“Il greco è innanzitutto una lingua che serve a esprimere un’irripetibile idea di mondo, non è certo una somma di regole grammaticali”. Su ilLibraio.it un sentito intervento di Andrea Marcolongo, autrice di un saggio di inattesa successo, “La lingua geniale”. Che arriva proprio mentre si continua a discutere sul futuro del liceo classico: “È una scuola che insegna il mestiere di vivere, citando Pavese, preparando a tutta la gamma di dolori e di successi che la vita adulta riserva ad ognuno di noi”

Virginia Woolf scriveva che “è strano- molto strano- il fatto di voler sapere il greco, sentirci attratti dal greco, e stare sempre lì a farci un’idea del significato del greco,  (…) poiché nella nostra ignoranza saremo sempre comunque gli ultimi della classe, visto che non sappiamo che suono avevano le parole greche, o dove di preciso dovremmo ridere“.

Anch’io sono strana -molto strana- e lo dichiaro fin dalla prima pagina del mio libro, La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco (Laterza). Perché non mi sono solo ostinata a voler sapere il greco, frequentando prima il liceo classico e poi Lettere Antiche, ma ho persino provato a raccontarlo. Con un’ambizione: fare innamorare del greco anche chi non l’ha mai studiato e ne è curioso, chi l’ha studiato e l’ha dimenticato, chi l’ha studiato e l’ha odiato, fino a chi il greco li sta studiando oggi a scuola.

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Scrivere questo libro è stata per me una straordinaria esperienza umana: sono partita dal ricordo di me al liceo, che annotavo sui libri di greco il nome del mio compagno di banco, fino a recuperare da scatoloni sopravvissuti a innumerevoli traslochi i manuali universitari. Ho chiesto aiuto a chi è alle prese oggi, nel 2016, con il liceo classico scoprendo che le domande che pongono sono le stesse che ponevo io, ragazza inesperta del greco e della vita. Ho parlato con amici, ormai adulti, che hanno frequentato il liceo classico scoprendo che ognuno di noi nell’armadio non nasconde scheletri, ma figuracce che ancora ci perseguitano (forse è qui che dovremmo ridere del greco; il mio ignobile errore lo racconto a pagina 111). Soprattutto, ho provato a spiegare le particolarità del greco -e quindi queste 9 ragioni per amarlo, perché la bellezza sta nella stranezza– soprattutto a chi il greco non l’aveva mai studiato: incredibile, ci siamo capiti bene, forse meglio.


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Vivere questo libro è per me un’avventura umana ancora più eccezionale. Incontro nel mio tour per l’Italia ragazzi e professori, che m’insegnano la vita -e tengono più vivo che mai il greco. Ogni presentazione è talmente affollata di persone sincere, curiose, da adolescenti fino a uomini in pensione che studiano il greco da autodidatti, che torno a casa sempre sopraffatta. Ricevo lettere da tutta Italia in cui ciascun lettore mi racconta, con delicatezza, un poco di sé.

No, non mi sarei mai aspettata un simile successo e nemmeno lo cercavo: capire il greco è sempre stata la mia a questione irrisolta e ho scritto questo libro solo per amore. Mettendo sulla pagina i miei pensieri di una vita, temevo di perdere una parte di me, non riuscivo ad immaginare un lettore: ora, cinque edizioni in un mese e migliaia di copie vendute dopo, che non ho perso nulla di me, sono diventata il perfetto (greco) di Andrea proprio grazie ai miei lettori.

Si dibatte molto, troppo, sull’utilità del greco a scuola o sul valore del liceo classico: mi piace definire queste polemiche, con l’ironia che attraversa tutto il libro, più ‘antiche del greco antico‘.

Il greco è innanzitutto una lingua che serve ad esprimere un’irripetibile idea di mondo, non è certo una somma di regole grammaticali. E qui arriva, per me, l’importanza dell’aspetto, il come delle cose e non solo il quando: spesso si scambia il mondo greco, la sua arte, la sua letteratura, come qualcosa a noi vicinissimo, come fossimo i pronipoti degli antichi Greci. Eppure la grecità, e la sua lingua, sono tanto diversi e lontani, per questo richiedono tanta fatica per farli nostri, come con ogni diversità con cui si misura. Nei testi greci, e nel greco, oggi non leggiamo gli antichi, leggiamo noi stessi.

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Quando mi trovo nelle scuole chiedo ai ragazzi di aiutarmi, di capire perché stanno frequentando, oggi, il liceo classico: le risposte che mi danno mi rendono più che certa che alla polemica in corso sfugga qualcosa. Ci si continua a domandate se serva o meno il greco nel mondo del lavoro o se sia utile: ma i ragazzi non sono utenti, sono esseri umani che si stanno formando in un percorso molto più complicato del greco, l’adolescenza. Perché ci si interroga sempre sul futuro e non si osserva cosa accade ai ragazzi nel mentre, in quei cinque anni in cui studiano il greco? Ecco alcune risposte che ho ricevuto da loro, bellissime e illuminanti: “ho scelto il liceo classico perché voglio fare cose grandi nella vita: non so ancora quali, ma so che passano da questa scuola”; “mio padre è stato operaio e ora è disoccupato, l’ho visto piangere: studio al liceo perché voglio costruirmi un futuro migliore”; “il liceo classico mi aiuta a capire la politica, come si fa a farsi abbindolare da Trump dopo aver studiato Platone?” e, ancora, “il liceo classico è per me è una sfida, mia madre diceva che non ce l’avrei mai fatta e invece eccomi ancora qui”.

La sfida con se stessi (e non con la grammatica), gestire il fallimento di un compito in classe o la gioia di una versione che per una volta ha senso: a mio parere il liceo classico è una scuola che insegna il mestiere di vivere, citando Pavese, preparando a tutta la gamma di dolori e di successi che la vita adulta riserva ad ognuno di noi.

Un po’ come il mio libro, che è stata per me una sfida: con me stessa, con la mia paura di esordire davvero in libreria, ma soprattutto di fidarmi di quanto, da quindici anni, avessi intuito e fatto mio del greco antico per raccontarlo agli altri. Ho scoperto con meraviglia quanto sia attuale questa presunta inattualità e un mondo di lettori che vivono, attraverso le pagine, un viaggio tutto privato in se stessi grazie alle cose che si possono dire in più, anziché in meno, in greco.


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