Protagonista di un incontro della serie “Vocabolario europeo – la parola (d)agli autori” nell’ambito del Festivaletteratura, Elvira Seminara, scrittrice e pop artist, su ilLibraio.it spiega perché “in questa società brutale e lacerata, ferita da stragi, conflitti etnici, tensioni sociali e religiose, disastri della natura”, c’è bisogno di grazia

Scrittrice e pop artist, Elvira Seminara sarà protagonista al Festivaletteratura di Mantova, sabato 10 settembre, alle 17.30, presso la Chiesa di Santa Maria della Vittoria, in un incontro della serie “Vocabolario europeo – la parola (d)agli autori”. Con lei, Giuseppe Antonelli e Sorj Chalandon. In vista dell’appuntamento, ci spiega perché ha scelto di parlare della “grazia”.


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Può esistere una lingua universale della letteratura, un esperanto di sentimenti e visioni composto dagli scrittori, ciascuno con la sua lingua? Una sfida meravigliosa, il Vocabolario europeo aperto anni fa dal festival di Mantova, e ho accolto perciò con emozione la richiesta di consegnare la parola italiana di quest’anno.
Dare la propria Parola, nel flusso abnorme e impermanente di post, tweet, parole/chiave e parole/password, è insieme azzardo e responsabilità. Ma a me, confesso, l’idea è arrivata in volo, senza peso e senza dubbi. È una parola superata, per questo mi avvince. Ho scelto Grazia.
C’è bisogno di grazia, in questa società brutale e lacerata, ferita da stragi, conflitti etnici, tensioni sociali e religiose, disastri della natura. Penso alla grazia del cielo (su cui si sono per così dire scontrati nei secoli cattolici e protestanti, gli uni per meritarla, gli altri ad accoglierla da predestinati) ma anche alla grazia del gesto umano, come armonia e azione pacificante.
La grazia è un argine contro la volgarità, il becerume intellettuale, la violenza dei comportamenti. È una dote che non si acquista col denaro, col bisturi estetico, con stage e corsi di apprendimento, non è una bellezza commerciabile, imitabile, riproducibile. Perché è legata allo spirito.
“Tutti i movimenti naturali dell’uomo sono retti da leggi analoghe a quelle della pesantezza materiale. La grazia solo fa eccezione”. Lo dice benissimo Simone Weil.
E mi sembra indicativo, oltre che allarmante, che un vocabolo così obsoleto produca la parola più gridata oggi – di valenza e violenza tutta mercantile – GRATIS. Mentre scompare la categoria e la pratica di un’altra bellissima derivazione: gratitudine.

Questa la mia voce per il dizionario:

Quando la invochi si chiama miracolo, quando la esprimi vuol dire eleganza, quando fluisce e ti colma, si chiama stato di grazia. Si dice anche di un romanzo, se ti accende: scritto in “stato di grazia”. Ma la grazia in realtà non ha stato né paese, perché è in eterno movimento – è il tintinnio dell’aria, la pausa quando preghi, la musica degli astri. E, a volerle dare una radice la situeresti in cielo, appunto. Ma la grazia non è radice, semmai corolla, emanazione.
Grazia è, a pensarci, una parola antica, di quelle che a pronunciarle cambi voce, come a dirle in corsivo (e un sorriso quasi vergognoso) – come fosse una citazione. È della stessa radura di parole ingiallite e tremanti, un po’ avvizzite, come letizia, fulgore, pudicizia, aura, verecondia.
Grazia è incanto e incantesimo, perché invisibile. La grazia traspare, non si impone, non grida ma palpita, non ha volume, trapela. Per questo è così difficile riconoscerla, vuole stupore e levità. Ovunque. Negli animali e nelle cose, nelle parole e nel creato. Non può restare a lungo, è un fremito. È l’ispirazione, per un artista, più che l’esito. Lampeggia.
Tutto è Grazia, diceva il Curato di campagna di Bernanos, scrittore cattolico. Ma occorre uno sguardo capace di coglierla. Per i buddhisti è rigore ed esercizio: Darshan è il premio, l’assoluta identità dell’io col tutto.
La pienezza dell’essere, ecco. Sentirsi in flagranza di creato. Per me è questa la grazia. E c’è dentro infatti la gratitudine. L’armonia. E il lavoro speso per raggiungere questa gratuità, che somiglia (lo dice anche Lutero) a un “elezione divina”.
Grazia è la danza degli elementi, l’ordine-caos dei neutrini. E ha quel senso di bello di giusto e libertà che sconfina e oscilla in questo istante, come una stella cadente, nella parola che sto scrivendo: pace.

Elvira Seminara


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