Nelle storie di recupero di un alcolista, gli ingredienti, più o meno, sono sempre gli stessi. Eppure “Don’t worry”, l’ultimo film di Gus Van Sant, in uscita nelle sale il 29 agosto, riesce ad avere un impatto emotivo sconcertante. Racconta la storia vera di John Callahan, ex alcolista, rimasto tetraplegico a 21 anni, che diventerà uno dei disegnatori più irriverenti e discussi al mondo… – La recensione

Nelle storie di recupero di un alcolista, gli ingredienti, più o meno, sono sempre gli stessi: le crisi di astinenza, i circoli in cui ognuno, a turno, si alza, pronuncia il proprio nome e ricorda a tutti da quanto non tocca una bottiglia, le nuove amicizie, l’accettazione di sé, quella degli altri, le citazioni spirituali tratte da testi di filosofia orientale. Siamo anche abituati (almeno attraverso lo schermo) a figure di disabili che, nonostante la malattia e le difficoltà, non perdono la loro ironia (vedi Quasi amici di Olivier Nakache e Éric Toledano), né la loro genialità (come in La teoria del tutto di James Marsh). E infatti nessuno di questi elementi manca al nuovo lungometraggio di Gus Van Sant, Don’t Worry, nelle sale il 29 agosto, eppure il suo impatto emotivo resta comunque sconcertante.

Il film, tratto dall’omonima autobiografia in uscita il 30 agosto per Garzanti, racconta la storia del disegnatore John Callahan, ex alcolista, rimasto tetraplegico a 21 anni a seguito di un incidente stradale. Dopo aver perso completamente l’uso delle gambe, John (interpretato da Joaquin Phoenix) cerca consolazione nell’alcol, come ha fatto per tutta la vita. Continua a bere anche se incontra una dolcissima assistente svedese che poi diventerà la sua compagna (Rooney Mara), anche se segue il percorso di riabilitazione di un gruppo guidato da uno sponsor che chiama i suoi compagni “maialini” (Jonah Hill). Continua a bere finché qualcosa non cambia.

Non è necessario un evento eclatante, non è necessaria un’epifania, è solo un momento: John prende un pennarello e inizia a disegnare. Disabili, neri, lesbiche e personaggi considerati ai margini della società diventano protagonisti di vignette taglienti e scorrette, che lo renderanno uno dei più famosi e discussi disegnatori al mondo. Basandosi su una storia vera, per quanto straordinaria (in fondo, non è mica così ordinario che un uomo, vittima di una forte dipendenza e affetto da una grave disabilità, riesca a reagire con tutta questa forza), Don’t Worry non ha pretese di essere chissà quanto originale dal punto di vista della trama (infatti il rischio spolier è praticamente nullo). Non ci sono colpi di scena, il ritmo è costante e pacato, rendendo il film più simile a un documentario e ricordando lo stile di un altra pellicola del regista statunitense, Milk, basata sulla vita del primo politico gay degli Stati Uniti. Ma, a differenza di quest’ultima, Don’t Worry ha una cifra più ironica, capace di rispecchiare (almeno in parte) il carattere delle vignette di Callahan (a dire il vero molto più ciniche).

 

don't worry

Non è mai semplice parlare di argomenti come alcolismo e disabilità, ed è ancora più difficile farlo con ironia, senza timore di essere criticati e di essere giudicati irrispettosi. Ma il film di Gus Van Sant può permettersi di abusare di alcuni stereotipi e di far leva (in diversi passaggi) su un’emotività banale, grazie alla presenza di personaggi, nel loro piccolo, unici. Tra tutti, ovviamente, il protagonista John, che con i suoi capelli color mandarino e le sue camicie hawayane riesce a conquistare la simpatia e l’affetto dello spettatore.

Libri consigliati