“I romanzi noir ci mettono al riparo da una felicità superficiale. La presenza del male ci impedisce di proiettare sul mondo le nostre utopie. Ma è possibile scavare nelle nefandezze umane ed essere, nonostante tutto, lieti? Forse sì, grazie a due strategie ben precise: l’autoironia e la capacità d’immedesimazione…”. Su ilLibraio.it la riflessione del giallista svizzero Andrea Fazioli, in occasione dell’uscita de “Gli svizzeri muoiono felici”, in cui torna l’investigatore Contini. Nel suo intervento lo scrittore cita, tra gli altri, Philip Marlowe, il protagonista dei romanzi di Raymond Chandler, Nero Wolfe, inventato da Rex Stout, e il commissario Maigret di Georges Simenon

A un certo punto del romanzo Gli Svizzeri muoiono felici* l’investigatore Elia Contini si trova a interrogare il dottor Fontana, uno psicanalista che gli intima di abbandonare le indagini. La serenità – dice il medico – sta nel dimenticare il male, oltre che nella ricerca di una visione positiva. Ma Contini non accetta una felicità che si confonde con il benessere.

«Lo sa che ci sono delle app per aiutare la gente a essere felici?»

Contini capì che non sarebbe stato un colloquio semplice.

«Delle app?»

«Certo» disse il dottor Fontana. «Utilizzano un approccio di terapia cognitivo-comportamentale, seguendo le oscillazioni dell’umore, identificando i pensieri negativi, promuovendo le attività positive…»

«Tipo spegnere il telefono?»

I romanzi noir ci mettono al riparo da una felicità superficiale. La presenza del male ci impedisce di proiettare sul mondo le nostre utopie. Ma è possibile scavare nelle nefandezze umane ed essere, nonostante tutto, lieti? Forse sì, grazie a due strategie ben precise: l’autoironia e la capacità d’immedesimazione.

È l’autoironia che impedisce a Philip Marlowe, il protagonista dei romanzi di Raymond Chandler, di sprofondare negli abissi: quello che sulle prime sembra cinismo, si rivela disincanto, e cioè un modo per mascherare l’onestà, l’onore, la purezza, valori che rendono Marlowe una sorta di cavaliere della tavola rotonda sperduto in una metropoli. Marlowe è un uomo felice? Forse finge di non esserlo, ma di certo è un uomo fedele ai propri ideali, per quanto appaiano un po’ ammaccati.

È ricco di ironia anche il personaggio di Nero Wolfe, inventato da Rex Stout. Il gigantesco investigatore privato è riuscito a creare un piccolo mondo autonomo nella sua casa di arenaria grigia, nella 35esima strada ovest di New York. La vita è scandita da orari precisi, quasi monacali: la magnificenza delle orchidee, le ore di lettura, i pasti raffinati, la birra e (quando capita) il lavoro. Il tutto senza pericolose incertezze emotive. Wolfe, infatti, ha le idee ben chiare sulle emozioni, così come sui dessert. «Sono in favore della teoria anglosassone per il trattamento di entrambi: congelateli e nascondeteli dentro di voi.»

Un esempio di felicità domestica è rappresentato dal commissario Maigret di Georges Simenon. Secondo Simenon, il suo personaggio è «un uomo all’apparenza molto ordinario, di un’intelligenza pure ordinaria, con una cultura media, ma che sa fiutare l’interno delle persone». Maigret s’impregna delle vite altrui, per mettersi nei panni dell’assassino. Come riesce a tenere a bada la sua parte oscura? Quando torna a casa si appoggia al davanzale della finestra, accende la pipa, contempla lo spettacolo dell’umanità che passa sotto di lui, è parte di quell’umanità, nel bene e nel male, mentre alle sue spalle la signora Maigret cucina una bouillabasse o un coq au vin.

Nelle storie noir, come in tutte le storie, i drammi e le lacerazioni sono spesso accompagnati da una tensione verso la bellezza. Non si tratta di una bellezza di plastica, priva d’imperfezioni, ma di un sentimento che suscita insieme letizia e turbamento. Ritrovo questo stato d’animo in una delle mie scene preferite di Guerra e pace di Lev Tolstoj (un romanzo-mondo che, fra l’altro, ha molti aspetti noir…).

È una notte di luna piena. Il principe Andrej, ospite nella casa dei Rostov, sente dalla finestra aperta il dialogo tra Natasha Rostova e sua cugina Sonja. Natasha è presa dall’incanto.

Sonja! Sonja! – si udì di nuovo la prima voce. – Ma come si può mai dormire? Ma guarda che bellezza! Ah che bellezza! Ma svégliati, Sonja! – disse la fanciulla con le lacrime nella voce. – Una notte così bella non c’è stata mai, mai!

La bellezza della notte rende Natasha inquieta e felice nello stesso tempo. Forse la bellezza, per condurre alla gioia, deve suscitare proprio questo effetto: una serena inquietudine, una pace colma di stupore. Insieme all’ironia e all’immedesimazione, anche mantenere desta la capacità di meraviglia aiuta a essere felici.

L’AUTORE E IL NUOVO ROMANZO* – Torna nelle librerie italiane Andrea Fazioli, classe 1978, di Bellinzona (Svizzera italiana), del quale Guanda ha già pubblicato L’uomo senza casa (2008, Premio Stresa di Narrativa, Premio Selezione Comisso), Come rapinare una banca svizzera (2009), La sparizione (2010, Premio Fenice Europa), Uno splendido inganno (2013), Il giudice e la rondine (2014) e L’arte del fallimento (2016, Premio Fenice Europa). E con il giallista svizzero torna anche l’investigatore privato Elia Contini.

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Ne Gli svizzeri muoiono felici (Guanda) Contini è chiamato a occuparsi di un delicatissimo caso di scomparsa. Nel 1998 Eugenio Torres, noto medico, amante del trekking, fondatore di scuole in Niger, all’improvviso sparisce dalla faccia della terra. Vent’anni dopo, alla morte della moglie, i figli assumono Contini per tentare di capire che cosa sia accaduto al padre. Secondo alcune voci, il medico era fuggito in mezzo ai suoi protetti nel Sahara nigerino. E proprio dalla vastità del deserto, un giorno arriva in Svizzera un giovane migrante. Moussa ag Ibrahim appartiene al popolo tuareg e dichiara di avere prove che Torres è vivo e che ha bisogno di aiuto. L’investigatore e l’uomo del deserto formano così una coppia improbabile, che indagando nel passato scoprirà, dietro la scomparsa di Torres, un segreto pericoloso. Sullo sfondo del microcosmo svizzero si confrontano due culture radicalmente opposte. Ma sono poi davvero opposte? O forse invece esiste qualcosa in comune tra le vette innevate delle Alpi e le eterne distese del Sahara?

nota: la foto in alto è di Loreta D’Addamio

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