“La verità è che non esistono persone gentili e persone sgarbate…”. In occasione della giornata mondiale della gentilezza, su ilLibraio.it il “reportage” della scrittrice Valentina D’Urbano, che racconta cosa avviene ogni giorno nel bar dell’estrema periferia romana sotto casa sua, dove “i classici pensionati un po’ teppisti” si ritrovano a giocare a briscola (“e si insultano. Si maledicono. Si nominano i morti a vicenda…”): “Ma tutto questo come per magia svanisce quando nel bar appaio io, o qualsiasi altro essere di genere femminile…” –

di Valentina D’Urbano*

A chi mai poteva venire l’idea di lanciare una giornata mondiale della gentilezza?

Ai giapponesi. Certo. Il popolo che ha inventato una cosa meravigliosa come il sushi non può non credere nella gentilezza come stile di vita.

Peccato che qui non siamo a Tokio, anzi. Scrivo questo pezzo in un appartamento nell’estrema periferia di Roma, al terzo piano, affacciato su una strada interna abbastanza tranquilla.

Ma…C’è un ma.

Nella strada abbastanza tranquilla c’è uno di quei bar rimasti fermi agli anni Ottanta, con i rivestimenti in finto legno, i flipper che hanno fatto la guerra e forse la stanno ancora combattendo, e le decalcomanie scolorite sulle vetrine. Il proprietario è lo stesso da sempre, l’hanno tirato su insieme all’insegna e alle sedie di plastica mezze rotte. Se ne infischia del divieto di fumare che ha appeso lui stesso nel locale, e ti serve il caffè con la cicca che gli pende all’angolo delle labbra. Anche gli avventori sono gli stessi da trent’anni, a guardarli ti danno l’impressione di essere nati anche loro insieme al bar.

Questi clienti abituali li vedo, anzi li sento, tutti i giorni. Dalla mattina alla sera.

Sono i pensionati del circondario che si riuniscono ai tavoli esterni del bar, con qualsiasi condizione atmosferica. E giocano a carte. E gridano.

Tutto il giorno.

Gridano.

Calano una briscola e si insultano vicendevolmente. Perdono a tressette e inveiscono contro il pantheon. Giocano a scala quaranta per sedici ore consecutive e nel contempo si strillano l’un l’altro tutti i loro acciacchi.

Insomma, sono i classici pensionati un po’ teppisti che si possono trovare in ogni bisca di quartiere. Si insultano. Si maledicono. Si nominano i morti a vicenda (a Roma c’è un esclamazione bellissima e molto famosa per questa pratica che è «Li mortacci tua» che non è solo un insulto, anzi: spesso è un intercalare, un saluto affettuoso o un vero e proprio atto di gentilezza – ma magari ne parliamo un’altra volta, ora abbiamo da fare con i pensionati).

Ma tutto questo, come per magia svanisce quando nel bar appaio io, o qualsiasi altro essere di genere femminile. Allora l’ormai famigerato bar Da Armando si trasforma nella prima classe del Titanic.

I nostri eroi, seduti a giocare e a bestemmiare fino a due secondi prima, diventano dei super gentiluomini. Si alzano in piedi al tuo passaggio. Ti tengono aperta la porta del bar e nel mentre si informano sulla tua vita («Come stanno i gatti? Stai scrivendo un nuovo libro?»). Qualcuno ti saluta togliendosi il cappello.

Insomma, da bisca di periferia a esclusivo circolo del bridge in cinque secondi netti.

La verità è che non esistono persone gentili e persone sgarbate. Sei quello che scegli di essere in quel momento con il tuo interlocutore. I signori che schiamazzano sono gli stessi che, nonostante gli acciacchi, si affrettano ad aprirmi la porta del bar. Non esiste l’alibi delle derive caratteriali in questo caso. Puoi aver avuto una brutta giornata ed essere spiacevole con qualcuno, è vero, ma lo scegli tu.

Madre natura non mi ha dato un carattere granché amabile, e proprio per questo mi sforzo di essere gentile. Negli anni ho capito che ottieni molte più cose chiedendo con un sorriso che pretendendo con stizza. Ho imparato –e sembra scontato, ma non lo è affatto – che essere gentili richiama gentilezza. E quando i miei amici pensionati si alzano in piedi al mio passaggio, io sorrido e molto gentilmente chiedo se sono disposti ad abbassare un po’ la voce, perché li sento fino al terzo piano e faccio un po’ fatica a concentrarmi e lavorare.

È incredibile quello che può fare una richiesta accompagnata da un sorriso.

Quando rientro in casa, in effetti per almeno mezz’ora non si sente più niente, solo un silenzio bellissimo.

Poi naturalmente le urla rimaste inespresse troppo a lungo ritornano con potenza amplificata, ma io so che ci hanno provato, che sono stati gentili, e lo apprezzo. Gentilezza chiama gentilezza, che è sorella della comprensione e della pazienza.

Però, li mortacci, capisco pure che non si può resistere più di tanto a una sconfitta a briscola.

L’AUTRICE* – Valentina D’Urbano, giovane scrittrice romana (e autrice per ilLibraio.it di questo provocatorio intervento), è appena tornata in libreria con Alfredo (Tea).  “Nel 2010, chiusa nella mia stanza”, racconta la D’Urbano, scrivevo Il rumore dei tuoi passi raccontando la storia dal punto di vista di Beatrice. Ma già mi domandavo che cosa stesse succedendo nella testa di Alfredo”. Così è nato questo libro, come un regalo per sé (per il suo trentesimo compleanno) e per i suoi lettori, che volevano sapere di più di Alfredo. Una specie di «ritorno a casa…

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