“Tutti i personaggi dei miei libri, prima o poi finiscono nelle loro isole. Lo fanno per se stessi, per cambiare, per dare una svolta. Io stessa quando scrivo finisco sperduta in un mare di parole e di idee a cui dare forma e corpo, da sola”. In occasione dell’uscita del nuovo romanzo “Isola di Neve”, la riflessione della scrittrice Valentina D’Urbano sull’importanza di apprezzare la solitudine, perché, anche se “nessun uomo è un’isola”, nella vita di ognuno esistono “le fasi isola. Quelle in cui magari siamo soli con noi stessi, con quello che ci succede, quei momenti in cui hai l’occasione di conoscere cose che hai dato sempre per scontato o che non desideravi vedere, ma con cui devi fare i conti…”

di Valentina D’Urbano

Nessun uomo è un’isola, dice un verso di John Donne. Ci ho pensato spesso, a questa cosa.
Ho sempre provato un amore viscerale e del tutto ingiustificato, per il concetto di isola. Viscerale perché ogni isola su cui ho messo piede l’ho sentita mia in un posto così profondo dentro di me da non sospettarne nemmeno l’esistenza prima di quel momento. Ingiustificato perché non ce l’ho nel sangue. Si dice che i luoghi da cui discendi in qualche modo ti condizionino l’esistenza, esercitando un richiamo irresistibile. Ebbene, la mia famiglia proviene dal continente. Tutta, almeno risalendo fino alle famose sette generazioni. Oltre la settima, immagino che l’ereditarietà tenda un po’ a disperdersi, per cui anche se qualche isolano abbia concesso alla causa un po’ del suo corredo genetico, si sarà senza dubbio diluito nei duecento anni trascorsi. Siamo gente di città e gente di montagna. Sono nata e cresciuta a Roma, e, per dare un tocco di fiction al contesto, potrei dire di essere nata al Fatebenefratelli, l’ospedale romano ospitato sull’isola Tiberina (sempre di isola si tratta, pure se in mezzo al Tevere). E invece no. Dovevo nascere al Fatebenefratelli, ma poi mi hanno messo al mondo al Gemelli, altro ospedalone della capitale, ben piantato sulla terraferma. Tecnicamente, ora lo sapete, con il concetto geografico di isola non c’entro niente.
Poi con gli anni, forse ho capito. O almeno mi sono data una spiegazione.

Non è la collocazione geografica che conta. È il modo di sentire che ci rende isole.

Nessun uomo resta per sempre un’isola. Ma per quanto mi riguarda nasciamo isola e moriamo isola. Nel bel mezzo c’è tanto, tantissimo continente, quando continente sta a significare vita, amore, amicizia, passioni, relazioni, famiglia e tutto quello che rende la vita degna di essere vissuta. E poi ci sono le fasi isola. Quelle in cui magari siamo soli con noi stessi, con quello che ci succede, quei momenti in cui hai l’occasione di conoscere cose che hai dato sempre per scontato o che non desideravi vedere, ma con cui devi fare i conti. È il momento della solitudine. Personalmente non ho mai avuto paura della solitudine. Di restare sola, di essere sola sì, ma mai della solitudine.

Mi piace. La amo. La solitudine è un concetto isola ed è una cosa molto diversa dall’essere soli, ché essere soli, di solito succede sempre mentre si ha intorno un sacco di gente che però non ti capisce.

Tutti i personaggi dei miei libri, prima o poi finiscono nelle loro isole. Lo fanno per se stessi, per cambiare, per dare una svolta. Io stessa quando scrivo finisco sperduta in un mare di parole e di idee a cui dare forma e corpo, da sola. Nel caso del mio ultimo libro è così anche a livello geografico. È ambientato su un’isola spoglia e inospitale, un posto che può proteggere e può ferire, proprio come il concetto che esprime. Ho scritto una parte consistente di questo romanzo in Islanda, e ne sento l’eco, non tanto nelle parole e nei fatti che racconto quanto nelle impressioni. È stato allora che ho pensato che le due cose, vita e solitudine non sono contrapposte. Non c’è alcun continente senza frammentazione, senza scogli in mezzo al mare. Possiamo essere entrambe le cose in qualunque momento. Per quanto mi riguarda sto tornando a essere continente, ma so già che mi staccherò di nuovo, per ridiventare isola. Perché scriverò altre cose, altri libri.

E ogni storia è un’isola, e ogni isola, alla fine, dà un po’ di senso in più al mio continente.

L’AUTRICE – Valentina D’Urbano è nata nel 1985 a Roma, dove vive e lavora come illustratrice per l’infanzia. Il rumore dei tuoi passi, suo libro d’esordio uscito con Longanesi nel 2012, ha vinto il Premio Città di Penne Opera Prima e il Premio Cultura Mediterranea Fondazione Carical. In seguito sono apparsi Acquanera (2013) che in Francia ha vinto il Prix Literaire Cezam, Quella vita che ci manca (2014) che si è aggiudicato il Premio Rapallo, Alfredo (2015) e Non aspettare la notte (2016). I suoi romanzi sono stati pubblicati in Francia e in Germania, ottenendo importanti riconoscimenti da parte della critica.

Isola di Neve, il suo nuovo romanzo, ci porta sullo sfondo autunnale di un’isola senza ormai più turisti, al largo di Roma. L’autrice racconta una storia d’amore e di ricerca di sé che si sviluppa su due piani temporali diversi. È il 2004, Manuel, 28 anni, è scappato di casa e dopo aver rotto i ponti con la propria famiglia e fidanzata, è approdato sull’isola di Novembre, dove conta di ripartire da capo con la propria vita. Qui incontra una giovane ragazza tedesca, Edith, una violinista che è sull’isola per una ragione precisa: ricostruire tutto ciò che può su un misterioso violinista tedesco, Andreas Von Berger, ultimo prigioniero del carcere di santa Brigida – un isolotto a poche centinaia di metri da Novembre –, rinchiuso lì negli anni Cinquanta e morto poco dopo la scarcerazione, in circostanze mai chiarite. Di Andreas restano poche cose: un frammento della sua ultima partitura per violino e un nome di donna: Tempesta. Cinquant’anni prima, nel 1952, Neve è una giovane pescatrice dell’isola di Novembre. In costante fuga dal padre violento, Neve si barcamena nella vita isolana del dopoguerra, fatta di stenti, miseria e arretratezza culturale e sociale. È proprio sfuggendo a una delle violente sfuriate di suo padre che, attratta dalla musica di un violino, finisce sulla piccola spiaggia bianca e isolata su cui si affaccia la cella di Andreas. Divisi dalle sbarre della prigione, Neve e Andreas cominciano a parlare, con un solo patto: Neve non gli dirà mai il suo vero nome così che sarà lui stesso a sceglierne uno: Tempesta.

L’INIZIATIVA – L’isola che non c’è o l’Isola del Tesoro? L’isola come via di fuga da tutto, emblema della solitudine, o l’isola festaiola, paradiso dell’aperitivo e della discoteca in spiaggia?
In occasione del nuovo romanzo di Valentina D’urbano, Isola di Neve (in libreria dal 13 settembre), partecipate al giveaway letterario scrivendoci qual è la vostra isola ideale o la vostra idea di isola, reale o metaforica.
Avete tempo fino al 13 settembre incluso. Gli autori dei tre commenti pubblicati più originali, scelti a insindacabile giudizio della casa editrice Longanesi, riceveranno come riconoscimento una copia speciale fuori commercio del nuovo romanzo di Valentina D’Urbano, autografata dall’autrice.

 

 

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