“Bisogna tenere a mente che i social non sono una riproduzione della realtà. In qualche modo sono una forma di intrattenimento”. In occasione dell’uscita del libro “Smetto quando voglio (ma anche no)”, ilLibraio.it ha intervistato Riccardo Pozzoli, direttore creativo di Condé Nast Social Talents e co-fondatore di “The Blonde Salad” (da cui è partita Chiara Ferragni), che ha parlato, tra le altre cose, anche del presente e il futuro di social e influencer…

Mentre risponde alle domande, Riccardo Pozzoli lancia continuamente occhiate al suo smartphone. Riceve una chiamata. Non è lavoro, spiega, è la mamma. Siamo a Milano e tra poche ore si terrà la presentazione del suo nuovo libro: Smetto quando voglio (ma anche no), pubblicato da DeAgostini. Quello che viene considerato un guru dei social, direttore creativo della struttura Condé Nast Social Talents, che si occupa di creare legami tra influencer e aziende, e co-fondatore nel 2009 di The Blonde Salad, che ha lanciato l’ex fidanzata Chiara Ferragni, aveva già debuttato in libreria con Non è un lavoro per vecchi, uscito l’anno scorso sempre per DeAgostini.

Come la Ferragni, che ha conosciuto ai tempi degli studi in Bocconi, il 32enne Pozzoli, cresciuto nelle campagne del Varesotto, ha fatto dei social media il suo lavoro e la sua fortuna. Eppure, Smetto quando voglio (ma anche no) è una sorta di manuale per provare a disintossicarsi dai social: “L’idea è nata mentre scrivevo il mio primo libro. È inevitabile porsi degli interrogativi quando ti trovi davanti a una realtà che ha sempre più a che fare con i social. Dato che non è possibile farne a meno, ho pensato che la cosa migliore da fare fosse capire come usarli in modo consapevole“.

smetto quando voglio (ma anche no)

Bastano 21 giorni, secondo Pozzoli, per imparare a liberarci delle nostre abitudini autodistruttive e per evitare di cadere nei piccoli (e grandi) peccati che ognuno di noi commette sui social. La parola “peccati” non è usata a caso. Il libro infatti è diviso in sette capitoli, proprio perché sette sono i peccati capitali. Riprendendo un discorso di Reid Hoffman, il cofondatore di LinkedIn, Pozzoli spiega che “i social sono destinati ad avere successo quando fanno leva su uno dei sette peccati capitali, quando cioè sfruttano le nostre debolezze umane, puntando sui nostri istinti più basilari”.

Per esempio, a chi non è mai capitato di essere colto da un moto di invidia guardando le vite degli altri, che dalle foto e i video che postano appaiono sempre perfetti? “Non credo sia totalmente sbagliato scegliere di apparire. Bisogna però tenere a mente che i social non sono una riproduzione della realtà. In qualche modo sono una forma di intrattenimento“.

Ma a quanto pare non è l’invidia il sentimento a dominare sui social, bensì l’ira: “Quando sono protetti da uno schermo, gli utenti si sentono liberi di dire quello che vogliono. Il punto è che sui social, a differenza della vita vera, manca un codice morale di riferimento“. E come si dovrebbe reagire di fronte agli insulti e agli attacchi verbali? “Ci sono diversi trucchi per disinnescare l’odio in rete. Credo che la cosa più importante sia parlare direttamente con gli haters. Instaurare un contatto con loro di solito funziona. Anche a mia moglie Gabrielle è successo, ed è riuscita ad arginare quasi tutti i messaggi di hating. Molto spesso ci dimentichiamo che abbiamo a che fare con persone vere, e solo quando ce ne rendiamo conto ci ricordiamo di essere umani“.

Ma veniamo a un altro peccato: la lussuria. I social hanno rivoluzionato ogni aspetto della nostra vita, compresa quella sentimentale. Basti pensare a tutte le nuove parole che sono state inventare per definire le dinamiche relazionali, dal ghosting all’orbiting, solo per citarne alcune. Ma l’amore al tempo dei social è davvero così diverso da prima? “Certo che no. Ripeto, siamo e restiamo sempre esseri umani. I social sono solo uno strumento per avvicinarci”.

Nel libro si parla anche di sexting, di conoscenze online, di coppie che espongono in modo maniacale la propria relazione (e soprattutto la fine della propria relazione): “Anche in questo caso bisogna interpretare i social come una sorta di palcoscenico, in cui tutti possono vederci. È quindi solo una questione di selezionare i contenuti che vogliamo rendere pubblici, tenendo sempre a mente che ci sarà un numero più o meno grande di spettatori a guardarci”.

Quando si esprime riguardo ai social, Pozzoli non usa mai parole come “giusto” o “sbagliato”; i suoi discorsi cercano di mettere a fuoco la complessità di un’evoluzione sempre più veloce e dinamica, di cui è difficile immaginare i prossimi scenari: “I social stanno arrivando a un limite, dopo gli ultimi anni di grande crescita. Ormai Facebook è in recessione perché non sta più coinvolgendo i giovani. Twitter, invece, interessa solo ai giornalisti o a chi fa informazione. E anche Instagram, che presto metterà la possibilità di acquistare direttamente sulla piattaforma, arriverà a una saturazione”. Su quale social puntare, allora? “Sicuramente su YouTube. Sono vent’anni che esiste e vent’anni che continua a crescere”. Ma senza farsi troppe illusioni. Del resto, non esistono più gli influencer di una volta: “Adesso le aziende hanno bisogno di figure con un’identità precisa, che siano in grado di creare contenuti specifici e di qualità. Il numero dei follower non è così importante”.

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