“La casa di Jack”, l’ultimo lavoro di Lars Von Trier, è difficile da inquadrare in un genere definito. Il film racconta la storia di un sadico serial killer convinto che uccidere le sue vittime sia la più alta forma d’arte, e si presenta come un horror psicologico, tra racconto fantastico e letterario, trattazione filosofica e celebrazione artistica, in cui allo spettatore è richiesto molto di più che restare immobile a guardare passivamente lo schermo… – L’approfondimento

È sempre difficile inquadrare in un genere definito i film di Lars Von Trier. Se si prova a cercare su internet si trovano sempre indicazioni ibride: Melancholia è un drammatico/fantastico, Antichrist è un drammatico/horror, Dancer in the Dark Dogville sono drammatici/gialli. Per non parlare di Nymphomaniac, a cui sono seguiti numerosi dibattiti per capire se dovesse essere considerato un drammatico/erotico oppure addirittura un porno (o un anti-porno).

Il suo ultimo lavoro, La casa di Jack, non sfugge a questo problema. Al di là della trama, risulta davvero complesso assimilare il film a qualsiasi altro prodotto cinematografico. È vero che stiamo parlando di un film d’autore, e che quindi è normale che non possano essere rintracciati dei paragoni che reggano (dopotutto il genere del film d’autore è, per definizione, lo stile dell’autore stesso), ma in questo caso la singolarità dell’opera è ancora più evidente.

La casa di Jack si apre con un dialogo a due, una sorta di chiacchierata/confessione che ricorda l’impianto narrativo già sperimentato in Nymphomaniac. A parlare sono il protagonista, Jack, e un personaggio che si rivelerà allo spettatore soltanto alla fine, ma il cui nome lascia già intuire l’identità: Virgilio (Bruno Ganz, venuto a mancare lo scorso 16 febbraio, ndr).

Jack sta raccontando la sua storia e ripercorrendo i cinque incidenti (i cinque capitoli in cui è diviso il film, più una catabasi) che l’hanno portato a diventare un sadico serial killer, conosciuto come Mr. Sophistication. Il suo modo di agire segue sempre le solite mosse: punta una vittima (tendenzialmente una donna, non tanto per una fissazione, ma perché “le donne sono più facili da avvicinare, ti avvantaggiano il lavoro”), la circuisce e l’avvicina con l’inganno, spacciandosi per un introverso ma disponibile soccorritore stradale, per un assicuratore pronto a far alzare il prezzo della pensione, per un fidanzato affettuoso e comprensivo che organizza pic-nic nel bosco.

la casa di jack

Qualsiasi sia la sua tattica, la vittima in questione ci casca sempre. Nonostante ci siano diverse spie che potrebbero far dubitare della sua sanità mentale, tutte si fidano di Jack, tanto che lui stesso rimane colpito dalla loro ingenuità e dalla totale mancanza di interesse delle persone che avrebbero potuto salvarle ma che, invece, hanno preferito fare finta di niente.

la casa di jack

Subito dopo averle uccise, prima di congelarle in una cella frigorifera che diventa una specie di galleria di cadaveri, Jack le porta nel suo appartamento, le mette in posa e scatta loro un set di foto artistiche. È questo il momento più importante per lui (infatti se le foto non lo soddisfano è disposto a riprendere i corpi e rifarle di nuovo), quello in cui l’omicidio diventa un atto di esaltazione dell’essere umano.

Per Jack la morte è la forma più alta dell’arte e per spiegarlo impiega tutto il film, attraverso divagazioni enciclopediche che passano dall’analisi degli Stuka nazisti alle tecniche di decomposizione degli zuccheri nell’industria vinicola. Dalla sua prospettiva, le sue azioni non lo qualificano come un assassino psicopatico, ma come un artista. Questo è il centro di tutte le disquisizioni filosofiche, antropologiche e sociologiche che animano le dissertazioni in voice over, tra Jack e Virgilio, e anche da un punto di vista estetico l’arte ha una grande rilevanza.

la casa di jack

la casa di jack

Nelle scene si alternano immagini di quadri risorgimentali e nature morte, fotografie, disegni e perfino sequenze animate, tra cui quella che mostra la dinamica delle ombre proiettate nello spazio tra due lampioni, paragonata all’alternanza di piacere e dolore che spinge l’assassino a cercare sempre nuove vittime.

la casa di jack

Proprio come un artista (o, forse, proprio come ogni persona) Jack oscilla tra due tensioni: quella di distruggere e quella di creare: l’uomo infatti è anche un ingegnere, aspirante architetto (“sai qual è la differenza tra ingegnere e architetto?”, chiede a una delle sue prede prima di farla a pezzi), che mentre uccide decine di donne, progetta di costruire una casa perfetta in cui andare ad abitare. Eppure sembra che il suo progetto non riesca mai a essere realizzato.

la casa di jack

“Il materiale che sceglievi non era quello giusto”, gli rivela a un certo punto Virgilio, prima di scendere nelle profondità dell’inferno. È a questo punto che il film prende inaspettatamente una nuova piega: cambia ambientazione, tono, ritmo. Dalle iniziali scene di squartamento iperrealistiche (che ricordano il periodo in cui Lars Von Trier aveva aderito al movimento Dogma 95), si passa a una rappresentazione fantastica e onirica, anzi, surrealista, se si dovesse trovare un corrispettivo nell’arte figurativa.

La casa di Jack si configura allora come un horror psicologico, tra racconto fantastico e letterario, trattazione filosofica e celebrazione artistica, in cui allo spettatore è richiesto molto di più che restare immobile a guardare passivamente lo schermo.

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