La criptomnesia è un “disturbo della memoria in cui i ricordi appaiono come creazioni originali”, ma spesso viene scambiata per un furto consapevole. Ce ne parla la scrittrice Stefania Piazzino, che cita, tra gli altri, “Moby Dick”, “Robinson Crusoe”, Balzac, “Il ritratto di Dorian Gray” (nella foto Oscar Wilde), “Frankenstein” e Dickens

di Stefania Piazzino*

 

Si fa e non si dice. Non si dice perché non ci si è accorti di farlo. La criptomnesia è un “disturbo della memoria in cui i ricordi appaiono come creazioni originali” (Vocabolario Treccani, sul mio Zingarelli curiosamente non ho trovato la definizione). Qualcuno la etichetta come furto inconsapevole, tanto per assicurare un verdetto di innocenza, ma iniettare comunque il veleno dell’accusa. Jung parla di criptomnesia nei suoi scritti, riferendola anche a se stesso. Nel corso degli anni, venne a scoprire che molte cose, che lui attribuiva al suo intuito e alla sua creatività, già esistevano, in qualche libro o in qualche credenza. Certo, la spiegazione va cercata nell’inconscio collettivo, da cui attingiamo tutti quanti e in cui le immagini, le idee e le conoscenze sono infinitamente più numerose di quelle che al singolo possono apparire coscientemente. Quello che mi sta a cuore e mi diverte è la possibilità di navigare un po’ nelle misteriose acque della creatività. Allora aggiungiamo la parte di definizione più interessante: perdita del carattere mnestico del ricordo, che diventa creazione personale. Ecco, a un certo punto i ricordi diventano dormienti, smettono i vecchi abiti, sgusciano fuori dal grande contenitore della memoria e finiscono altrove. Dove? Nelle storie, quelle di tutti, quelle scritte e non scritte, perché tutto è narrazione, anche due asciutte righe di biografia, un “coccodrillo” sul giornale, una risposta banale alla più semplice delle domande. Ogni istante che passa, armato di penna come un romanziere, scrive e rivede la bozza della nostra esistenza, non solo alla luce del nuovo che accade, ma perché ciò che definiamo passato assume incessantemente un’altra forma, impossessandosi di nuovi particolari, dà un taglio diverso a una scena, aggiusta la descrizione di un personaggio. E allora che importa se un’immagine è originale o no? O meglio, non lo è comunque se diventa uno strumento per migliorare e approfondire il senso della nostra storia? E così quest’estate mi sono imbattuta in un libro che tenevo vicino da anni, sopravvissuto a dodici traslochi da quando l’avevo acquistato a oggi: Moby Dick. E’ da qui che parte l’elenco delle mie criptomnesie preferite. Ma si tratta proprio di questo?

 

Mi viene in mente un nome
Chiamatemi Ishmael. Il naufrago più famoso? Ishmael è il reietto senza colpa dell’antico testamento, un “Caino” che non si è macchiato di crimine, ma è allontanato perché chi ha generato la sua vita possa ricostituire un ordine morale nella propria. E’ il 1851 quando viene pubblicato il libro, e siamo negli Stati Uniti. Ma un bel po’ di anni prima, nel 1719, un altro naufrago, Robinson Crusoe, si rivela al mondo. In mezzo al suo naufragio e al suo mare, anche Robinson si libera di un ragazzo senza colpa, se non quella di poterlo ostacolare nei suoi piani: si chiama Ishmael. Il libro ha un gran successo. Melville aveva letto Robinson Crusoe? Ha ripescato Ishmael dal mare di Defoe? Il ricordo è diventato una nuova opportunità?

 

Dipinti, ritratti e tragedie
Le chef d’oevre inconnu, esce nel 1831. Balzac racconta di un grande pittore che sta lavorando a una tela, il ritratto di una donna, così vero, così intenso da suscitare in lui una passione smisurata, come se ne fosse innamorato. Finirà tutto in tragedia quando il pittore mostrerà la tela ad altri, una tela che riscuoterà poco successo alla vista, perché considerata incomprensibile. Il pittore morirà dopo aver dato fuoco a tutti i suoi dipinti. Dall’altra parte della Manica, Oscar Wilde scrive Il ritratto di Dorian Gray. Un racconto all’inverso rispetto a quello di Balzac. Un uomo, innamorato di se stesso, vuole fare della sua vita un’opera d’arte e ucciderà, tra gli altri, il pittore che lo ha ritratto. Nell’aria tirava un vento di arte, di creazione, di narcisismo e morte e questi sono due grandi autori in mezzo alla bufera.

 

Ho visto un automa che sembra un essere umano
Pierre Jaquet-Droz era un orologiaio svizzero. Siamo a fine Settecento. Fece fortuna con la costruzione di tre automi: uno scrittore, un disegnatore e un musicista. Funzionavano benissimo, si muovevano, scrivevano, disegnavano e suonavano. Lui e il figlio cavalcarono l’onda di questo successo, che non durò molto, organizzando una tournée in Europa, per mostrare a tutto il mondo i tre personaggi di ferraglia. Pare sia un fatto assodato che anche Mary Shelley assistette a una loro esibizione. Il primo automa, in ordine di costruzione/nascita, era uno scrittore, che meravigliosa suggestione! Frankenstein era la creatura di uno scienziato che voleva sfidare le leggi della vita, o domarle. Ma la creazione è comunque salva. D’altra parte, non leggiamo e guardiamo e indaghiamo continuamente alla ricerca di immagini o parole per esprimere l’indicibile?

 

Gente che vuole possedere le storie che ha sentito e finisce di nuovo in mare
Pip, l’eroe di Charles Dickens, viene preso sotto l’ala da una ricca e pazza signora, che in realtà lo usa ai fini di materializzare una storia che ella ha in mente. Anche nel film La storia immortale di Orson Welles, tratto da un racconto di Karen Blixen, un uomo ricco e potente decide di tradurre nella realtà una storia che ha sentito raccontare, utilizzando come personaggi una donna e un marinaio reclutato da lui stesso. Il piano iniziale fallirà, perché nessuno sarà disposto a raccontare la storia che è diventata storia, quindi non è più una storia. Il vecchio muore, la coppia plasmata da lui si separa e il marinaio se ne va con la ghinea d’oro che aveva ricevuto come compenso per l’incarico. La ghinea d’oro? Quella inchiodata a martellate da Achab all’albero maestro del Pequod? Il premio per la futura cattura della Balena?

 

Sotto ipnosi dirai finalmente la verità
Countess Maud è il titolo di uno strano e misconosciuto romanzo di Emily S. Holt che narra la vita dell’omonima contessa, vissuta nel XIV secolo. Nei primi anni del Novecento un uomo in cura psichiatrica (secondo altre fonti l’episodio viene riferito invece a una donna) venne sottoposto tra l’altro a un trattamento con l’ipnosi e durante una seduta raccontò di una donna che conosceva bene e di cui rivelò molti particolari dettagliati. Successivamente si accertarono due fatti: la storia corrispondeva a quella di un certo libro, La contessa Maud; l’uomo in cura aveva letto quel libro molti mesi addietro. In stato cosciente l’uomo non si era ricordato immediatamente del libro, tantomeno di ciò che aveva rivelato sotto ipnosi. Si era appropriato di una storia letta, l’aveva fatta sua, e tutto questo in uno stato di innocente incoscienza e, se vogliamo azzardare, in una condizione in cui siamo tutti convinti che non ci si possa inventare nulla. E di fatto non si era inventato nulla. Le storie sono di tutti.

 

Ora mi concedo un pisolino. Mi piacerebbe, al mio risveglio, trovare un fiore sognato sul mio petto, o stretta nel pugno un’antica moneta che porta i segni del martello.

L'uomo che credeva di essere Riemann

*L’autrice ha pubblicato con E/o L’uomo che credeva di essere Riemann, la storia di un matematico di fama mondiale che comincia a dare segni di squilibrio a seguito di una notizia sconvolgente. A farlo uscire di senno è infatti l’annuncio che la famosa ipotesi di Riemann, sulla quale generazioni di matematici si sono arrovellati, è stata finalmente dimostrata…

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