (per Carcere nel 1930 e per Il campione nel 1934); un salario mensile che, a metà degli anni ’20, arriva a 12.000 dollari (circa 150.000 euro attuali); regista, produttrice, reporter di guerra, musicista,scultrice, poliglotta… Nulla è convenzionale nella vita di Frances Marion (compresi i suoi quattro mariti), neppure la sua abilità nel cogliere, prima e meglio di chiunque altro, i mutevoli gusti del pubblico, creando storie in perfetto equilibrio tra la lacrima e il sorriso. Con Marion, scrivere per il cinema diventa un’arte «moderna», che attinge senza complessi alla letteratura (era una lettrice onnivora, a differenza dei suoi colleghi uomini che, a suo dire, «non leggevano nulla, mai»), ma deve vivere autonomamente, seguendo la realtà e sfruttando – perché no? – le potenzialità commerciali dell’immaginazione (e infatti nel 1937 Marion pubblica How to Write and Sell Film Stories [Come scrivere e vendere soggetti per il cinema], un manuale prezioso ancora oggi).

Frances Marion

Edith Head (1897-1981)

Non è un mistero che Edna Mode, la stilista dei supereroi in Gli Incredibili, sia stata creata come omaggio a Edith Head, la costumista cui l’aggettivo «incredibile» si adatta alla perfezione. Dal 1924 al 1981 (43 anni alla Paramount e 14 alla Universal), Head lavora in più di mille film, ottiene 35 nomination (e vince 8 Oscar, un record per una donna), ma soprattutto dimostra come un «semplice» abito sia in realtà determinante per dare carattere e spessore a un personaggio. Rispettata da tutti nonostante il carattere non facile, adorata dalle attrici (che esigevano per contratto di averla come costumista), ascoltata con attenzione da registi e produttori, Head elabora modelli e stili che, nel tempo, sono andati ben al di là del cinema e hanno influenzato le donne di tutto il mondo: da Audrey Hepburn in Sabrina,Vacanze romane e Colazione da Tiffany, a Kim Novak nella Donna che visse due volte (la più riuscita delle sue 11 collaborazioni con Alfred Hitchcock), da Grace Kelly (sempre con Hitchcock: La finestra sul cortile e Caccia al ladro), a Paul Newman e Robert Redford (nella Stangata). Niente ma le per una stilista che sosteneva di non saper cucire (ma non era vero).

Edith Head

Anne Bauchens (1881-1967)

In origine si chiamavano patchers e si limitavano a incollare i pezzi di pellicola: erano in prevalenza donne, dato che costavano (molto) meno degli uomini e avevano mani piccole, ideali per il lavoro. Male cose cambiano intorno al 1914-’15: benché tutti i registi montino ancora personalmente i propri film, accanto a loro c’è sempre più spesso qualcuno che li aiuta e li consiglia. Tra questi, c’è Anne Bauchens, «scoperta» dal regista William DeMille(con il quale collaborava come segretaria di edizione, un mestiere che Bauchens ha praticamente inventato) e poi diventata la fedelissima montatrice del più celebre fratello Cecil B. DeMille. Il loro legame artistico dura quarant’anni, tra feroci discussioni («Anne è testarda e DeMille è doppiamente testardo: nessuno dei due cede, ma vuole essere convinto», commenta un amico), lavoro indefesso (anche 18 ore al giorno) e incredibili sfide (nel 1956, per I dieci comandamenti, DeMille gira materiale per oltre 40 ore, che Bauchens riduce a 3 ore e 40 minuti per il film definitivo). Nel 1934, quando viene attribuito il primo Oscar per il montaggio, Bauchens ha una nomination per Cleopatra (sebbene non sia neppure accreditata). Perde quell’Oscar, ma lo vince nel 1941 per Giubbe rosse (la prima donna a ottenerlo) e ha altre due nomination: per Il più grande spettacolo del mondo (1952) e per I dieci comandamenti (1956).

Anne Bauchens

Helen Gibson (1892-1977)

È un errore pensare che le serie siano una forma nata e cresciuta con la TV. Agli albori del cinema (e fino agli anni ’40), infatti, l’America e l’Europa impazziscono per i cosiddetti serial, cioè film i cui episodi (tra i 10 e i 15) vengono proiettati a cadenza settimanale e che sono «sensazionalistici, pieni di crimini, di violenza, di sangue, ma soprattutto di sesso», sbuffa Ellis Oberholtzer, il capo dell’ufficio censura della Pennsylvania. Non sorprende quindi troppo che, soprattutto nei primi anni del fenomeno, le donne ne siano protagoniste quasi assolute. Ma le star che vengono convolte in ogni tipo di disavventura (esplosioni, torture, scontri, inseguimenti…) hanno ovviamente bisogno di qualcuno che, al posto loro, si butti a terra da un cavallo, si getti in mare da una rupe o salti su un treno. E Helen Gibson si rivela subito la controfigura perfetta: dopo una dura esperienza nei rodeo, arriva a Hollywood determinata a guadagnare di più (circa 8 dollari alla settimana, più o meno 500 euro attuali) e a far sfoggio di un notevole coraggio. La sua abilità, soprattutto con le automobili, le permette di avere un serial tutto suo – The Hazards of Helen (1914) – ma il successo è di breve durata. Continuerà a fare la controfigura (spesso non accreditata) fino a quasi settant’anni: il suo ultimo film è L’uomo che uccise Liberty Valance, nel 1962.

Helen Gibson

Marion Dougherty (1923-2011)

Difficile immaginare che la dolce Melania di Via col vento sia stata una rivoluzionaria. Eppure proprio grazie a Olivia De Havilland il sistema degli Studios (mettere un attore sotto contratto e poi decidere come usarlo), riceve un durissimo colpo già nel 1943, quando l’attrice vince la causa con la Warner Brothers che voleva estendere il suo contratto benché lei non fosse d’accordo. La vera libertà di scelta per gli attori arriva però più tardi, negli anni ’50, con la decadenza degli Studios e l’avvento della televisione, che all’epoca ha il suo centro a New York. Ma allora come si sceglie un attore? La risposta viene da Marion Dougherty, che inventa quasi dal nulla il mestiere di direttore del casting. Grazie al suo intuito, James Dean, Paul Newman, Warren Beatty, Robert Redford, Walter Matthau, Dustin Hoffman, Glenn Close e molti altri ottengono le loro prime parti (talvolta anche di una sola battuta). Dal suo ufficio-casa-rifugio su East 30th Street, a New York, circondata soltanto da donne (non assumeva uomini), Dougherty ha cambiato il modo di concepire il ruolo dell’attore: non più un tipo fisico su cui mettere un’etichetta (l’eroe, la madre, il vigliacco, la brava ragazza…), ma un talento da individuare e da far emergere in tutta la sua unicità. Nel 1991, un nutrito gruppo di attori cercò di farle attribuire un Oscar alla carriera, ma non ci riuscì. Il primo Oscar alla carriera per un direttore del casting è stato assegnato nel 2016 a Lynn Stalmaster, l’eterno avversario di Marion Dougherty.

Marion Dougherty

Mary Pickford (1892-1979) Sherry Lansing (1944)

Più di mezzo secolo separa il traguardo raggiunto da queste due donne in un mondo dominato dagli uomini: essere a capo di un grande Studio hollywoodiano. Mary Pickford lo raggiunge nel 1919, appena ventisettenne.La popolarissima attrice è anche una donna d’affari di raro acume («Se non avesse scelto il cinema, sarebbe diventata un capitano d’industria», dice di lei Adolph Zukor, il capo della Paramount) e, insieme con il (futuro) marito, Douglas Fairbanks, il regista David W. Griffith e Charlie Chaplin, fonda la United Artists, con il preciso intento di assicurare ai registi la massima libertà creativa, svincolandoli dalle regole costrittive degli altri Studios («I matti hanno preso il controllo del manicomio», borbotta Richard A. Rowland, capo della Metro Pictures). Tra alti e bassi, Pickford rimane all’interno della UA fino al 1955: solo allora vende il suo 20 per cento, incassando 3 milioni di dollari. Sherry Lansing invece diventa presidente della 20th-Century Fox a 36 anni, dopo una breve carriera come attrice e modella e un lungo, determinato processo di avvicinamento ai vertici, ma ricopre quel ruolo soltanto dal 1980 al 1982: si dimetterà improvvisamente, frustrata dall’impossibilità di fare scelte indipendenti. Ma si prende la sua rivincita nel 1992 quando approda alla Paramount, dove rimane fino al 2005 (lascia il cinema per occuparsi a tempo pieno della Sherry Lansing Foundation, un’organizzazione non profit impegnata nella ricerca sul cancro). Sono oltre 200 film in cui Lansing ha avuto un ruolo decisivo – tra cui Sindrome cineseKramer contro Kramer, Attrazione fataleForrest Gump Titanic – e l’80 per cento di quei film è stato un successo dal punto di vista economico: un record per chiunque abbia mai gestito uno Studio hollywoodiano, uomo o donna che fosse.

Mary Pickford (1892-1979) e Sherry Lansing (1944)

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