Si può parlare di fumetto anche quando manca la sua parte testuale? Questo quesito è alla base di molte riflessioni in merito alla definizione di fumetto stesso e ciò che lo differenzia dalla semplice illustrazione. Ovviamente la narrazione e la storia fanno la differenza, ma non solo… Su ilLibraio.it un approfondimento dedicato all’evoluzione dei wordless novel, con le tendenze internazionali e tante opere da scoprire

Si può parlare di fumetto anche quando manca la sua parte testuale? Questa domanda è alla base di molte riflessioni in merito alla definizione di fumetto stesso e a ciò che lo differenzia dalla semplice illustrazione. Ovviamente la narrazione e la storia fanno la differenza, ma non solo. Come spiegava il fumettista e critico Scott McCloud nel suo manuale Capire il fumetto – L’arte invisibile, risalente al 1993, a definire il fumetto non è l’abbinamento di immagine e parola: la sua essenza è la sequenzialità, ovvero l’accostamento di immagini in relazione l’una all’altra, intervallate dal famoso “gutter”, lo spazio bianco che si pone tra due vignette e che rappresenta un passaggio di tempo, di prospettiva, di logica. Una definizione prestata da Will Eisner, ricordato anche come colui che ha inventato il romanzo a fumetti (graphic novel): secondo entrambi gli autori, il compimento della nona arte non risiede in altro che questo.

I fumetti wordless sono quindi delle storie che si “leggono” come tutti gli altri fumetti, anche se non hanno parole, dialoghi o didascalie di alcun tipo. Se da un lato questa è una tendenza molto forte nella letteratura illustrata per l’infanzia, lo stesso sta accadendo a livello internazionale nel fumetto. Il titolo che ha aperto la strada per questo genere sperimentale è L’approdo di Shaun Tan, pubblicato nel 2008 e riedito da Tunuè nel 2016: la forza di questo libro risiede, oltre alla carica emotiva della storia di separazione e migrazione, nell’alto livello delle illustrazioni. È questa una caratteristica fondamentale dei silent book: il disegno riempie la pagina come se si trattasse di un’opera d’arte e abdica ai segni della lingua per lasciare all’immagine il compito di sopperire questa mancanza. L’incomprensibilità del linguaggio non a caso è il nodo per interpretare la grandezza di questo titolo: Tan, che è di origine asiatica, ma nato e cresciuto in Australia, ha inventato per questo libro un idioma sconosciuto che il protagonista si trova a decifrare, specchio del mondo immaginifico in cui sbarca.

approdo shaun tan

Molto di questo successo è dovuto soprattutto all’influenza orientale, soprattutto di Cina, Coree e Tawain, dove i fumetti hanno una storia parallela a quella europea e nordamericana. La casa editrice Oblomov di Igort ha il merito di aver portato le opere e il talento di Zao Dao (Il soffio del vento tra i pini e Carnet Selvaggio) in Italia.

Zao Dao (nome d’arte che significa “riso precoce”) è infatti già considerata una gigante dell’illustrazione e del fumetto, sebbene abbia poco più di vent’anni e provenga da un piccolo villaggio cinese, Kaiping. Il soffio del vento tra i pini nacque inizialmente come wordless book, tipologicamente vicino ai lianhuantu, sottocategoria senza didascalie o dialoghi dei manhua (fumetti) cinesi, adattato poi dal suo primo editore francese con l’aggiunta di intermezzi scritti e di capitoli per renderlo più fruibile dal pubblico occidentale. La storia ricorda molto da vicino la Principessa Mononoke di Hayao Miyazaki, soprattutto per l’ambientazione, un Giappone feudale popolato da vagabondi e combattenti nei costumi tipici del periodo dello shogunato, e per la grande importanza dei paesaggi naturali. Il paragone è particolarmente calzante perché questo genere di opere si colloca un gradino più vicino al linguaggio cinematografico, spogliato com’è di sceneggiatura e la cui forza sta esattamente nelle immagini e nel montaggio, in grado di raccontare senza sentire la mancanza della parola.

zao dao il soffio del vento tra i pini

La maggior parte dei manhua cinesi è pubblicata soprattutto a Hong Kong, a Taiwan e nella Cina continentale. Per esempio, Crystal Kung, nata in Cina ma residente a Taipei (Tawain), è un giovane talento dell’illustrazione e dell’animazione. Il suo fumetto muto Il piccolo vagabondo (Bao Publishing, 2018) condensa i due aspetti della sua carriera, l’abilità di sintesi di inquadrature e montaggio insieme all’attenzione al dettaglio e soprattutto ai colori, alle atmosfere, che rendono questo libro una storia simile a una favola. Al centro, neanche a dirlo, c’è il senso dello smarrimento, in patria ma anche in viaggio, e il senso dell’incomunicabilità.

Ma i fumetti muti non sono prerogativa della cultura orientale, anzi le grandi novità editoriali di questo ambito riguardano anche alcuni autori europei, di cui la Eris Edizioni ha curato la pubblicazione: Cappuccetto Rosso Redux e Babylon di Danijel Žeželj, fumettista croato ma trapiantato negli Stati Uniti, e Prosopopus del francese Nicolas De Crécy. In questi autori la modalità wordless permette al lettore di entrare in mondi differenti, con atmosfere a metà tra il sogno e l’incubo: che sia il bosco maledetto di Capuccetto Rosso o una metropoli distopica, il disegno di per sé risulta sufficiente a ricreare un intero universo.

Tali opere ci ricordano l’esperienza di essere stranieri in una terra sconosciuta, nello stato primordiale di chi si trova a comprendere ciò che esperisce attraverso lo sguardo e ad abbandonare la propria fede incrollabile nel linguaggio. Per conoscere la realtà, la parola non sempre serve, anzi può essere utile spogliarsi dalle riflessioni intellettuali e tornare a fidarsi della propria vista, come se ci immedesimassimo nei panni di un animale metropolitano. Sia Žeželj che De Crécy sono riconosciuti come maestri della narrazione a fumetti, e anche in questo caso, come per i colleghi d’Oriente, dimostrano che l’elemento costitutivo del fumetto è l’immagine, raffinata alla sua estrema potenza, come a dirci che le parole talvolta possono risultare ridondanti. Fatto confermato dall’editor Gabriele Munafò, direttore editoriale di Eris Edizioni: “Per noi non è una discriminante il fatto che i fumetti abbiano parole e dialoghi o no. Amiamo il racconto per immagini e ci interessa scoprirne i percorsi possibili. È estremamente interessante, quindi, che questi autori abbiano deciso di tentare una narrazione per immagini pura”

cappuccetto rosso zezelji

prosopopus de crecy

I fumettisti italiani non hanno esplorato molto questa modalità, forse anche a causa della reticenza del mercato editoriale e del pregiudizio che fino a qualche anno fa pesava sul fumetto come genere. Solo un grande disegnatore, spesso sconosciuto in Italia al di fuori degli appassionati, si è permesso di percorrere la strada del fumetto muto: si tratta di Federico Bertolucci, che insieme allo sceneggiatore francese Frédéric Brémaud, in arte Brrémaud, ha dato alle stampe la serie Love (Edizioni BD). Avendo come protagonista il mondo animale, la scelta di rinunciare al linguaggio risulta forse inevitabile, riportando però l’attenzione sull’estremo talento del disegnatore, ma anche dello sceneggiatore. Come nel cinema, non tutta la scrittura è fatta per essere esplicita.

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