Sherlock Holmes è entrato nel Guinness dei primati come il personaggio reale più rappresentato della letteratura, mentre nelle sale è arrivato un nuovo adattamento. Il protagonista di “Mr Holmes – Il mistero del caso irrisolto” ha 92 anni e alcuni problemi con la sua leggendaria memoria. Ma perché questo personaggio continua ad affascinarci anche a distanza di due secoli? Su ilLibraio.it il commento di Anna Talò

di Anna Talò*

E’ appena arrivato sui grandi schermi italiani Mr Holmes – Il mistero del caso irrisolto, una nuova avventura del detective più celebre di tutti i tempi, qui novantaduenne, alle prese con la prodigiosa memoria che fa cilecca, una storia tratta dal romanzo di Mitch Cullins, A slight trick of the mind.

È solo l’ultimo capitolo di una delle innumerevoli letture del personaggio creato da sir Arthur Conan Doyle nel 1887, con Uno studio in rosso. Seguirono altri tre romanzi, e cinquantasei racconti, che fecero di Sherlock Holmes un’icona, nonostante l’idea originaria di un investigatore dalla mente altamente deduttiva, con un’attenzione spasmodica ai dettagli, le cui gesta vengono narrate da un amico fidato, fosse stata di Edgar Allan Poe, considerato il padre del giallo, che scrisse del pedantissimo Auguste Dupin nel 1841.

Locandina italiana Mr. Holmes - Il mistero del caso irrisolto

Holmes colpisce in tal modo l’immaginario collettivo che, nel 2012, entra nel Guinness dei Primati come il più rappresentato personaggio letterario umano, in film e telefilm (viene battuto solo dal non-umano Dracula.) A partire dal 1900, con quello che oggi chiameremmo un corto di un minuto, era stato messo in scena duecentocinquantaquattro volte, e il conteggio, a oggi, è già aumentato. Hanno vestito i suoi panni, tra gli altri, Christopher Lee, Charlton Heston, Peter O’Toole, Christopher Plummer, Roger Moore, John Cleese, Michael Caine, e ora Ian McKellen, il vecchio caro Gandalf della saga del Signore degli anelli.

Non so se quest’ultimo capitolo avrà successo come gli ultimi: i film diretti da Guy Ritchie, che chissà mai se ha letto una sola riga scritta da Conan Doyle, e che ho guardicchiato, frustrata per il tradimento, solo perché ci recita quello gnocco di Robert Downey Jr; la serie tv britannica Sherlock, che ha trasportato ai giorni nostri Holmes e Watson, e che ha lanciato definitivamente il suo protagonista, Benedict Cumberbatch; e quella americana Elementary, con Johnny Lee Miller e Lucy Liu. Tutti rappresentano Sherlock al massimo delle proprie capacità, lo Holmes del Mistero del caso irrisolto non lo è più, per forza di cose. Come Sherlock era diventato Sherlock, ancora adolescente, è piaciuto molto, nel film La piramide della paura, chissà se il pubblico sopporterà di vederne il declino.

Fin qui numeri e storia. Ma rimane la domanda: perché ci piace tanto? Perché questo enorme successo a cavallo di due secoli e il bisogno di raccontarlo ancora e ancora?

Forse perché vorremmo che tutto fosse spiegabile e la risposta, potenzialmente, a disposizione. Holmes non ha bisogno di altro che dei suoi sensi e della sua intelligenza: non serve il laboratorio di CSI, la soluzione è celata da uno spesso strato di polvere, basta sapere come soffiarci sopra e avere il coraggio di farlo. E lui non ha paura della verità, qualsiasi conseguenza porti. Gli invidiamo, magari, il fatto che non girerà mai per casa, domandandosi: «Ma dove diavolo ho messo le chiavi della macchina …» O la capacità di mantenere tanto spesso, non sempre, spesso, il controllo di sé e delle sue emozioni. Ma è arrogante, antipatico, saccente, indossa un buffo, imbarazzante cappello, e mille volte abbiamo pensato che Watson dovesse avere un’inclinazione al masochismo, per sopportarlo. Perché, allora?

«Ha qualità invidiabili, ma nessuno vorrebbe essere lui», ha detto Ian McKellen, centrando il punto con una frase. Quanto pesa un’intelligenza tanto vivida, un’acutissima ipersensibilità? Tanto, un macigno. Sherlock ha bisogno di misteri da risolvere, e noi speriamo che vengano risolti; la differenza è che per noi non è indispensabile, rimanere senza motivazioni è un’abitudine (la vita è strana), e ce ne possiamo fare una ragione, invece lui ne è ossessionato. Capacità di osservazione e straordinaria presenza lo rendono enormemente vulnerabile, trova le persone prevedibili, i loro discorsi barbosi, la quotidianità una gabbia per la sua intelligenza. Sherlock Holmes è eccezionale e questo, ci dice, non è un pregio: è una maledizione.

Ci piace perché ci fa rivalutare la nostra normalità. Gli sceneggiatori di Elementary hanno fatto una interpretazione interessante, e difatti la Watson che gli hanno messo al fianco è bella, intelligente, brillante, ed è diventata una detective capace e stimata, è un passo avanti all’amico fedele immaginato da sir Conan Doyle. Possiamo identificarci in lei, avere tutto senza essere condannati a una tale, soverchiante infelicità. Ci rassicura. E se dobbiamo cercare le chiavi dell’auto per tutta la casa, trovandole poi in frigo, chissenefrega.

*L’AUTRICE – Anna Talò è autrice, giornalista, traduttrice. Ha scritto per Corbaccio Le vere signore non parlano di soldi, Meditazioni per donne sempre di corsa Volevo solo una vita tranquilla!, il suo primo romanzo.Qui il suo sito.

Libri consigliati