Su IlLibraio.it un estratto da “Non seguire il mondo come va – Rabbia, coraggio, speranza e altre emozioni della politica” di Michela Marzano

Nel marzo 2013, Michela Marzano entra per la prima volta alla Camera in qualità di deputata. Non ha mai fatto politica, non conosce nessuno: è una filosofa chiamata dal Partito Democratico con l’intenzione di portare in Parlamento una persona con competenze specifiche.

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Come lei stessa racconta nel libro Non seguire il mondo come va – Rabbia, coraggio, speranza e altre emozioni della politica (Utet, scritto con la giornalista di Repubblica Giovanna Casadio), pensa alla responsabilità che tutti i neoeletti si sono assunti davanti al Paese di essere integri, onesti, decorosi. Pensa ai problemi dell’Italia, alla crisi economica, alle diseguaglianze sociali, alla mancanza di diritti per le minoranze. Pensa a tutto quello che vorrebbe e dovrebbe fare, a tutto quello per cui vorrebbe e potrebbe battersi, a tutto quello che non accetterebbe. Le bastano poche settimane per cominciare a respirare tutto il malessere della politica. Con crescente smarrimento, capisce che alla Camera i princìpi e le idee valgono poco. In politica contano soprattutto i voti che ti porti dietro, le appartenenze e le conoscenze. E poi sono troppi i cortigiani; troppi gli arroganti e gli ambiziosi pronti a dimenticare velocemente le ragioni per le quali all’inizio avevano deciso di impegnarsi. Il libro è, al tempo stesso, una testimonianza e un saggio filosofico, un atto di resistenza e un ritratto della politica italiana contemporanea.

Su IlLibraio.it un estratto dal libro

Senza compassione, è difficile guardare in faccia la realtà cogliendone le sfumature e le crepe. Senza compassione, l’altro scompare, non esiste più, viene cancellato. Avere compassione, però, non significa affatto venire a patti con la realtà. Al contrario. Quando si prova compassione, ci si batte per trasformare la realtà; ci si batte per cambiarla; ci si batte per renderla migliore. Come scriveva Jean Guéhenno nel 1928 in Caliban parle: «Il vero tradimento è seguire il mondo come va e occupare lo spirito a giustificare questo». Ma per evitare questo tipo di tradimento, si deve essere disposti a non velarsi gli occhi. E quindi ad ammettere che la società nella quale viviamo è caratterizzata da molteplici differenze, alcune delle quali profondamente ingiuste, e quindi da correggere. Cos’altro è d’altronde la politica se non un mezzo attraverso cui lottare contro le iniquità e permettere a tutti, indipendentemente dalle proprie differenze, di accedere alla democrazia?

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Di libri sulla delusione di chi, sbarcando per la prima volta in politica, si ritira sconfitto e disgustato ce ne sono fin troppi, da ultimo quello di Franca Rame. Ma non è questo il mio intento. Al contrario. Il mio scopo è raccontare il “re nudo”. Utilizzare la mia naïveté iniziale per fare come il bimbo nel racconto di Hans Christian Andersen “I vestiti nuovi dell’Imperatore”. Ma utilizzare anche gli strumenti analitici della filosofia e del pensiero critico per rivestire questo re e mostrare – al di là della retorica antisistema che è una delle piaghe dell’epoca contemporanea – che un’altra politica è possibile.

Vi ricordate la fiaba di Andersen? È la storia di un imperatore vanitoso che si fa prendere in giro da due abili imbroglioni. Vantandosi di essere capaci di tessere un vestito meraviglioso che però nessuno stolto potrà mai vedere, gli imbroglioni convincono il re ad andare in giro nudo. Naturalmente nessun cortigiano osa ammettere la verità: tutti lodano il sovrano per il magnifico vestito; tutti fanno finta di vederlo e di apprezzarlo; tutti si convincono che sia il solo modo per rendere omaggio al re. Tutti, tranne un bimbo del popolo. Un piccolo analfabeta che non ha nulla da perdere e che, sgranando gli occhi, non esita a gridare con innocenza: «Ma il re non ha nulla addosso».

Ebbene, credo sia giunto il momento di avere il coraggio di passare per un’analfabeta o una stolta e gridare che la politica attuale è nuda. Ci sono troppi cortigiani – sia nei Palazzi sia nei media – che lo negano. Ci sono troppi arroganti e ambiziosi che sono pronti a tutto pur di conquistare o mantenere il potere. Anche se poi, una volta aperti gli occhi sulla nudità del re, non ci si può accontentare di urlare e di distruggere, come fanno troppo spesso i seguaci di Grillo, Casaleggio e Salvini. Il Parlamento non è una “scatola di tonno”. Non è un’istituzione da desacralizzare per il semplice gusto di farlo. Il Parlamento resta sacro, come un tempio. Da cui cacciare tutti coloro che, invece di “servire” gli altri, si “servono” del potere e applicano quindi, molto probabilmente senza saperlo, il detto di Benjamin Constant: Servons la bonne cause et servons-nous, serviamo la giusta causa e serviamo noi stessi. Con la conseguenza che, così facendo, sono loro a svilire la politica dimenticandosi che lo scopo e il senso dell’essere in politica è, fin dai tempi di Aristotele, essere al servizio del bene comune.

Quando mi sono ritrovata in Aula per la prima volta, ero emozionata e impaurita. Pensavo alla responsabilità che ci eravamo assunti davanti al Paese di essere integri, onesti, decorosi. Pensavo ai problemi dell’Italia, alla crisi economica, alle disuguaglianze sociali, all’assenza di diritti per le minoranze. Pensavo all’impegno di Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Lina Merlin. Pensavo a mio nonno, il padre di mio padre, che era stato anche lui onorevole prima di me, negli ormai lontani anni cinquanta. Pensavo a tutto quello che avrei voluto e dovuto fare, tutto quello per cui mi sarei voluta e potuta battere, tutto quello che non avrei mai accettato.

Ma forse pensavo troppe cose nello stesso tempo. E, nella confusione generale dei primi giorni, i ricordi che ho portato con me delle prime sedute sono vaghi e imprecisi. Anche perché l’inizio della xvii Legislatura è un susseguirsi di passi falsi. E dopo l’elezione euforica di Laura Boldrini e di Pietro Grasso, tutto precipita nello smarrimento generale. I “cittadini-portavoce” del m5s non hanno nessuna intenzione di collaborare con il centrosinistra per comporre un governo di cambiamento e urlano allo scandalo di un Pdmenoelle facendo però di tutto perché si arrivi alle larghe intese. Pierluigi Bersani appare umiliato durante la diretta streaming con i grillini. Giorgio Napolitano, dando al segretario del pd solo un incarico esplorativo, gli rifiuta di fatto la possibilità di cercare i voti in Aula.

Non c’è il Governo. Non ci sono le commissioni. Non ci sono gli accordi. E nessuno sembra avere la minima idea di come uscire dall’impasse. C’è chi propone l’istituzione di una commissione speciale per lavorare sui decreti legge in scadenza. C’è chi parla di golpe e di illegittimità. C’è chi cerca semplicemente di sopravvivere. A parte i soliti noti, certo. Che pensano che tutto possa velocemente ricominciare come prima, una volta “trovata la quadra”, espressione tanto cara ai parlamentari doc.

Ma niente è più come prima.

E quei giorni di confusione sono solo la prova generale della tragicommedia che sta per andare in scena. Anche la spocchia di alcuni “vecchi” è fuori luogo. Segno di un’incapacità profonda di rendersi conto che, col voto del 24 e 25 febbraio 2013, gli italiani hanno detto “basta”. Ma basta a che cosa? Basta a chi? Basta perché?

(continua in libreria…)

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