In libreria “il primo libro fotografico su Fabrizio De André in cui non c’è una sola immagine di Fabrizio De André”. Un viaggio che esce dai percorsi stereotipati e attraversa l’anima di Genova, città di umanità e poesia

Il volume Genova è mia moglie. La città di Fabrizio De André (Rizzoli), a cura di Patrizia Traverso e Stefano Tettamanti, ci mostra un De André inedito, raccontato da foto uniche che catturano la sua città e dialogano con le sue parole. Un viaggio che esce dai percorsi stereotipati e attraversa l’anima del capoluogo ligure, ricco di umanità e poesia.

de andré

Spiega Tettamanti, contattato da ilLibraio.it: “Quando abbiamo deciso, mia moglie e io, di dedicare un libro a Fabrizio e alla nostra comune città, eravamo consapevoli del rischio che correvamo. Il minimo che potevamo sentirci dire era: ma come, un altro libro su Fabrizio? Ce n’era proprio bisogno? In effetti intorno a De André, a quasi vent’anni dalla morte, si è sviluppata una sorta di culto, di beatificazione, un’industria della memoria che ci faceva e ci fa orrore. L’idea di poter essere scambiati per professionisti della nostalgia fabriziesca sarebbe bastata per farci abbandonare il progetto. Ma io avevo bene in mente il miracolo che era riuscito a Patrizia in un libro precedente dedicato a Giorgio Caproni e alla sua Litania (Genova che è tutto dire, di Patrizia Traverso e Luigi Surdich, prefazione di Giuseppe Conte, il Canneto editore): far rivivere una delle poesie più singolari e straordinarie del Novecento italiano attraverso una serie di fotografie scattate più di mezzo secolo dopo allo stesso oggetto dei suoi versi, la città di Genova. E siccome siamo convinti che come per Caproni (che peraltro genovese di nascita non era) così per De André Genova sia stata non solo la città delle radici, ma il luogo dell’anima, il mito fondante, lo scenario mentale nel quale si è svolta tutta la sua vita poetica, artistica e intellettuale, abbiamo provato a vedere se quel miracoloso viaggio nel tempo e nello spazio poteva ripetersi e se guidati dalle parole di Fabrizio (e non quelle più ‘facili’ delle sue canzoni, ma quelle meno note dei diari in Sotto le ciglia chissà, Mondadori) fosse possibile ricostruire, con gli occhi e la sensibilità di oggi, un itinerario nella sua città interiore, restituirne colori, aromi, voci, ambienti, scoprire percorsi insoliti e tracciare rotte imprevedibili che restituissero ai lettori il senso più profondo e intimo del viaggio umano e poetico di Fabrizio De André. Senza pubblicare neanche una fotografia di Fabrizio De André…”.

Conclude il co-autore: “Naturalmente non sta a noi dire se ci siamo riusciti (anche se, altrettanto naturalmente, sono convinto di sì…). Ai lettori, genovesi o no, amanti di Fabrizio o no, l’ultima parola. Ma di certo il culto lepegoso e retorico di ‘san Fabrizio’ non dovremmo averlo alimentato. Per dei ruvidi genovesi sarebbe imperdonabile”.

 

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